Ma siamo proprio sicuri che a Giorgia Meloni in realtà non facciano comodo, le epurazioni da destra contro personaggi di destra? Che alla premier, con ben altre gatte da pelare rispetto a un Filippo Facci cancellato dalla tv pubblica per una frase gratuitamente volgare, a conti fatti non convenga che certi elementi “dannunziani”, e pertanto incontrollabili, siano tenuti a distanza di sicurezza da posti politicamente sensibili, come i palinsesti Rai? Il silenzio può avere un duplice significato in politica: d’imbarazzo, ovverosia meglio tacere per non alimentare polemiche e spegnere quanto prima l’incendio; o di assenso, della serie, per la Meloni, me ne sto zitta per far intendere che a me sta bene così. E cioè, nello specifico, che Filippo Facci fuori da viale Mazzini sarà sì, d’accordo, una brutta figura per la nuova gestione targata centrodestra, ma è pure un chiarissimo segnale, lanciato anzitutto ai suoi, che gli irregolari, gli estremisti nei toni, i “cavalli pazzi” arrecano più danni che vantaggi e perciò è preferibile restino dove sono. Il malcontento che serpeggia fra sostenitori del governo, per un governo “debole” che non si impone e non lottizza come ci si sarebbe potuto aspettare, ossia senza far prigionieri, fregandosene di intemperanze (per altro del tutto abituali e di solito apprezzate, per esempio in un Facci, aduso da sempre all’intemerata di dubbio gusto) è una scontentezza ingenua, da tifosi o famelici teorizzatori dello spoil system uguale e contrario a quello della sinistra. Alla Meloni tornano molto più utili coloro che interpretano il nuovo corso di destra in modi più prudenti, mediani, senza far casino, senza controproducenti provocazioni. Perché per durare, imperativo categorico per chiunque stia a Palazzo Chigi, sono le asprezze e le trasvolate pindariche da narcisi in cerca di potere, mediatico o politico, a risultare poi auto-goal da dover gestire e che ricadono, in ultima analisi, su di lei e sul buon nome della sua compagine.
Questo vuol dire che la necessariamente democristianizzata Meloni non può che prediligere la linea moderata invocata da un giornale non nemico come il Foglio diretto da Claudio Cerasa, anziché quella bellicosa dell'amico e schieratissimo Libero, guidato da Alessandro Sallusti. Il quotidiano fondato da Vittorio Feltri, con quel suo taglio permanentemente sopra le righe, va benissimo finché soddisfa la nicchia di lettori schierati amanti del sangue e dello scontro, ma non può essere rappresentativo dell’indirizzo dominante nel mondo filo-governativo. Tanto è vero, come già abbiamo avuto modo di scrivere, che il gruppo Angelucci, proprietario di Libero e del Tempo e ora anche del Giornale, specialmente a quest’ultimo darà una forma, rispetto alle altre testate, più rassicurante, da house organ autorevolmente conservatore, magari con innesti provenienti dal Corriere della Sera (Ernesto Galli della Loggia, “papa” del pensiero liberale), quando non addirittura da Repubblica (Luca Ricolfi, ormai goduto più a destra che a sinistra). Ci sta dunque che Libero, ospitando la firma di Facci in prima pagina, oggi spari il titolone “La Rai si arrende, comanda il Soviet”, criticando la destra, e quindi la Meloni, che immola il polemista per una “crociata moralistica”, meritandosi così “l’egemonia rossa”. Ci sta perché si dà così lo zuccherino compensatorio agli spalti della tifoseria, frementi rabbia per questo andazzo tutt’altro che appagante, tutt’altro che da conquistatori e saccheggiatori del bottino da sottrarre all’odiata sinistra. Ma onde evitar ulteriori future rogne, il siluramento di Facci vale come il classico esempio per cui se ne punisce uno per educarne cento. Che latrino pure, dunque, i cani da guardia più realisti del re, gli zeloti dell’assalto alla diligenza: la Meloni, saggiamente dal suo punto di vista, preferisce apparire arrendevole nell’immediato per essere più forte nel medio periodo. Opta, in sostanza, per una strategia che sappia sacrificare pezzi della sua stessa parte, piuttosto che agire con il corto respiro della sola tattica, esponendosi ai pericoli e agli agguati causati da qualche testa calda.
È quanto va sostenendo in controluce, come si diceva, il Foglio. Il giornale di Cerasa, che è più di centro che di destra, non si lascia scappare un’occasione per infilzare il governo su tutti quei personaggi, solitamente ascrivibili alla detestata destra “sovranista” (ergo, non liberale), ritenuti inadeguati o impresentabili. Prima ha fatto dimettere da consulente del ministro della cultura Sangiuliano un Francesco Giubilei in quanto pizzicato alla presidenza di una fondazione beneficiaria di finanziamenti ministeriali. Poi ha bombardato e bombarda con attacchi frontali sul caso Santanchè, Delmastro e La Russa, respingendo per illegittimità la tesi meloniana, un tempo cara ai berlusconiani, del “complotto” dei poteri forti. Da ultimo, sta mitragliando il sottosegretario alla cultura, Gianmarco Mazzi, reo di rivestire contemporaneamente il ruolo di agente di Massimo Giletti. In generale, il Ciliegia (logo con cui si firma Cerasa) sta mandando il seguente messaggio al governo: pota i rami ingombranti e squalificanti, sfronda l’albero dalle fonti di imbarazzo, fai volentieri a meno di quegli indesiderabili che portano solo guai, vuoi per arroganza, esibizionismo o troppa furbizia. Insomma, cara Meloni, fa’ la Presidente del Consiglio istituzionale e assennata, cauta e ponderante, non l’ex capo di opposizione con la fregola di sistemare le proprie affamate schiere. E soprattutto, sii più centrista, liberale e moderata che destrorsa, sovranista e oltranzista. Esattamente quanto, almeno in via tendenziale, sta facendo la Meloni dal primo giorno del suo insediamento. O meglio, sta tentando di fare, dovendo però accontentarle anche un po’, quelle assetate schiere. Per debito politico se non, come riguardo al “padre” putativo Ignazio La Russa, per legame personale. Quanto a Facci, beh: Facci suoi.