Giorno sei, Korca e Valona (si fa per dire). Ultimo giorno a Lin, ultima colazione con la signora di cui non sappiamo il nome, ma che anche oggi ci ha coccolato con una sontuosa colazione albanese, frittelle, formaggio tipo feta, uova sode, brioche al cioccolato dal nome discutibile, Belino, bicchieri di latte. Niente marmellata di fichi, ma in compenso foto, nostra, con vestiti tradizionali di qui, cuciti dalla signora e che alla signora sono falsi certificati esibiti nella casa dove abbiamo dormito. Casa, non lo avevo detto, cui si accede facendo retromarcia per un vialetto strettissimo, questo lo avevo detto, che su un lato presenta una lastra di metallo affilatissima e sollevata, che non ha squarciato le mie gomme nuove solo per un caso fortuito. Perché avevo deciso di cambiare le gomme tornato dal viaggio, immaginando che qui si sarebbero finite di rovinare, ma il benzinaio che sta sotto casa di mia suocera, in Ancona, che ci conosce da sempre, mi ha suggerito di farlo prima di partire, perché secondo lui alla prima buca avrei bucato, e di buche ne ho prese molte, qui, moltissime. Risultato, treno di gomme nuove prima di partire, 565 euri sull’unghia. E una delle gomme, proprio il giorno in cui sono partito, ha pure forato, a causa di una vite corta che ci si è infilata, fortunatamente senza fare troppi danni, e fortunatamente il gommista è a sua volta sotto casa di mia suocera (che sia in combutta col benzinaio?). Comunque abbiamo fatto le foto di rito, con gilet abiti da donna e copricapi. A farcela Marsel, il padrone di casa, che ci ha anche suggerito di andare a vedere una antichissima nasi,i a con mosaico lì a Lin. Oggi è in programma di andare a Korce, o Korca, Corizza in italiano, e poi a Valona, dove soggiorneremo sei giorni. Il che è un po’ come, che so, se uno dovendo andare da Milano a Livorno, prima decide di fare un salto a Padova. Un’ora e mezzo, circa, poco meno, per arrivare, poi di nuovo indietro fino a Lin e poi ancora fino quasi a Durazzo, e poi fino a Valona, sud. Ma prima, figurati se non seguiamo le indicazioni dell’ultimo minuto, una bella visita alla basilica di Lin, con annessi mosaici.
Così salutiamo e invece di dirigerci verso la strada principale, quella che porta a Pogradec, eccoci andare verso il ristorante che il primo giorno qui ci ha estorto, perché di estorsione si tratta, ottantuno euro, e proseguire oltre, verso la punta della piccola penisola sul lago di Ocrida che Lin costituisce. Una strada, va detto, piuttosto dissestata, ma dimmi qualcosa di nuovo, stretta oltremisura e con l’optional delle tante bancarelle improvvisate di fronte alle porte delle case, chi a vendere tessuti ricamati, chi calamite, chi pomodori o cipolle. Identifichiamo la chiesa, arriviamo alla fine della strada, dove fortunatamente c’è una piazzola dove si può parcheggiare e voltare poi l’auto e scendiamo a piedi. Arriviamo alla chiesa e troviamo ancora una volta qualcuno che la sta chiudendo, manco fossimo in Compagni di scuola di Venditti. Ieri era il prete ortodosso, oggi una signora sovrappeso vestita da contadina. Le chiediamo con la voce da questuanti se ci fa vedere la chiesa, e lei, con una voce che ricorda Robin Gibb dei Bee Gees, che giustamente il computer mi converte in Bee Gesù, ci dice di no, perché è chiusa, come se noi non vedessimo le chiavi che stringe in mano. Ci dice però anche che noi probabilmente non è quella chiesa che vogliamo vedere, ma quella antica coi mosaici, e ci dice, con la stessa affidabilità di una sconosciuta albanese cui si chiede qualcosa di preciso, che è su per un sentirò sterrato che parte una ventina di metri da lì, aggiungendo che è in salita ma che in otto minuti si arriva in cima. Ovviamente, secondo errore della giornata, ci fidiamo anche della tipa con le chiavi della chiesa chiusa in mano, e cominciamo la metaforica ascesa verso un non luogo, omaggio post mortem a Marc Augè, che ci presenta, oltre a una strada che definire tale, fuor di metafora, pretende uno sforzo disumano di fantasia, un asino libero che mangia immondizia da un cassonetto (come spesso capita di vedere in quei filmanti dove ci sono cinghiali o gabbiani, anche qui nessun cassonetto sembra essere preposto a raccogliere la spazzatura, che invece si trova tutto intorno a essi), qualche cane randagio, signore