Da qualche tempo la città di Roma annovera un edificio destinato all’Inps in meno ed un hotel in più. Ciò grazie alla legge berlusconiana del 2004 che prevede la vendibilità del bene pubblico. Il nuovissimo polo del lusso, dunque, fiore all'occhiello del brand Bulgari di proprietà del gruppo francese LVMH, sorge nel quadrilatero razionalista realizzato nel 1937 dal Morpurgo, in seguito agli sventramenti fascisti che sacrificarono enormi porzioni della Roma medioevale e rinascimentale, per le smanie personali mussoliniane. Il fatto che una S.p.A internazionale abbia scelto Roma per investire nella realizzazione della nona stella del firmamento Bulgari, desta un minimo di curiosità e 'preoccupazione", vista l'unicità della Capitale, nel bene e nel male. Molti brand infatti non hanno vita facile in questa città che tutto fagocita e che spesso personalizza fino all'annientamento. Noi siamo andati a vedere di persona come è stato l'impatto di un colosso come Bulgari in una delle zone più storiche di Roma, adiacente all'antico Porto di Ripetta ormai sparito e al Mausoleo che di Ottaviano Augusto e di altri cinque Imperatori conserva le spoglie sacre. L’inimitabile sepolcro sopra il quale fu arso Cola di Rienzo e dal 1700 prosperò un anfiteatro da tremila posti in cui, fino al 1936, si esibirono Wagner e illustri musicisti – dai romani chiamato confidenzialmente er Corea, dal nome dei portoghesi Correa, e Auditorium poi - troneggia spoglio ed oltremodo umiliato da decenni ormai, sotto la scellerata egemonia del Comune di Roma. Percorrendo Via di Ripetta, arrivando da Via della Scrofa, nel quartiere Campo Marzio, si costeggia a sinistra la controversa teca dell'Ara Pacis Augustea ad opera di Meyer, mentre sulla destra la vista sul Mausoleo ci è occlusa dalle ormai quasi ventennali transenne. Transenne che avrebbero dovuto preludere alla riqualificazione di Piazza Augusto Imperatore, della quale fine lavori era prevista dal sindaco Walter Veltroni nel bimillenario della morte dell'Imperatore, nel 2014. Il cantiere ovviamente è ancora chiuso, da quando Alemanno, ca va sans dire, ne annunciò il blocco, vista evidentemente l'insufficienza dei 17 milioni di euro stanziati.
Nel disperato tentativo di non rovinarci la visita, abbiamo volto il pensiero allo scintillio che di li a poco ci avrebbe pervaso. Varcando la soglia del familiare edificio con i portici, sulla Piazza che prende il nome dal primo Imperatore, figlio adottivo di Cesare e fondatore dell'Impero Romano, abbiamo dato uno sguardo agli affreschi di epoca fascista ora restaurati. La loggia dell’Hotel reca infatti i dipinti del meraviglioso e antico Porto di Ripetta andato perduto a causa della furia del piccone e per la prima costruzione della teca dell'Ara Pacis. Vi sono inoltre effigiati Piazza del Popolo e Trinità dei Monti. Gli interni sono un'ode all'eccellenza italiana per quanto riguarda i materiali, a cura del prestigioso studio di architettura italiana Acpv Architechts, come gli altri Hotel Bulgari nel mondo. La vasta area di 17.000 mq è pervasa di travertino ocra e mattoni in terracotta rosso bruciato, nulla a che fare con la precedente umile e popolare tavola calda ‘'Gusto’ che i romani ricordano, dove prima di pranzare si pesava la gamella di alluminio sulla stadera per pagare alla cassa il cibo scelto, che neanche fossimo stati in un romanzo di Primo Levi. Ci accolgono circa quattro ragazze in divisa, della medesima nuance di un iconico bracciale "tubogas" in oro massiccio indossato da Liz Taylor, dopo l’ennesima riconciliazione con Richard Burton. Noi riconosciamo silenti i corridoi dove un tempo sfilava fiera una ‘Sirvana’ qualunque, impiegata statale intenta a redigere burocratiche scartoffie, ma facciamo finta di niente.
