Due euro, Iva compresa, per un taglio di toast. La giustificazione dei gestori, che non devono giustificazioni a nessuno, tantomeno al popolo davanti alla gogna con i pomodori in mano: due tovagliette, due piattini, un taglio complesso per via delle patatine nel panino (“non era un toast normale”, assicurano). È successo a Como. Selvaggia Lucarelli condivide lo scontrino di un piatto di trofie al pesto, diciotto euro, a cui si aggiungono due euro per un piattino supplementare per la piccola che voleva assaggiare la pasta della mamma. Alla giudice storica di Ballando con le stelle sembra non vada troppo bene neanche che il ristorante abbia fatto pagare tre coperti (genitori più figlia di tre anni), due euro e cinquanta a testa. Pagare due euro per un taglio di toast è ridicolo, neanche lo avesse tagliato Goemon Ishikawa, ma non c’è nulla di sbagliato. Non c’è nulla di immorale, nessun danno sociale, nessun crimine contro l’uomo, nessuna aggressione, nessuna violenza. Che sia di cattivo gusto siete liberi di pensarlo, ma sbagliate se credete che ci sia qualcosa che non va nella scelta di un locale di far pagare anche i colpi di lama. Il bello del libero mercato, a differenza di qualsiasi alternativa, è che puoi scegliere di prendere, alzarti e andartene (e non tornare più; e lasciare una recensione negativa; e sconsigliare personale ai tuoi amici di andare). Lo spiega meglio di tutti il comico Lenny Bruce: “Non c’è niente di meglio del capitalismo. È libero scambio. È baratto. Da Gimbels, se protesto con il commesso, ‘Questo non mi piace’, come la risolvo? Se la cosa diventa ridicola vado via, ‘Vai a farti friggere amico, addio’. Che mi può fare, anche se fosse il presidente della Gimbels? Potrà rifiutarmi l’ingresso nel suo emporio, ma posso sempre andare da Macy’s. In pratica non mi può danneggiare. Comunismo è una grande compagnia telefonica. E lo Stato controlla. Se mi incazzo con quella compagnia che faccio? Finirò, come un pazzo, con una scatola attaccata a un filo”. La prima parte della citazione serve per capire che non c’è nulla di male a far pagare due euro il taglio, così come non c’è niente di male a dire “No, grazie; me ne vado”. La seconda parte della citazione serve a ricordare che l’alternativa è decisamente peggio. Significa pagare due euro il taglio di un toast che magari neanche hai voluto.
I prezzi sono più alti ovunque, si parla di caro estate, o caro vacanze. Secondo Assoutenti le vacanze costeranno 1,2 miliardi di euro in più rispetto al 2022. Gli alberghi costeranno quasi il quindici percento in più. I pacchetti vacanza il diciassette percento in più. Le pizzerie e le gelaterie segnano un +6,…% sui prezzi. Voli dall’Italia? +47,5%. Poi la benzina e ora anche il taglio del panino. L’inflazione ma anche un po’ di speculazione. E poi le richieste assurde. Ma che problema sono? Se non volete non le fate. Gli hotel e i pacchetti vacanza sono pieni di assurdità da sempre. C’è gente disposta a pagare per far fare al proprio cane lezioni di surf, o per farsi massaggiare con del Gin. Gente che paga per farsi sfasciare la valigia, gente che paga per farsi passare un ceppo di pino da buttare nel caminetto per un’esperienza “autentica” in un rifugio. E poi ogni giorno pagate quattro euro di falafel invece che due euro per il quadruplo di ceci. Otto euro per una pizza sotto casa invece che cinque per farina lievito, pomodoro e mozzarella per quattro persone. Se vi sembrano paragoni campati in aria fermatevi a riflettere: semplicemente siamo disposti a pagare per l’alternativa che preferiamo. Nessuno ci impedisce di preparaci un toast con gli ingredienti del supermercato e tagliarlo a mano su una panchina pubblica di fronte al lago, come nessuno di impedisce di fare falafel per tutto il condominio. Ormai siamo abituati a giudicare irrazionalmente il carattere degli altri invece che le azioni. È da stron*i far pagare il coperto a una bambina di tre anni? Forse, ma non è da criminali. Noi criminalizziamo la stronzaggine (e spesso giustifichiamo la criminalità) e lo facciamo senza nessuno slancio creativo o morale. C’è della vanità nel pubblicare la foto di uno scontrino costosissimo o mandarlo a qualche penna che si crede affilata e lavora in fase con le turbe popolari. È il corrispettivo dei gladiatori in un’epoca di vittimismo in cui si scambia la vigliaccheria per sensibilità e il capriccio per diritto. Le nostre spade e il nostro sangue sono le nuove mitologie da recessione morale: gli evasori, gli imprenditori che alzano i prezzi (per servizi che scegli volontariamente di avere), i tassisti che non usano il pos. In assenza di valori da difendere, non abbiamo battaglie che valga la pena di sostenere. E ci scagliamo contro il tema d’attualità social di turno, che in questo caso, essendo estate, non poteva non riguardare le ferie di tutti (anche di chi scrive). Così queste critiche diventano lo specchio di tutt’altro problema, ben più profondo e dalle conseguenze drammatiche: la paura di scegliere. Tanto disabituati a scegliere laddove si può (e si deve), da credere che il dramma sia che l’oggetto che scegliamo non rispetti certi parametri, quando la vera tragedia è che non abbiamo saputo scegliere un altro oggetto che li rispettasse. Risolviamo così la ferita dell’angoscia kierkegaardiana, nel modo peggiore possibile. Pretendendo che non vi sia alternativa tra scelte (aut aut) ma che qualunque sarà la decisione presa, il risultato resti lo stesso.