Giorno cinque, Drilon National Park e Ohrid. Se Meggy, la mostra padrona di casa di Durazzo, che poi Durazzo non era, si è dimostrata piuttosto parca nell’empatizzare e comunicare con noi, lì elegante nel suo abito da sera rosso esibito alle 14 di pomeriggio, meno abile nel dirci che il gas non funzionava e che in cucina non c’era acqua e altre amenità, la padrona di casa di Lin, quella che ieri ha chiacchierato con Marina in una lingua a noi sconosciuta, e che nel mentre mi ha fatto vedere con giusto orgoglio di aver vinto due riconoscimenti per i costumi tradizionali che cuce con le sue mani, non chiedetemi come faccio a averlo capito, ma l’ho capito e lei mi ha anche mostrato detti abiti tradizionali, il tutto mentre ci mostra a bagni e leggi e asciugamani, ecco, la padrona di casa di Lin si è dimostrata una vera ospite, al punto di averci preparato la colazione, non prevista da Airbnb, oltre che averci aperto anche una ala della casa che non ci spettava, con nove letti e tre bagni a nostra disposizione. Alle nove, da bravi residenti a Milano, apriamo la porta della nostra casetta, perché avevamo detto alla padrona di casa, lo aveva fatto Marina in quella forma di esperanto con la quale ci ha comunicato, che per quell’ora avremmo fatto colazione. Con gesto piuttosto plateale, che mal si addice al suo look da contadina albanese, ci attende indicando il lato del giardino dove si trova il tavolo con le sedie. La colazione albanese, o almeno quella di queste parti, consta in uova sode, formaggio tipo feta assaggiato ieri, pomodori freschi appena colti da non so dove, marmellata di fichi, pane, latte. Che la marmellata sia di fichi lo dice la signora, “ficu” è indubbiamente fichi, così come che il formaggio sia del supermercato. Il resto io non lo capisco, i nostri figli neanche, mentre Marina ci dice che le ha detto di lasciare poi i piatti in tavola, che ci pensa lei. Ce la gustiamo con piacere, ma quando Marina dice “ora le chiedo se ci indica un supermercato”, le diciamo tutti di non esagerare.
Il fatto dei supermercati è uno dei tanti misteri albanesi, o meglio della zona del lago di Ohrid, di qui in avanti Ocrida, all’italiana, non se ne trova uno manco a pagarlo oro. Infatti non ne abbiamo trovati ieri, e magari poteva anche entrarci il fatto che era domenica, né oggi, e non ci sono scuse. Ci sono un sacco di fruttivendoli, che vendono anche verdure, un sacco di macellai, negozietti che vendono altro, ma niente supermercati. Noi oggi abbiamo in programma di andare al National Park di Drilon, che ci immaginiamo sia strepitoso, almeno quanto l’anno scorso il Boutissaint National Park, nella Loira, dove, per capirsi, abbiamo avuto la fortuna di vedere da vicino il fantomatico cervo bianco, mentre con altri cervi si faceva il bagno in un laghetto. Quindi, andando in un parco, vorremmo fare un picnic, mangiando panini con affettati, ma senza supermercato niente affettato e quindi niente panini. Google Maps mi dice che a Pogradec, che dobbiamo attraversare per andare alla nostra destinazione, ce n’è uno, che ieri deve esserci sfuggito. Lo troviamo e scopriamo che è il corrispettivo di uno di quei piccoli alimentari che si trovano nei nostri borghi, non vendono quasi niente e quel che vendono è comunque caro e spesso a gusto discutibile del titolare. Usciamo, e decidiamo di fermarci poi a mangiare qualcosa nei pressi del parco, ieri sera ho letto che ci sono diversi ristoranti nei dintorni. Andiamo, ma prima ci fermiamo a dare un’occhiata a una chiesa ortodossa, che sta proprio sotto l’alimentari. Ci fermiamo perché proprio mente ci passiamo davanti vediamo che c’è il prete che la sta aprendo. Ha lasciato la macchina davanti, accesa, una jeep nuova di pacca, manco a dirlo. Chiediamo se possiamo entrare e sulle prime sta per dirci di no. Poi si rende conto che non deve essere bello come spettacolo, quindi ci fa entrare, dicendo che è un po’ di fretta perché ha un funerale dalla parte opposta della città. Ci dice, infatti, che questa chiesa, che si intitola alla Resurrezione, è del 1996, dopo la caduta del comunismo, costruita con il contributo dei credenti, ma che in città ce n’è una precedente, sopravvissuta al comunismo. Ci dice che ci sono abbastanza ortodossi, in città, anche se la maggioranza sono musulmani. Di cattolici, dice, ce ne sono pochi a Korce, che poi sarebbe Corazza, dove andremo domani, ma per il resto sono tutti musulmani. Non deve aver parlato con don Corrado di Tirana, mi pare di capire. Dice anche che i giovani se ne vanno quasi tutti via, in Italia, in Grecia o in America. Vanno via e se hanno la famiglia poi si portano via pure quella. Così Pogradec, carina e piene di gente durante la bella stagione, di inverno diventa deserta, solo con i pochi abitanti rimasti e la neve, e ovviamente Dio. Ci salutiamo e andiamo al parco. Ora, se avete presente un qualsiasi National Park, prima citavo Boutissaint, beh, dimenticavelo. Qui c’è sì un parco, ma non ci si entra pagando un biglietto, e soprattutto non c’è un vero e proprio ingresso. Non perché, faccio un esempio, sia un parco naturale grande, campanilisticamente penso al Conero, ma perché per entrare si deve passare da un