Nicola Franchini ha 29 anni e vive a Carpaneto Piacentino, lì dove la monotonia della pianura viene spezzata dai dolci profili dei colli preappenninici. Dove rotonde e rettilinei da sonno lasciano spazio a curve, pieghe e cambi di pendenza. Strade statali perfette per un giro in bici, in moto - su una Ducati 848 blu elettrico con dettagli tricolore - per respirare l’aria pulita della campagna a pieni polmoni. Nastri d’asfalto ondulati, adagiati tra querce e campi di girasoli, lontani dal rumore della città, delle autostrade, delle ferrovie.
Quelle strade Nicola le frequentava una volta ogni tanto, le calpestava solamente quando aveva bisogno di sentirsi veramente a casa. Perché lui, Nicola, era sempre in giro. Lavorava come tecnico dell’assistenza per i macchinari della Mandelli Sistemi di Piacenza, azienda specializzata nella produzione di apparecchiature meccaniche aerospaziali. Una settimana in Francia, l’altra in Germania. Qualche giorno dopo l’incidente, Nicola sarebbe dovuto andare a Houston (dicono sia sede di un’agenzia aerospaziale piuttosto nota) per montare una macchina. In quei giorni, però, succede l’imponderabile. Accade tra le strade di casa, dove chiunque si sentirebbe protetto. La vita di Nicola viene stravolta in un istante maledetto. Forza di volontà e spirito di sopportazione, però, restano intatti. Lui ricompone la sua quotidianità con pazienza, tra sale operatorie e studi di fisioterapia. Ma a tutto c’è un limite, e anche il limite di Nicola viene oltrepassato. Così chiede di poter raccontare la sua storia, noi lo chiamiamo subito. La voce è segnata da un’emozione fresca - una punta di nervosismo tanto genuina quanto inscalfibile. Nicola risponde tutto d’un fiato, perché le note dolorose sono tante. Meglio espellerle in fretta.
Nicola, andiamo con ordine. Riesci a ricordare l’incidente?
“Il 23 febbraio 2022 ero con la mia 848 nei pressi di Castell’Arquato, non lontano da casa. All’improvviso dei caprioli mi hanno attraversato la strada. Ho frenato di colpo, la moto mi ha sbalzato in avanti e sono finito con testa e corpo contro il guard rail. Da lì in poi non ricordo nulla. So solo che mi hanno portato all’ospedale Maggiore di Parma con un edema cerebrale, bacino, omero e clavicola rotti”.
Per quanto tempo sei stato ricoverato a Parma?
“Dall’ospedale mi hanno dimesso in aprile dopo due interventi chirurgici. L’edema cerebrale ha impiegato circa un mese per riassorbirsi, dopo l’incidente non riconoscevo nemmeno i miei genitori. Sono alto un metro e novanta, ero piuttosto muscoloso per via del mio lavoro. Fatto sta che quando sono entrato al Maggiore pesavo 110 chili. Sono uscito che ero 75 chili”.
Come te lo spieghi?
“Nel primo mese di ricovero l’ospedale era l’unica entità che potesse occuparsi veramente della mia nutrizione. Io con l’edema cerebrale non ricordavo niente e i miei genitori non potevano visitarmi causa Covid. Sulla mia cartella clinica c’è scritto che in certi momenti deliravo, non riuscivo a stare fermo. Per due volte sono caduto dal lettino dell’ospedale. Non proprio la cosa migliore per un paziente con fratture multiple…”.
Quando ti hanno dimesso dal Maggiore in che condizioni eri?
“Il braccio destro non lo muovevo. Pensavano che il nervo radiale si fosse bloccato, fosse andato in stupor. Ipotizzavano una lesione del plesso brachiale insomma. Dicevano l’avrei recuperata nel tempo, con la fisioterapia. Poi una risonanza al plesso brachiale me l’hanno anche fatta. Era tutto a posto. Per l’ospedale non c’erano danni evidenti”.
E hai cominciato subito con le sedute di fisioterapia.
“Esatto. Da aprile a ottobre ho fatto fisioterapia privatamente per recuperare il movimento del braccio. Proprio a Carpaneto lavora un fisioterapista della nazionale di rugby. Su suo consiglio e su suggerimento di un amico di famiglia, ex primario di ortopedia a Brescia, ho iniziato a fare alcuni esami specialistici. Il braccio, nonostante la fisioterapia e l’elettrostimolazione, non dava risposte. Infatti a Brescia, dal dottor Marcoccio (il suo nome l’avevo trovato anche su un forum di persone con lesioni simili alla mia), è emerso che il nervo radiale non fosse solo ‘addormentato’. Era proprio danneggiato”.
Così si arriva alla terza operazione chirurgica.
“Sì, lo scorso ottobre mi sono sottoposto ad un autotrapianto di nervi, a Brescia. Praticamente il dottor Marcoccio mi ha tolto una parte del nervo surale della gamba, un nervo sensoriale, e poi l’ha innestata nel braccio, sul nervo motorio. Un intervento quasi ‘al buio’: mi ha dovuto aprire il braccio per capire in che punto il nervo radiale fosse danneggiato, perché dagli esami (elettromiografie ed ecografie ai nervi) non si vedeva nulla. L’operazione è stata complessa ma è riuscita bene. Infatti Marcoccio mi ha subito prescritto un anno di fisioterapia, fissando la prima visita di controllo a sei mesi di distanza dall’intervento. In sostanza sarei dovuto tornare da lui il mese prossimo”.
