Compie 50 anni, Jacques Villeneuve, ed è impossibile non tornare con la mente ai tempi del suo successo mondiale in Formula 1, nel 1997. Basta chiudere gli occhi, ed eccolo là, con i capelli biondo platino, gli occhiali da vista tondi inforcati nel paddock e quelle tute molto più grandi della sua taglia. Era personaggio senza scegliere di esserlo, Jacques, con il suo aspetto trasandato fuori dalla pista e quel casco così caratteristico al volante della sua Williams FW19 delle meraviglie. Paradossalmente star senza desiderarlo, spogliato di fronzoli, a differenza di chi vuole esserlo a tutti i costi.
Jacques quel casco se lo disegnò da solo. All’epoca era una sorta di biglietto da visita per i piloti, che mantenevano lo stesso motivo per tutta la carriera, come un segno di riconoscimento. Scelse inconsciamente i colori di una vecchia polo di sua madre. Rosa, giallo, verde e blu. Così come dall’inconscio sgorgò anche quella V nascosta nel motivo. V come Villeneuve, un cognome pesantissimo, in Formula 1. Carico delle aspettative che suo padre, Gilles, non aveva potuto concretizzare, portato via, come Icaro involato, in un giorno di maggio a Zolder, quando Jacques aveva appena 11 anni.
Ma Jacques non intraprese la carriera di pilota per completare il percorso interrotto tragicamente da suo padre. Fu una decisione totalmente sua, forse frutto di quell’humus di macchine e di gare vissute viaggiando su un camper in cui trascorse gli anni formativi della sua infanzia. Figlio dei motori, insomma, e non solo di un padre ingombrante, di cui è sempre stato fierissimo, ma da cui non è dipesa la sua scelta di vita. Ha cercato di spiegarlo, ad inizio carriera, ma è stato travolto da una narrazione forzata, quanto affascinante, che faceva sublimare padre e figlio in un’identità sola, totalizzante.
E allora ha smesso di discuterne pubblicamente, lasciandosi andare ad esternazioni solo nel suo altro grande amore oltre alle corse, la musica. Un ambito in cui ha potuto raccontare senza forzature suo padre. Libero dal giogo che attanaglia anche Mick Schumacher, che ha difeso da domande a suo dire indiscrete riguardo a Michael con la forza di chi ha vissuto la stessa esperienza, pur peccando di eccessiva irruenza. Un suo marchio di fabbrica. Perché quella di Jacques è una lingua tagliente, di chi non ha nulla da perdere e non ha paura di dire la sua.
È sempre stato così quando correva nel Circus, e non è cambiato ora, a cinquant’anni, in veste di opinionista TV. Jacques è l’ultimo dei grandi ribelli della F1, quelli che non avevano timore di esprimere il proprio pensiero. Bruciante, spiazzante, affascinante nella sua incredibile schiettezza, Villeneuve negli anni non ha perso lo sguardo furbo di chi sa che sta per dirne una delle sue. Se ne frega, delle conseguenze. E in una F1 patinata, asettica, come quella attuale, un personaggio del genere allude a epoche diverse, più sanguigne.
Pensi a Jacques Villeneuve cinquantenne e lo rivedi ventiseienne alla Dry Sac, testa a testa con Michael Schumacher. Quella di Jerez fu la sublimazione di una lotta tra due piloti che non sarebbero potuti essere più diversi di così nemmeno se fossero usciti dalla penna di uno scrittore. Jacques caustico, Michael tanto asettico, quanto spietato in pista. Jacques tentò il sorpasso, Michael si difese chiudendolo con foga e gettando nella sabbia la sua monoposto e le sue speranze mondiali. Fu polemica, onta, squalifica. Michael avrebbe vinto moltissimo, dopo. Ma quel giorno vinse Jacques.
Fece quello che suo padre non aveva potuto fare, ottenere un mondiale di Formula 1. E ci riuscì con la Williams, allora acerrima nemica della Ferrari, suscitando emozioni contrastanti in chi, da tifoso della Rossa, aveva amato con trasporto suo padre e aveva seguito la parabola ascendente del figlio con la benevolenza dell’amico di vecchia data. Ma quello che contava di più in quel momento, per Jacques, era aver battuto Michael. Più forte di una Ferrari ancora deficitaria, ma non di lui, almeno quel giorno. Perché, in quella domenica a Jerez, la foga aveva reso Schumacher vulnerabile.
Poi sarebbero arrivate scelte controverse, delusioni in pista, ma il 26 ottobre del 1997 il futuro di Jacques era solo un punto sfocato, abbagliato da un presente destinato a diventare passato glorioso. Il podio con Hakkinen e Coulthard a sollevarlo, la festa con i meccanici della Williams con la parrucca bionda come la sua zazzera. Quei capelli che furono l’ennesimo simbolo di ribellione di un uomo che ha fatto dell’anticonformismo uno stile di vita. Senza paura, com’era suo padre. Ma unico nelle sue manifestazioni di coraggio. I capelli non sono più biondi, le tute sono sempre larghe, la lingua è ancora taglientissima. Jacques, a 50 anni, continua a correre, ad esprimere la sua straripante personalità, a dire la sua. Ribelle, ieri come oggi.