paio di ristoranti, che hanno monopolizzato la zona, e che presentano entrambi un cantiere, con muratori e operai. Superato questo primo ostacolo il parco sarebbe incantevole, coi laghetti, i canali, le oche, i pavoni, i cigni, non fosse che i canali sono pieni di bottiglie di plastica buttate in acqua, che i ponti che li attraversano sono tutti chiusi, o perché di privati, o, più spesso, perché pericolanti, e che una bellezza così sfacciata non sia ancora una volta sfruttata come potrebbero. E dire, faccio un esempio, che l’angolo di uno dei due bar dove puoi mangiare dentro un recinto con pavoni e colombi è davvero spettacolare, così come il laghetto dove puoi farti un giro in barca, accompagnato da cigni bianchi e mai visti prima cigni marroni. Se qualcuno si prendesse briga di curare la passeggiata lungo i canali, magari portandoci anche un po’ di ombra sarebbe un luogo da sogno, certo, non un National Park, ma davvero da visitare. Dopo un’oretta e mezza che giriamo incantati e anche perplessi per i motivi di cui sopra, decidiamo di tornare a Pogradec per mangiare qualcosa, nello specifico ottimi kebab per un totale di neanche venti euro in cinque, in un locale a gestione familiare, padre, madre, figlio e nonna, a venti metri dal lungolago. Ottimo cibo, molto curato e pulito, tutto giocato sull’arancione, che qui va molto di moda. Finito andiamo un po’ più a sud, sempre lungolago, io e Marina a riposarci, i ragazzi a fare il bagno. Prossima tappa è la città di Ocrida, in Macedonia del nord, dove alle 19 e 30 abbiamo prenotato una gita sul lago in traghetto, con aperitivo.
Ho commesso un errore. O più che altro mi sono messo in condizione di commettere un errore. Non ho considerato che anche la Macedonia del Nord, di cui non fosse per la nazionale di calcio nella quale militava il mio idolo personale, tifo Genoa, Goran Pandev, nazionale che ha eliminato l’Italia guidata dal sampdoriano Mancini dalle qualificazioni per i mondiali di calcio del Qatar, non sapevo neanche l’esistenza, forse anche per questo non fa parte dell’Unione Europea, il che si traduce in una nuova assicurazione per la macchina da fare dopo la dogana, per poche ore di stazionamento nel suo territorio. L’ho scoperto leggendo uno dei vari siti che ti dice cosa fare in un determinato luogo, sito che dice anche che in Macedonia del Nord, almeno, il roaming non c’è, come se fossimo in Unione Europea. Entrambe le notizie si riveleranno sbagliate. Perché diretti verso Ocrida da Pogradec, con una tappa fissata alla Baia delle Ossa, scopriamo in dogana che qui non si può fare la assicurazione, perché solo la dogana che si trova vicino a Lin, dove abbiamo casa noi, offre questo servizio. A dirla tutta il tipo alla dogana non ce lo dice, lo sollecito io a riguardo, e lo sollecito perché leggo cartelli in lingue a me sconosciute che parlano chiaramente di multe da 10mila euro, non sia mai che il testo non comprensibile parli di chi si trova a circolare senza assicurazione, o che magari al ritorno, in dogana, senza assicurazione ti facciano il culo. Quello che però il tipo, sollecitato, mi dice, mi fa cascare le palle, di qui non possiamo passare, dobbiamo tornare indietro e farla vicino a Lin, passando poi da quella dogana lì. Cosa che facciamo, andando a viaggiare per circa tre quarti d’ora, per poi stare fermi alla dogana circa mezz’ora, mezz’ora che passa bene, perché vediamo ogni tanto una mucca fare la gimcana tra le auto in colonna, perché a fianco della dogana c’è una catapecchia chiusa e impolverata con su scritto Duty Free, e perché comunque quando viaggi star lì a incazzarsi non ha senso. Attendiamo il nostro turno e poi mi tocca fermare la macchina dopo il posto di blocco e andare a fare la assicurazione in un ufficio al primo piano della dogana. Spettacolo nello spettacolo, perché il primo piano sembra uno di quei villaggi fantasma dei film western, polvere e decadenza, e anche il primo non è da meno. C’è un tipo che sta dietro una porta socchiusa, che mi dice in macedone, considerate che le scritte sotto sono o in cirillico o in alfabeto greco, che la tipa delle assicurazioni è nell’ufficio a fianco, ma al momento non c’è. Io tutto questo non lo capisco, almeno finché la tipa non torna e non mi fa segni di seguirla dentro una stanza due metri per tre con scrivania, credenza di una cucina con su una boccia ore l’acqua e dei contenitori per il cibo, suppongo il suo pranzo, di fronte, inspiegabilmente, un divano dismesso, li, così, senza un motivo specifico. Del resto, in Albania, lì vicino, di divani simili ne abbiamo visti tanti, di fianco ai gommisti, o così, in mezzo alla campagna, sarà una moda di queste parti. Comunque pago i miei quindici euro, decisamente meno che i cinquanta pagati in Albania, e torno al casottino della dogana, dove il tipo mi rende i documenti. Possiamo andare a Ocrida, finalmente, e poco conta che ho pagato più di assicurazione che di nave. La strada fino a Ocrida, come le tentazioni lungo la strada verso le buone intenzioni, è costellata di casinò, ogni tanto una moschea, nessun gommista. Arrivando a Ocrida si vede un gigantesco castello, in alto, di cui non avevamo letto in nessuna guida.