anziane intente a tagliare verdure, e qualche turista dall’aria spaesata. Ecco, questo, cioè il trovare tuoi simili che palesano aria spaesata, dovrebbe indurti più di ogni cosa a rivedere quella inspiegabile credulità che ti spinge a prestare cieca fede nelle parole di perfetti sconosciuti, cieca fede che però ti rende appunto cieco, quindi lì a scalare una collina impervia, sotto il sole, senza un cazzo di indicazione né altro. Infatti, già lo avrete capito, dopo oltre venti minuti, non otto ma venti, e considerate che già eravamo partiti da casa con circa un quarto d’ora di ritardo su un planning complesso, Korce e poi Valona, sulla carta oltre cinque ore e mezza di macchina, dopo oltre venti minuti, cui vanno aggiunti i dieci per cercare parcheggio nel bellissimo e molto naïf villaggio di Lin, dopo quindi una mezz’ora di sforamento del nostro piano di viaggio capiamo che della basilica e dei mosaici, quassù, in mezzo alle frasche, vi è traccia, e in fondo, non ce lo diciamo ma credo lo stiamo pensando tutti, con le parole che l’età e il carattere ci consentono, chi cazzo se ne frega della basilica dell’XI secolo e dei mosaici.
Torniamo indietro e lì dove prima c’era un asino ora c’è un husky, sempre a mangiare intorno al cassonetto. Anche noi incontriamo altri turisti, cui, bastardi, non diciamo niente, a ognuno la sua pena, cavoli. Prendiamo la macchina e ci incamminiamo verso Korce, scoprendo quel che già sappiamo, in parte la strada la abbiamo fatta più volte, quella per Pogradec, cioè che Google Maps è molto ottimista, o incredibilmente in malafede, e non tiene conto dei trattori, dei camion, dei carretti trainati dagli asini e da tutto ciò che può capitare di incrociare per le strade albanesi, comprese quelle considerate a alta velocità, quasi delle autostrade. Quindi quello che sulla carta era un’ora e dieci minuti di viaggio diventa oltre un’ora e mezza, è considerato il largo ritardo già messo da parte, succede che arriviamo a Korce per ora di pranzo, quando cioè avevamo programmato di rimetterci in viaggio. Ci fermiamo innanzitutto a un supermercato, perché qui se ne vedono pochi, e constatiamo che Korce, o Korca, o Corizza deve essere una città decisamente più ricca di quelle viste fin qui. Sembra di essere in Italia, anche se siamo nel punto più distante dall’Italia che toccheremo in questo viaggio, per chilometri e ore di viaggio. Poi, siccome dobbiamo scegliere cosa vedere e buona parte di quel che ci eravamo segnati è fuori città, ci dirigiamo verso il vecchio bazar, dove intendiamo mangiare. Parcheggiamo di fronte alla prefettura, non perché abbiamo paura di parcheggiare la macchina carica di valige lontano dalla vista di poliziotti, in molti ci hanno detto che in Albaniai ci sono pochissimi furti, a parte quelli perpetrati grazie a Airbnb, ma perché li abbiamo trovato posto. Parcheggiando, per altro, scopro che a Ocrida ho preso una multa per divieto di sosta, benché io abbia parcheggiato su linee bianche. A pochi passi da lì troviamo una trattoria che presenta un tizio che gira forsennatamente polli su uno spiedo e decidiamo che fa al caso nostro. Ordiniamo cinque kebab di musica, che si tramutano in venticinque, perché la cameriera, che non parla italiano né inglese, ci fa capire che i kebab sono tipo arrosticini (non chiedetemi come ma è così), e quando arrivano scopriamo che in realtà sono come delle salsicce, piccole ma gustosissime. Con noi ci sono pochi turisti e molti locali. Paghiamo quattordici euro, che però la tipa erroneamente mi presenta come centoquaranta. Capito il suo errore mi riprendo. Andiamo al bazar, che è un quartiere storico, carinissimo. Una sorta di piccola Parigi in salsa albanese, col pavé a terra, i negozietti e anche i bar cool. In uno, da una coppia di anziani, Marina compra una tovaglia ricamata con tovaglioli. Tutta roba molto bella, lì dentro, pagata quarantacinque euro, quindi assai poco per i nostri standard. Proseguiamo nel giro e incappiamo in una piazza, il cuore del bazar, che ha al centro un albero con tutti acchiappasogni fatti all’uncinetto. Qui ci odiamo un magnete che ci fa vedere cosa dobbiamo assolutamente andare a visitare prima di partire, perché è presente i tutti i magneti, la cattedrale ortodossa della Resurrezione (tutte le cattedrali ortodosse qui si chiamano così).
