Giorno uno, Durazzo. Continuiamo con le metafore. A volte le salite sono meno faticose delle discese, specie se le discese sono in retromarcia e in spazi molto angusti, sotto la guida di un tipo con elmetto che ti fa segni incomprensibili con le mani, segni alternati alla domanda “Sei italiano, vero?”, manco fossi il sosia di Toto Cutugno. Abbiamo fatto colazione in nave, ma una volta scesi abbiamo diverse pratiche urgenti da sbrigare. Primo, fare l’assicurazione alla macchina, perché l’Albania non è in Unione Europea e qui l'assicurazione italiana non vale. Prima di partire, per sicurezza, ho riletto come fare, e ho scoperto, con sgomento, che oltre al libretto di circolazione serve la pratica di possesso dell’auto, che probabilmente non si chiama così, non ricordo, e che ho vaga memoria sia un documento su una strana carta verdastra e con su delle pecette tipo oleografiche. Dico vaga memoria perché associo il tutto alla mia vecchia auto, non a questa, acquistata nel 2017. Entro nel panico. Scendo dove ho parcheggiato, è l’alba del giorno in cui poi partiremo, prendo i documenti vari, assicurazione, libretto di istruzioni dell’auto, e trovo un foglio del Pra con su un QRcode che rimanda al medesimo foglio, sostitutivo del documento in questione. Spero vada bene, anche perché, seconda pratica da sbrigare, devo prendere un paio di sim per navigare e telefonare, perché, sempre per la faccenda dell’Unione Europea, in Albania il roaming è folle, come se fossimo a Bora Bora, quindi impraticabile. Infine, si fa per dire, devo cambiare gli euro nella moneta locale, leke, perché qui con le carte di credito si pagano giusto gli alberghi, ma noi abbiamo preso case, ristoranti e poco altro. Noi non siamo più abituati a avere con noi contanti, anche questo è un tuffo in una tradizione ormai non nostra, come quella di cullare i bambini delle donne, o del passare il tempo al bar degli uomini. La cosa buffa è che assicurazione e sim vanno pagate in contanti, ma prima devo fare quelle pratiche e poi cambiare, che il Dio albanese ce la mandi buona. Nei fatti tutto si svolge molto velocemente. Scopro che l’anfratto nel quale ho parcheggiato la macchina, durante il viaggio, è stato coperto da una sorta di ponte levatoio, e sopra ci hanno parcheggiato dei camion, che poi sono i primi a uscire. Io sono invece tra i primi a uscire dall’anfratto, facendo manovre non proprio adatto a chi soffre d’ansia, ma comunque con agilità.
Una volta sceso a terra e recuperato la famiglia, nell’ordine, superiamo la dogana, che ci controlla i documenti, faccio la assicurazione in una serie di casottini subito dopo la dogana, 50 euro per due settimane, in euro, documento stampato con una stampante a aghi che credo abbia visto la dittatura di Hoxa, mi fermo al terminal a comprare due schede sim locali, sotto una tendina della Vodafone. Fa caldissimo, è un ragazzino sveglio fa il capo, suggerendomi una delle due soluzioni possibili, 1000 minuti di chiamate e 40 giga al mese, per 23 euro (l’alternativa è 100 giga, per 29 euro). Nel mentre mi fa passare avanti due tipi albanesi che avevo notato in nave, vestiti come tennisti, superpalestrati, capelli tinti, una sorta di versione locale di Ken, per rimanere in tema Barbie. Mi passano avanti, suppongo, per una questione di campanile. Come tutti quelli che maneggiano la mia carta di identità, il ragazzino mi fa notare che è devastata, e mi dice una frase significativa: “Io per questa pagherei 20mila euro, e tu la riduci così”. Gli dico che siccome è usurata gliela lascio per 15mila, ridiamo tutti, anche se non era una gran battuta. Fatte le pratiche, mentre un tipo a bordo di quelle macchinine che lavano a terra prova ripetutamente a investirmi. Metto i dati sul navigatore e usciamo dal porto. Lo spettacolo è notevole. Perché Durazzo è un mix di palazzoni moderni, poi scoprirò hotel di lusso, e case da terzo mondo, piene di antenne, boiler, muri scrostati. Le strade sono piene di gommisti, immagino per lo stato dell’asfalto, e di monnezza, ovunque. Vorrei fotografare tutto, ma non essendo Banksy risulterei fuori luogo, e soprattutto morirei, perché qui la gente guida da cani. Sono innanzitutto quasi tutte Mercedes e Audi, come mio figlio piccolo non manca di sottolineare cantando una canzone, immagino ascoltata su YouTube, che dice che tutte le Mercedes sono di Albania. Sorpassano a cazzo, usano il clacson con generosità, non rispettano stop e dare la precedenza. Un delirio. Di fatto, dopo una mezz’ora arriviamo a destinazione. Ho faticato molto, da casa, a capire perché l’indirizzo non mi comparisse su Google Maps, ma alla fine la padrona di casa ci ha dato una indicazione più semplice, il nome dell’hotel nel cui palazzo si trova l’appartamento che abbiamo affittato. Si chiama Dollari Hotel, e praticamente è sul lungomare sud di Durazzo. Sul sito di Airbnb diceva che c’era il parcheggio gratis in strada, che è un modo simpatico per dire arrangiati. Solo che arrangiarsi a pochi passi dal lungomare a agosto non è cosa semplice, anche per il modo di guidare e quindi