In omaggio a Sotirios, visionario coraggioso Patron ellenico che nel 1884 creò l'Impero del Gioiello e scelse Roma per regalargli una casa, ho indossato i miei occhiali griffati Bulgari sentendomi quasi all'altezza del tutto. Già al momento della prenotazione al telefono, l'idea era quella faticosa di approcciarsi a qualcosa che subisse il peso di una certa responsabilità. I luoghi previsti per la ristorazione sono tre: uno al pian terreno porticato, per colazioni, brunch e cene, il bistrot per aperitivi e cene e il ristorante sulla terrazza per cene e convivi di un certo tipo. Ma per motivazioni a noi oscure tutto ci era apparso confuso e anche adesso non giurerei sulla destinazione esatta delle locations. La cosa certa è che tutti i menu sono frutto della sapiente regia dello chef pluristellato Niko Romito; cosa buona, essendo il nostro obiettivo saggiare la rinomata offerta culinaria dello chef abruzzese, al quale sono stati conferiti oneri e onori di rappresentare nel mondo la storica Maison ellenico-romana. Le stanze dei severi ex uffici, destinati al food & beverage, appaiono luminosi show room di eleganti complementi di arredo Italiano in pezzi unici, con sedute fabbricate a Siena, lampade e abat jours di Murano, banconi del bar in marmo nero e torchon con polvere d’oro ad evocare i celebri gioielli, opere d’arte di Bulgari, vetri soffiati e vasellame d'epoca di Ginori. La terrazza del quinto piano gode effettivamente di una vista notevole, abbracciando il Mausoleo Augusteo, San Carlo al Corso, San Rocco in Augusteo e San Girolamo dei Croati e l'impatto visivo - o forse influenzato dalle aspettative- è forte al punto giusto. Sobbolle quel senso di responsabilità emotiva che sento stranamente persistere in me e non ne colgo il motivo effettivo. È qualcosa di inafferrabile, di atavico che sa di storia e di viaggio, di Hollywood sul Tevere e retaggi di Dolce Vita, di lussi da capogiro, oro e diamanti, di ricerca del top in una realtà prosaica come quella odierna romana, di una quotidianità avvezza a anni di degrado in quella Piazza eterna che ospita le vestigia di uno dei padri dell'Urbe. Il tête à tête ha inizio con l'arrivo di un menu anch’esso nelle tonalità oro del brand, firmato da Niko Romito e dalla sua filosofia di semplicità. E semplice appare la sua lista, con i piatti iconici che propone come la sua cotoletta ed il vitel tonné, ci dicono, anche negli altri otto Hotel nel mondo, più due sedi nuove in arrivo in altre capitali.
Scegliamo dunque un solo antipasto "All'italiana", che scopriamo essere una proposta di piatti della Penisola 'a volo d'uccello". Le minuscole portate - servite rigorosamente, ci tengono a farci notare, su piatti Ginori - comprendono un boccone di pane e pomodoro – Bruschetta con Pomodoro Piccadilly Marinato al Gin, 'agli stranieri piace tanto', cit.- uno di Carpaccio di Ricciola alla Pizzaiola, una Polpetta di Bollito al Pesto di Prezzemolo, un segmento di Seppia col suo Nero Bruciato, un assaggio di Vitello Tonnato con Maionese Leggera di Tuorli Sodi e Polvere di Pomodoro e Cappero, un boccone di Tortino di Pasta alla Scamorza ed un'Ostrica in salsa di rafano. E un Fiore di Zucca al Vapore con Ricotta Vaccina e Acciuga. Il tutto accompagnato dal superbo pane di grani antichi abruzzesi, Solino e Segranella, crackers alla paprica e grissini al miele di castagno, ottimo olio ‘Leccino e Frantoio’ della tenuta Bulgari presso Civita di Bagnoregio e Consommé di Pomodoro, Tequila ed Infuso al Jalapeño. Ad onor del vero avrei fatto volentieri a meno dell'antipasto per saziarmi dell'ottima pagnotta "intinta all'olio", per dirla in gergo nostrano e come sicuramente avrebbe fatto anche Augusto, li davanti. Il consommé, all'interno della sua brava tazza Ginori all’uopo destinata, presentandosi come un gazpacho o più prosaicamente come 'na tazza de sugo', ai dissacranti calpestatori di sampietrini e arroganti guidatori di bighe quali noi siamo, mi ha ricordato una certa scena del film "Il pranzo di Babette'. Dopo un momento di esitazione abbiamo rotto la sacralità degli indugi e lo abbiamo trangugiato come un cappuccino. Buono. Cercando di dissimulare i dna di Augusto e Mario Brega che albergano dentro di noi - credo più di Mario Brega - abbiamo affrontato lo Spaghettone con Cozze, Pompelmo Bruciato e Maggiorana, trovandoli al dente, avvolti nella voluttuosa salsa, con persistente retrogusto salino di mitili. Tralasciando il qui pro quo della Terrina con Bietole dimenticata dall’ottimo staff giovane e cordiale - menzione speciale per il grande Simone figlio della Lupa- abbiamo potuto toglierci la curiosità su cosa amasse mangiare l'Imperatore.
La Trota in Salsa di Fichi, Mandorle e Alloro pare fosse il suo cibo preferito, dal gusto estremamente delicato, è chiusa a libro ed effettivamente semplice ma innovativa. Sempre con quel bizzarro senso di attesa ed incompletezza, nel nome di Sotirios Voulgaris, italianizzato in Bulgari, o chi per lui ormai, abbiamo inforchettato i contorni serviti in singoli piattini, come a casa mia. E di certo anche a casa del Sor Augusto, se ci avesse invitati; pomodorini datterini già conditi con olio e basilico, melanzane in agrodolce troppo crude, patate novelle al forno e fagiolini all'olio. Materie prime dell'orto buone, senza dubbio e ci mancherebbe altro. Ma noi aspettavamo ancora di sorprenderci ad esclamare ‘wow’. La considerazione da fare è che sono piatti da 50 euro, scelta compiuta per dissuadere un certo tipo di utenza e allontanare peones disturbatori. Ma nemmeno elevarlo a locus amoenus per clientele eccessivamente esclusive. In questa ottica non ci si può permettere di dimenticare le ordinazioni dei clienti, scambiando proteine con carboidrati, per quanto per noi perdonabilissimo, ci mancherebbe. Lo staff ha tenuto a rimediare con lodevole estrema gentilezza. Per quanto riguarda la cucina di Romito, lo chef sceglie sapori mediterranei, unici perché tipici dello Stivale e per questo in grado di stupire un forestiero o il pubblico di Hong Kong, ma non un qualsiasi italiano che usi rifornirsi abitualmente presso un buon verduraio sotto casa piuttosto che in un supermercato scadente.
Per terminare, insieme ad un Moscow Mule analcolico e sotto un cielo stellato romano che dal quinto piano di Bulgari appare più esclusivo, abbiamo finito con un Tiramisu non particolarmente degno di nota, se non che all’interno si apprezzasse una cialda croccante di caramello. La lista di vini, caffè italiano ed infusi è ben nutrita e di qualità, ma noi abbiamo optato per dell’ottima acqua liscia, saldando un conto di 200 euro in totale, comprendente un antipasto, un primo, due secondi, quattro piccoli contorni, un dolce e un assortimento di pani. Tornando con i piedi per terra, grazie all’ascensore, abbiamo avuto modo di passare dinanzi al’entrata principale, sotto i portici, dove un Ottaviano Augusto a dimensioni umane siede sul suo trono all’ingresso, salutandoci alzando la mano a paletta come a dire ‘Anvedi questi’. Noi gli sorridiamo per il fatto di renderci, ogni giorno e nonostante tutto, un po’ fieri di essere nati in questa sgangherata, allucinante, superba, eterna ed unica città che è Roma.