Ci andiamo in auto, perché la tipa che ci ha venduto il magnete sostiene sia lontana o cinque o dieci minuti a piedi, almeno non millantando precisione che evidentemente non è propria di questa terra. In realtà è tipo a mezzo chilometro dal bazar, ma troviamo subito parcheggio, e per altro il tipo a cui pago i cinquanta centesimi di leke per un’ora, benché io so che ci staremo molto meno, mi chiede da dove vengo e quando rispondo “Milano”, mi risponde, “Ah, Milano, bella! Non ci sono stato, ma sono stato a Binasco”, spezzandomi il cuore. La chiesa è forse la più bella chiesa ortodossa che io abbia visto in vita mia, sicuramente la più bella vista qui in Albania. Ori e icone ovunque, con una ricchezza di dettagli che quasi stona rispetto alla sciatteria che spesso di vede in giro, anche se onestamente non qui a Korca. Usciti ci facciamo anche il nastro primo caffè di questa vacanza, molto buono, “perché italiano” ci dice il barista, poi partiamo. Ci attende un lungo viaggio. Fatto ancora una volta di carretti, molte auto di scuola guida, una delle quali ha fatto fare una inversione a u in curva alla allieva che mi ha fatto capire molte cose della guida in zona, molti autolavaggi, contrassegnati dalla scritta Lavazh e soprattutto da getti d’acqua attraverso i tubi di gomma che si usano per innaffiare (credo si chiamino canne, anche se nella mia città natale li chiamiamo scioni), asini e vacche ovunque, e il fiume, quello che all’andata era incredibilmente marrone, oggi incredibilmente limpido, evidentemente il marrone era figlio delle piogge dei giorni scorsi. Alternando nel lettore cd Eagles, Enzo Avitabile, Lady Gaga, Ron e Halsey, arriviamo quasi a Valona, è il momento di chiamare Tony. Chi è Tony? Allora, dovete sapere che un paio di settimane prima della nostra partenza ho visto un mio contatto social, che poi è la cantautrice Naftis, coinvolta nel mio Festivalino di Anatomia Femminile, pubblicare storie e reel da Ksamil, nostra prossima tappa. Così le ho chiesto qualche dritta,che lei mi ha mandato con una generosità che mi ha spiazzato, visto che nei fatti ci siamo visti una sola volta, anni fa. Tra le varie cose mi ha mandato un video di tale Tony, registrato nel suo cellulare come Tony Noleggio, che organizza tour in barca dalle parti di Valona. Soprattutto ne organizza uno dalle parti di Karaburun, che è una delle mete che vogliamo visitare, così abbiamo deciso di contattarlo per prenotare i posti. Considerate che la padrona di casa a Valona ci ha dato indicazioni sulla casa solo ieri, per altro indicandoci un hotel dove andare a prendere le chiavi, sul lungomare di Valona, dove dovrebbe trovarsi poi la casa, quindi io avrei aspettato di arrivare prima di prenotare, Marina invece ha insistito, e Tony le ha detto che se vuole prenotare dobbiamo passare stasera a pagare, perché non si fida dei turisti, forse primo caso di albanese che teme le sòle dagli italiani. Così il nostro viaggio di allunga ulteriormente, con una tappa nei pressi del porto di Valona. Noto, così en passant, che intorno e prima di Valona ci sono un sacco di monti, ma proprio tanti tanti. Comunque entriamo in città e Valona appare come una grande città, incasinata come uno se la può immaginare. Arriviamo al luogo che Tony ci ha indicato, e troviamo una famiglia molisana che sta aspettando a sua volta. Come spesso capita lei è super entusiasta, mentre lui ha dubbi amletici. Mi dice roba tipo “Valona è una città devastante”, con lo sguardo di chi vorrebbe essere alle isole Tremiti. Valona, per,altro,in Albania si chiama Vlore, esattamente come la nave che l’8 agosto del 1991, trentuno anni fa oggi, sbarcò a Bari con un carico di ventimila disperati alla ricerca della felicità, quella che le tante immagini carpite dalla televisione lasciava incautamente presagire. Proprio oggi, nell’anniversario di quello sbarco, Edi Rama, il primo ministro albanese, ha deciso di ricordare quel momento storico facendo un meme sui social nel quale accosta la foto della Vlore con quelle dei tanti turisti italiani che oggi accalcano le spiagge albanesi, qui ritratti a bordo di una nave che ricorda il Vlore, simbolicamente, ma che in realtà è decisamente più simile alla barca di Tony, turisti di cui, va detto, noi abbiamo visto scarsissima traccia, a parte forse proprio la famiglia molisana che e qui con noi ora, il tutto accompagnato dalla scritta “e aspetta, non hai andirivieni visto niente”, fatto che ha mandato su tutte le furie l’ex premier Berisha. Strani senso dell’umorismo, da queste parti.