di parcheggiare dei già citati albanesi. Faccio un giro a vuoto, imprecando, nel mentre Marina sente Meggy, così si chiama, al telefono, e lei le dice di essere proprio davanti all’hotel. Al secondo giro, infatti, la trovo. Lei, cosi, candidamente, mi fa imboccare con la macchina una strada controsenso, lasciandomi scaricare la macchina davanti all’ingresso del palazzo. Poi mi dice, altrettanto candidamente, che non si può trovare parcheggio gratis, ma che a cento metri si trova un parcheggio custodito che per tre euro al giorno fa il suo porco lavoro. Va beh, mi dico, vado lì e scopro che i tre euro sono sette per noi forestieri. Ma va sempre bene così. Arrivo al portone, dove tutti mi stanno aspettando, e scopro che non c’è l’ascensore, così mi devo portare su le valige per tre piani di scale. Va bene. Arriviamo, la casa è carina e con un gran bel terrazzino che guarda in direzione mare. Bene. Ci spiegano tutto, sembra, Meggy e una signora corpulenta di cui ignoriamo nome e ruolo. Scendiamo a pranzo nel ristorante dell’hotel. Ottime linguine ai frutti di mare, io, ma anche il resto della famiglia mangia alla grande, ore quarantuno euro in cinque. Si è fatto tardi, risaliamo e decidiamo di andarci a fare un bagno a un mare il cui nome ci eravamo segnati. Poi ricordiamo che è lontano e soprattutto un po’ scosceso, Tommaso, il figlio grande, tre settimane fa ha avuto una storta alla caviglia, oggi è il primo giorno che non porta le stampelle, meglio qualcosa di tranquillo. In nave un tipo ci ha suggerito una bella spiaggia a nord di Durazzo, dopo il Porto Romano, si chiama Kalamit qualcosa. La cerco su google maps e andiamo, si chiama Kallmit i Currala. Rifacciamo la strada fino al porto e poi proseguiamo oltre. Non capiamo Durazzo (Durrës), che sembra una città senza città. Senza centro. Arriviamo e lasciamo la macchina in una radura dove c’è una auto con un tipo musulmano con la moglie tutta coperta dal velo. Stanno seduti in terra, in mezzo alla polvere. Noi scendiamo e vediamo che c’è uno stabilimento. Dalle casse gigantesche del casottino parte una musica orribile, estiva, tipo reggaeton.
Sono le 17 e 30, ci danno un ombrellone e due lettini in prima fila, al prezzo indicato sul cartellone, il medesimo di chi è arrivato alle otto stamattina. Va beh, sono solo sette euro. L’ombrellone è tutto arrugginito, e la spiaggia presenta una montagnetta di circa trenta, quaranta centimetri di legnetti arrivati dal mare che tocca scavalcare per fare il bagno, il tutto mentre i tipi del lido se ne stanno a cazzeggiare al casottino. Facciamo il bagno, io un poco alterato. Anche perché prima di uscire di casa non sono riuscito a far partire l’aria condizionata, dopo una serie infinita di messaggi e chiamate con Meggy. Qui sembra un po’ tutto così, approssimativo, bello ma cadente. Nei Monticelli di legnetti a bordo Riva, legnetti ce ne sono anche in acqua, c’è per dire una bottiglia di birra, gettata li così. Un bambino di neanche due anni arriva con la mamma, la prende, se la porta alla bocca e finge di berla. La mamma, giovanissima, lo osserva, e quando il bimbo ha finito gliela prende e la getta in acqua, non sia mai che finisca in un cestino. Torniamo, accompagnati fino alla macchina da un bastardino che dormiva dietro il nostro ombrellone. Unico essere gentile in zona. I due musulmani sono ancora a terra, nella polvere. Torniamo a casa e scopriamo che in effetti è caldissimo e il condizionatore non è partito, mentre Meggy diceva lo avrebbe fatto dopo un po’, da solo. Mi incazzo. Smanocchio, salmodiando, è miracolosamente parte. Così, a caso. Scendiamo a cenare sempre dove abbiamo pranzato. Poi andiamo a fare un giro sul lungomare. Nel mentre è partita una musica assordante, tamarrissima, che arriva proprio dal locale che sta di fronte al nostro appartamento. A volumi folli. Sembra di essere sul tagadà al Luna Park. Il lungo mare è carino. Più si va verso sud più si vedono alberghi lussuosi, alcuni lussuosissimi. La gente è in giro come in qualsiasi lungomare, chi in famiglia, chi in coppia, chi con gli amici. Ci sono un sacco di gelaterie, molte delle quali turche, cioè coi tipi che prima di darti il gelato lo fanno volteggiare davanti al tuo naso all’estremità di un’asta di metallo, prendendoti per il culo. Prendo il gelato in un posto dove il barista non è molesto. Anche qui la musica è assordante, anzi, le musiche, ogni locale ha il suo dj o la sua band. Una caciara notevolissima, che però finisce quando torniamo a casa, come per miracolo, tutto è bene quel che finisce bene. Mezzanotte in punto e i dj diventano topini, come in Cenerentola, o semplicemente decenni di dittatura si fanno ancora sentire.
Dovrò aspettare domattina prima di incazzarmi di nuovo perché non funzionano i fornelli, quindi non solo non posso farmi il caffè, ma non potremo farci neanche la pasta, che ci siamo portati da Ancona. Un po’ troppe mancanze rispetto a quello che era stato promesso, per conto mio. Ma siamo in altro paese tocca adeguarsi, oggi andiamo a Tirana, spero sia bella come mi aspetto.