Quella di 31 anni fa non fu una bella domenica per gli italiani. Anzi, tutto il 1990 non fu un bell'anno per gli italiani. La Nazionale di calcio avrebbe dovuto vincere i Mondiali e Alain Prost, il 21 ottobre, avrebbe potuto riportare a Maranello il titolo di campione del mondo di Formula 1.
Non andò così. Quel campionato lo vinse Ayrton Senna, il secondo di tre, in una domenica fatta di risentimento.
Un rancore lungo un anno intero, che partì da Suzuka 1989 e arrivò fino a Suzuka 1990.
Sempre lì, di nuovo uno contro l'altro, sempre loro: Senna e Prost. Ma con un finale molto diverso.
L'anno prima Ayrton fece il Senna, quello della leggenda: si toccò con il compagno di squadra dopo una rimonta clamorosa e, al posto di abbandonare la gara come fece Prost, rientrò in pista - senza musetto - e vinse. Ma perse. Lo squalificarono e il titolo andò al suo avversario.
A Senna quella sconfitta non andò mai giù, due cose non gli piacevano: perdere e la politica dietro allo sport. E in Suzuka 1989 ci vedeva entrambe.
Così l'anno dopo, in Giappone, il brasiliano ci arrivò diverso. Sempre il Senna legato alla sua spiritualità, l'uomo fragile, umano, incredibilmente vicino a ognuno di noi pur essendo così lontano. Solo che, in pista, non si poteva più chiedere ad Ayrton Senna di porgere l'altra guancia.
Non si possono chiedere certe cose ai piloti, e una di queste, forse la più impossibile, è domandare ad un uomo di essere lo stesso dentro e fuori dalla pista.
Quel giorno Senna lo dimostrò. Si prese la sua vendetta - un anno dopo - e conquistò un mondiale che, negli anni, portò avanti più come la zavorra di una ripicca che la soddisfazione di un vittoria.
Suzuka 1990 però ci insegna proprio quello che non possiamo chiedere a un pilota, nemmeno se il suo nome è Ayrton. E allora tutto nella storia del motorsport prende una vena diversa, ogni litigio nato dentro a un autodromo - e trascinato fuori - ha l'aspetto di una storia che è ciclica, e si ripete.
Hamilton e Rosberg, fratelli ai tempi dei kart e acerrimi nemici da compagni di squadra. Con uno che pur essendo un sei volte campione del mondo ancora non riesce a tollerare la presenza dell'altro nei paddock, ora che si è ritirato. Niki Lauda e James Hunt, Sebastian Vettel e Lewis Hamilton, Daniel Ricciardo e Max Verstappen.
Tutti così, tutti preda di quell'agonismo che li ha portati fino in Formula 1, i migliori tra i migliori.
Proprio come Senna e Prost, in quel giorno di 31 anni fa. Il giorno in cui abbiamo capito che a un pilota non si può chiedere di porgere l'altra guancia. Anche se ti chiami Ayrton Senna.