Parcheggiamo vicino all’imbarco dei traghetti e scopriamo che Ocrida è vivissima, tipo il lungomare di Riccione in agosto, ma decisamente più bella. Appreso che si può arrivare all’imbarco anche solo dieci minuti prima della partenza, andiamo a fare il giro che ci eravamo prefissati, anche se noi ci eravamo prefissati di farlo in moto più tempo. Ci dirigiamo verso la chiesa dell’XI secolo di Santa Sofia, a due passi da lì, e la ammiriamo da fuori. Abbiamo i minuti contati, niente interni oggi. Poi prendiamo una passeggiata lungolago, su una passerella di legno molto suggestiva, la roccia su cui sorge il castello sopra, diretti alla chiesa di San Giovanni Teologo. Una vista spettacolare, qualcosa che ricorda le cinque terre. Con anche un piccolo imprevisto, del resto siamo in montagna, sopra i seicento metri, un serpente che dorme in un angolo, come niente fosse. Arriviamo alla chiesa di San Giovanni, una vera chicca, a picco sul mare, e poi saliamo verso San Calimero e Pantaleo, nei pressi del quale si trovano anche le rovine, e lì a pochi passi la Fortezza di Samuele. Lì di fronte compro la sciarpa della nazionale della Macedonia del Nord, in omaggio a Pandev, poi facciamo in tempo a farci un giro per i negozi turistici del corso e a prendere il nostro traghetto, non senza un minimo di suspense. Duplice, prima perché mi si spegne il cellulare che uso come navigatore, e quando si riaccende, ovviamente, scopro che non ho più Google Maps attivo e la faccenda del roaming free non è vera. Anzi, quella la avevamo scoperta subito dopo passata la frontiera, quando Wind ci ha avvisato, solo che il trucchetto di tenere attivo il navigatore aggiungendo tappe in genere funziona, e ora non so come tornare a casa. Altro motivo di suspense, il lago è molto più mosso del mare, ma fortunatamente ho portato con me le gomme da masticare anti mal di mare. Saliamo a bordo, ci accomodiamo al tavolo che abbiamo prenotato e ci godiamo un’ora e mezzo di paradiso. Il lago è mosso solo vicino alla riva, e vicino alla riva fa anche più freddo, ma lo spettacolo che offre vale mal di lago e freddo, fidatevi. A animare il viaggio, a parte me che faccio cadere il flûte di champagne prima ancora di salpare, una coppia che di fronte a noi parte facendosi un selfie, e dopo un minuto vede lui scomparire al piano di sotto, lei piangere tutto il tempo. Non ci fosse una comitiva di americana oversize a fare casino, ci saremmo sicuramente immalinconiti. Tornati a terra, poi, lui aspetterà lei, inspiegabilmente con le scarpe in mano, ma lei non lo cagherà di striscio, lasciandolo li impietrito. Noi saremmo tentati di seguire il drama, ma decidiamo di andare a farci un gelato. Ah, alla fine ho agganciato il Wi-Fi del traghetto, e siamo riusciti a tornare a casa, nonostante le strade costantemente senza lampioni. Anzi, abbiamo anche fatto il pieno col Diesel a 1 euro e 3, recuperando parte dei soldi lasciati in Macedonia per l’assicurazione. A mezzanotte abbiamo videochiamato Lucia, nostra figlia maggiore, per farle gli auguri di buon compleanno, lei è in Croazia col fidanzato. Domani si parte per Valona, è ora di andare a dormire.