Il passaggio all'auto elettrica è inevitabile, ma la scadenza fissata dall'Europa per l'immatricolazione a partire dal 2035, con poche eccezioni, rischia di mettere in ginocchio la filiera automobilistica italiana, incidendo sui bilanci delle famiglie e dello Stato e aprendo le porte all'invasione cinese. Come avverte Luca de Meo, Ceo del Gruppo Renault e presidente dell'Acea - l'Associazione dei costruttori del Vecchio Continente - se la transizione green non sarà gestita bene con il sostegno dell'UE, l'Europa rischia di perdere la leadership nel settore auto (quasi 13 milioni di lavoratori). Questo perché i concorrenti hanno carte vincenti come il dominio cinese nelle batterie e i quasi 400 miliardi di dollari di aiuti forniti dall'Inflation Reduction Act statunitense che stimoleranno la produzione e gli investimenti oltreoceano.
Non a caso uno studio della società di consulenza PwC sancisce quanto segue: entro due anni potrebbero essere vendute in Europa fino a 800.000 auto prodotte in Cina da marchi locali (MG-Saic, Aiways, Byd, Chery, Xpeng, Nio) ma anche da produttori occidentali come Tesla, Bmw e Renault, la maggior parte delle quali elettriche. Quindi l’Europa si trasformerebbe da esportatore a importatore, scontando la difficoltà nella produzione di batterie e microchip, nell'approvvigionamento di materie prime aggravate dalla pandemia, e l'aumento dei costi di produzione, mentre l'invasione di auto elettriche innovative e convenienti dalla Cina inizierà a stretto giro, a fronte di un costo di ingresso per i marchi europei non certo abbordabile.
A conti fatti, a livello europeo si perderanno 275.000 posti di lavoro, e in Italia, con una filiera di piccole imprese esportatrici, andrà pure peggio. Confapi stima una perdita di circa 200 mila posti di lavoro e oltre 2200 piccole imprese della componentistica. Ma il Belpaese è anche fanalino nelle vendite, e c’è il problema della rete di punti di ricarica insufficiente, meno di 37 mila. Insomma, la situazione è allarmante su tutti i fronti.