Tony si fa attendere, ma il suo arrivo merita. Ha una macchina grossa, una Mercedes, ovviamente, con la targa personalizzata Al Toony. Una roba tanto tamarra quanto l’audio del video che presenta i suoi tour che Naftis mi ha girato, roba che al confronto le canzoni de Il Pagante sono raffinate. Prendiamo questi famosi biglietti, inclusi di pranzo, chi pesce chi carne, sganciandogli centottanta euro sull’unghia, non senza aver notato che quando Tony è arrivato ha stretto prima la mano a noi uomini, e poi alle donne, non cagando di pezza la bambina dei molisani, qui Barbie non arriverà mai. Bene, è il momento di andare all’hotel Bella vista, dove ci attende Kostantina per darci le chiavi della casa, e qui inizia la seconda avventura della giornata. Il navigatore segna venti minuti dal porto, dove abbiamo incontrato Tony, ma a un certo punto lascia il lungomare, molto bello e decisamente pieno di vita, per salire sulla collina. Sale, sale, sale e a un certo punto indica una salita troppo ripida per la mia macchina, troppo milanese. Chiamamo Kostantina, che ci dice che non è quello il suo hotel e ci manda una seconda posizione. Che si trova a una mezz’ora da noi. Impreco, anche solo per girare la macchina. Sto guidando da quasi sette ore,e sono sfinito. La faccio breve, iniziamo a uscire da Valona, rivolti a sud, con un tramonto su un paesaggio stupendo, credo, perché mi girano troppo le palle per goderne. Usciamo da Valona e continuiamo, per undici chilometri, passando un altro paese, Radhime, al cui fondo si trova l’hotel Bella Vista. Qui arrivati chiamiamo Kostantina, che ci dice che verrà suo fratello Levis. Dopo oltre dieci minuti arriva tale Ernest, che ci dice che non è il fratello di Kostantina, ma suo cugino. Ci dice di seguirlo, e quando Marina chiede se a piedi o in auto, ci dice una frase neanche troppo sibillina, “Mia cugina vi ha detto che è in collina, vero?”. No, non ce l’ha detto, anche perché fino a ieri non ci ha dato nessuna posizione, ora capisco perché. Perché il lungomare di Valona è in realtà una casa dispersa nel nulla, in collina, a sei km dall’hotel che ci hanno dato come indicazione,a sua volta a undici km da Valona. Ci arriviamo salendo su per un strada sterrata, seguendo la BMW di Ernest, per una strada che non saprei fare da solo manco col navigatore, che infatti non trova questa posizione. Siamo in un palazzo nuovo, ma che sembra non del tutto finito. Mancano gli scorrimano per le scale, anche qui terzo piano senza ascensore, i balconi hanno un parapetto di circa trenta centimetri. Ernest ci dice di non essere mai venuto qui, quindi non sa come fa partire il gas, come far funzionare l’aria condizionata e quasi nient’altro. Chiama sua cugina piuttosto alterato, poi ci dice tutto. Io sono furioso, e voglio andare via, ma Marina in macchina, mentre salivamo, mi ha intimato di tacere, per non creare tensioni. A parte il dettaglio che ho dovuto pulire io il bagno, perché era sporco, e il fatto che siamo in culo ai lupi, credo non solo metaforicamente, c’è che dopo cena per ben due volte va via la luce nel palazzo, dove ci siamo solo noi, e tutto intorno a noi a parte i cani randagi non c’è nessuno, non bellissimo, come quadro. Motivo per cui litigo con Marina, che si offende perché le imputo la scelta della casa, che in effetti abbiamo scelto perché lei vuole case con giardino o terrazzo, e qui il terrazzo è in realtà un balcone inutilizzabile. Io ho consultato le clausole di Airbnb e potremmo davvero andarcene pagando solo la prima notte, ma per lei ho semplicemente rovinato le vacanze. Oltre il danno la beffa, chioserei se avessi voglia di chiosare, mentre non ho proprio voglia di far niente.