Nella casa in cui crebbe Kimi Raikkonen, il bagno era all’esterno. L’idea di costruirne uno all'interno era stata accantonata senza un plissé per finanziare il percorso di Kimi nei kart. Poco importava che ad Espoo, in Finlandia, per buona parte dell’anno fuori si gelasse. Erano gente dalla tempra forte, i Raikkonen, pronti a fare sacrifici per un futuro migliore.
Il papà di Raikkonen, Matti, lavorava di notte come tassista e buttafuori nei locali per racimolare soldi per la carriera del figlio. A 16 anni Kimi decise di lasciare la scuola per iscriversi ad un corso per diventare meccanico. Credeva che fosse l’unica strada possibile per continuare nel motorsport. Si sbagliava di grosso.
Il suo talento era strabordante, talmente evidente da fargli fare il salto di qualità con all’attivo una manciata di gare su monoposto. A poco più di vent’anni, Kimi fu catapultato su una vettura di F1, una Sauber, al Mugello. Sul monitor dei tempi c’era uno pseudonimo. Eskimo, come la marca di gelati che aveva finanziato il test. Raikkonen si rivelò veloce, maledettamente veloce. Lo notò anche Michael Schumacher, che, incuriosito dal misterioso esordiente, andò a bussare in casa Sauber, per chiedere delucidazioni. E dare un consiglio: dovevano prenderlo, a tutti i costi. Sarebbe andata proprio così. Il laconico, ma incisivo Raikkonen aveva già fatto breccia nel cuore di Peter Sauber, che lo volle con sé per la stagione 2001.
Ironia della sorte, sarebbe stato proprio Raikkonen, quasi sette anni più tardi, a prendere il posto di Schumacher in Ferrari. Il 2007, anno del debutto di Kimi alla Rossa, fu molto strano, denso di intrighi e di complicazioni. Tutto nacque dal desiderio di vendetta di Nigel Stepney, capo meccanico della Ferrari in cerca di rivalsa dopo aver mancato la promozione a direttore tecnico. Tanto fiele lo rese cieco: tentò di sabotare le F2007 di Raikkonen e Felipe Massa a Montecarlo, mettendo del fertilizzante nei serbatoi.
Una mossa scellerata, come quella, che gli costò tutto, di passare i progetti della monoposto della Rossa ad un amico. Mike Coughlan, il capo progettista della McLaren.
Nacque così quella che sarebbe entrata negli annali come Spy Story. A sventare il tutto fu l’umile proprietario di una copisteria nel Surrey, dove la moglie di Coughlan aveva portato 780 pagine di documenti con il logo del Cavallino Rampante in bella vista per farne una copia. Ad accendere la miccia fu una semplice mail inviata dall’improbabile comprimario della limacciosa vicenda in quel di Maranello: “Credo che questa sia roba vostra”. Da lì si scatenò il putiferio: i carteggi tra i piloti della McLaren, le indagini, le sentenze della FIA, con la squalifica della McLaren a fine stagione. Ma in McLaren c’era burrasca anche tra i piloti, l’insolente, orgoglioso rookie Lewis Hamilton e il capriccioso, irascibile Fernando Alonso. Talento da vendere, incompatibilità manifesta.
Tirava una brutta aria, ma sarebbe stato difficile immaginarsi l’epilogo della stagione. Alla vigilia del GP di Interlagos del 2007, i più avveduti ritenevano impossibile che Raikkonen potesse vincere il mondiale. I numeri effettivamente non erano dalla sua: aveva 100 punti in classifica, contro i 103 di Alonso e i 107 di Hamilton. La logica voleva che il mondiale se lo giocassero i due della McLaren. Contrariamente alle aspettative, però, Raikkonen quella gara la vinse, davanti a Felipe Massa ed Alonso, con Hamilton solo settimo. E a spuntarla fu lui, per un solo, insignificante punto. 110 contro i 109 dei fratelli coltelli della McLaren, rimasti fregati come i proverbiali litiganti.
Nessuno avrebbe scommesso su Raikkonen, ma lui, lo avrebbe detto ex post, non aveva mai smesso di credere in quel successo che pareva vicinissimo, ma allo stesso tempo irrimediabilmente lontano. Contro ogni previsione, il 21 ottobre del 2007 Kimi Raikkonen vinceva il mondiale di F1, esaudendo quel desiderio espresso a soli otto anni a mamma Paula.
“Diventerò campione del mondo”, le aveva detto abbracciandola. Di cosa, non lo sapeva. Come non sapeva che, vent’anni più tardi, tutti i sacrifici che la sua famiglia avrebbe fatto per lui sarebbero sublimati in quel trionfo splendido, indimenticabile.
Anche oggi, a distanza di quattordici anni esatti.
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