Dopo l’intervento hai deciso di riprendere privatamente con la fisioterapia oppure hai percorso un’altra via?
“Dopo l’operazione di ottobre ho inviato la richiesta per fare fisioterapia con l’AUSL (Azienda Unità Sanitaria Locale, ndr) per risparmiare un po' di soldi. Privatamente un’ora di fisioterapia costa 55 euro al giorno, e io dovevo farle tutte i giorni, dal lunedì al venerdì. Oltretutto, a novembre, mi sono scaduti i sei mesi di malattia dal lavoro, e la Mandelli Sistemi mi ha licenziato. Con i tempi del servizio pubblico ho iniziato a fare fisioterapia a dicembre, nella struttura riabilitativa di Villanova, a Fiorenzuola d’Arda. La dottoressa Orsi, una fisiatra, mi ha messo giù un piano di 20 sedute. Dopo 4 sedute si è ripresentata e mi ha detto: ‘Non ha senso continuare perché il tuo braccio non lo recupererai, non illuderti’ “.
Come hai reagito?
“Sul momento ho solamente risposto: ‘Allora dottoressa se tutti fossero come lei non avrebbe nemmeno senso curare i malati di tumore, tanto c’è probabilità che muoiano’. Lei ha ripetuto che mi illudevo, che comunque la mia vita non era in pericolo e il mio caso non fosse grave come altri, che non aveva senso continuare. Io ci sono rimasto talmente male che sono andato via. Dopo quello che ho passato io, una frase del genere può spedirti direttamente in depressione”.
Fino a quel momento come erano andate le sedute?
“A Fiorenzuola la fisioterapista arrivava regolarmente quindici minuti in ritardo. Quel quarto d’ora non lo recuperava con la scusa che dovesse scendere in altri reparti, da pazienti più importanti, con lesioni spinali. Diceva che arrivava tardi perché il figlio faceva i capricci. Dopo tre sedute mi sono ammalato e per due giorni e non mi sono presentato. Poi si è ammalata la fisioterapista, che è rimasta a casa due settimane. Quando sono tornato ho fatto la quarta seduta ed ecco apparire la fisiatra, dottoressa Orsi, che mi comunica che quella seduta sarebbe stata l’ultima, poiché le 20 giornate prestabilite erano decorse”.
Riprendere con la fisioterapia da privato è diventata l’unica opzione. Senza il posto di lavoro in Mandelli e, immagino, senza la copertura di un’assicurazione personale.
“La sfortuna è che avevo un’assicurazione aziendale sul lavoro. In media trascorrevo un weekend al mese a casa. Quindi, essendo sempre in giro, non me la sentivo di avere un’ulteriore assicurazione, che comunque non credo sarebbe servita perché sono uscito di strada da solo. Nell’incidente non sono state coinvolte terze persone. In ogni caso, fin quando Mandelli non mi ha licenziato, pagarmi le sedute di fisioterapia era sostenibile, poiché percepivo uno stipendio da trasfertista. Lo scorso mese ho trovato lavoro come front desk agent per Nordmeccanica, sempre a Piacenza. Pianifico l’assistenza ai clienti, ma lavorando dall’ufficio tutto è cambiato. Per capirci: da cinquemila euro al mese sono passato a milleottocento. La fisioterapia costa sempre 55 euro al giorno, tutti i giorni. Basta fare un rapido conto…”.
Nel frattempo hai ottenuto un primo riscontro sul recupero del braccio?
“Qualche settimana fa, dopo quello che mi ha detto la fisiatra, sono tornato anticipatamente dal dottor Marcoccio. Mi ha rassicurato, ribadendomi che i risultati sulla mobilità del braccio non si sarebbero visti a meno di 6 mesi di distanza dall’operazione. Infatti era sorpreso che fossi tornato da lui così presto, ma le parole della fisiatra lo stupivano ancor di più. Marcoccio mi ha spiegato che il nervo motorio del braccio, lungo 30 cm, si riattiva un millimetro (o anche meno) al giorno. Quindi per un recupero completo ci vuole un anno, come minimo. L’AUSL dopo 5 giorni mi ha mandato via”.
Con la dottoressa Orsi hai avuto altre occasioni di confronto?
“Le sue parole mi avevano paralizzato, non c’era stato un vero confronto verbale. Nei giorni successivi avrei voluto rivederla, parlarle, ma era impossibile. Al telefono era irreperibile, non rispondeva più, come se fosse sparita. Per incontrarla, nella struttura di Fiorenzuola, bisognava prendere appuntamento presentando una prescrizione medica. Settimana scorsa ce l’ho fatta, finalmente sono riuscito a prendere appuntamento con lei. Ma lei non si è presentata. Ho parlato con una sua collega, che mi ha ‘concesso’ ben 10 sedute di fisioterapia in un centro AUSL di Piacenza. La prima seduta è durata 20 minuti, ho scoperto che le altre non dureranno di più. ‘È il tempo prestabilito’, mi hanno detto. Dieci sedute da venti minuti l'una, in un anno. Sembra uno scherzo, ma non lo è”.