L’ambizione è tanta: trasformare il Giornale in un Corriere di destra e programmaticamente filo-Meloni, facendo concorrenza diretta all’originale, il quotidiano di via Solferino che, Repubblica a parte (sia pur da sinistra), nessuno ha mai cercato di insidiare nel suo stesso terreno. Un progetto, ancora tutto sulla carta, così glorioso da risultare un tantinello, forse, vanaglorioso. È il rumor riportato da Gianluca Roselli sul Fatto Quotidiano di oggi, riguardante la strategia che avrebbero in mente i nuovi azionisti di maggioranza del Giornale, Antonio e Giampaolo Angelucci, padre e figlio, imprenditore sanitario nonché deputato leghista il primo, propriamente editore il secondo, oltre che della testata che fu di Indro Montanelli, anche di Libero e del Tempo. Il piano si concretizzerebbe già a metà luglio con la nomina del nuovo cda, innanzitutto nel trasferire l’attuale direttore di Libero, Alessandro Sallusti, al Giornale al posto di Augusto Minzolini, berlusconiano doc e pertanto troppo legato a un passato da superare. Per Sallusti sarebbe la seconda volta, visto che è già stato direttore dal 2010 al 2021. Purtroppo, come è noto in Italia l’usato sicuro, per non dire lo strausato, è la scelta preferenziale, o addirittura obbligata, nelle logiche castali della classe dirigente. Gli Angelucci evidentemente desiderano chi dia loro totale sicurezza e affidabilità, a prescindere dalle caratteristiche peculiari del soggetto in questione. Se l’idea è infatti di corrierizzare, cioè allargare il bacino di lettori e rendere più autorevole un foglio oggi di nicchia, senza più un’identità precisa e privo di mordente, Sallusti può andar bene, a patto però si corrierizzi anche lui. E cioè che dica addio al modello Feltri e assuma un atteggiamento, per carità, sempre fazioso, ma in modi e con maniere più urbane, e soprattutto meno scopertamente. A meno che neppure gli Angelucci abbiano ben focalizzato che cosa vogliono – cosa sempre possibile, è consigliabile non sopravvalutare la finezza intellettuale dei padroni del vapore.
Il dubbio viene confrontando Sallusti con i nomi che circolano sui possibili vicedirettori: Francesco Verderami e Salvatore Merlo. Il primo è il retroscenista principe del Corrierone, il secondo il vice di Claudio Cerasa al Foglio. Loro sì firme moderate, come toni e come idee, e quindi coerenti con l’obiettivo di base. Ce li vediamo non benissimo, in un ménage à trois con l’Alessandro sempre un po’ furioso. Anche il parco editorialisti sarebbe molto poco sallustiano: si parla di Ernesto Galli della Loggia, che sul Corriere detta la linea liberal-conservatrice (più liberale, che conservatrice: non va confuso con Sergio Romano); di Luca Ricolfi, sociologo che polemizza più spesso e volentieri con la sinistra che con la destra, e infatti scrive su La Repubblica; di Pierluigi Battista, ex fondista del Corriere, anche lui liberale, anche lui con il collo girato stabilmente a destra. Per la verità questi sono gli opinionisti in pole position nella rassegna stampa mattutina di Giorgia Meloni, che, per quanto se ne sa, amerebbe abbeverarsi più alla cara vecchia carta stampata che ai talk televisivi (o men che meno al caotico, ma più vitale, mondo del web). Bisogna anche capirla: la Meloni proviene da una lunga gavetta in era pre-digitale e la sua forma mentis si è formata ispirandosi alla solidità vieux style degli Almirante e dei Fini, senza contare la sua radicata diffidenza per il piccolo schermo, in cui già andava poco prima, figuriamoci adesso. È una tradizionalista, insomma. Certo è che, se il Giornale dovesse includere personalità che di destra-destra non sono, effettivamente il disegno di erodere posizioni al Corriere sarebbe teoricamente fattibile. Tutti i cartacei sono diventati infatti organi d’opinione, perché il flusso di cronaca ormai il lettore-utente medio lo vede scorrere sul feed dei propri social o googlando sul motore di ricerca. Anche se poi a compulsare davvero i pensosi editoriali o le rubriche di idee sono una minoranza della minoranza, per gli addetti ai lavori è lì che si crea e si offre lo spirito, la linea di una testata giornalistica. È il medagliere dei pensatori da prima pagina, a dare l’impronta che a cascata condiziona tutto il resto.
L’aspetto problematico della virata al centro (imitare il Corriere), con un direttore di destra (Sallusti) e un riferimento politico ancora più di destra (la Meloni), è riuscire a tenere assieme i pezzi e fonderli in armonia. Confezionare un Giornale che assomigli a quello originale, montanelliano, di destra non sguaiata e non ringhiosa, ma pacatamente schierata, conservatrice nel senso british del termine, non è facile perché il lettore di quell’area è abituato da vent'anni, Berlusconi imperante, alle voci sopra le righe, all’offensiva messa giù piatta e feroce, alla barricata permanente. Questo da un verso. Dall’altro, il Corsera non pare così sbilanciato sull’opposizione, anzi. Perché mai allora nel suo seguito dovrebbe staccarsi una fetta, ipoteticamente attratta da un rivale filo-governativo? La sensazione è che l’operazione, come si accennava poco sopra, si rivolga più al ristrettissimo mondo, praticamente qualche migliaio di persone a farla grande, di coloro che comprano ancora la “mazzetta” di giornali su carta e la divorano come si faceva trent’anni fa. In pratica, i politici e parte minoritaria dell’establishment economico-burocratico. Gli Angelucci rischiano di rinnovare un Giornale per renderlo in realtà ancora più antico. Ma probabilmente il verbo “rischiare” è fuori luogo: può benissimo darsi che i re delle cliniche abbiano la consapevole intenzione di fare proprio questo, ovvero che a loro interessi più quella manciata di lettori che si pesano, dalla Meloni in giù, che non i lettori che si contano, i paganti in edicola e gli abbonati sul web. Siamo sempre lì: l’informazione mainstream italiana è ancora inchiodata al soddisfacimento della minuscola cerchia di chi comanda. È nella sua essenza oligarchica. Un lobbismo mascherato.