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L’Inter, i gol, Uma Thurman e i party. Nicola Berti, il primo bad boy italiano: “Meglio sconfitti che milanisti"

  • di Filippo Ciapini Filippo Ciapini

14 aprile 2021

L’Inter, i gol, Uma Thurman e i party. Nicola Berti, il primo bad boy italiano: “Meglio sconfitti che milanisti"
Compie cinquantaquattro anni la leggenda dell'Inter campione d'Italia nel 1988-89. Bad boy ante litteram è la definizione del centrocampista moderno prima che si chiamasse tale

di Filippo Ciapini Filippo Ciapini

Cinico, irriverente, provocatore: dire che Nicola Berti sia un tipo sopra le righe è riduttivo. A tratti irrispettoso, ma sempre con il sorriso. Magie in campo e fuori, tra i primi centrocampisti atipici dotati di intensità e vizio del gol. Diretto come quel gol nel derby con la maglia della sua Inter che per dieci anni lo ha coccolato e idolatrato. Cinquantaquattro anni come le sue presenze in Nazionale, tra giovanile e prima squadra, dove due volte ha sfiorato la coppa del Mondo nel 1990 e nel 1994. Qualche soddisfazione però se la è tolta. Uno scudetto e due coppe Uefa lo testimoniano. Ne fa cinquantaquattro ma ne dimostra trenta, magari la galoppata dalla difesa saltando tutto il Bayern Monaco in quegli ottavi di finale del 1988 non la farà più, ma siamo sicuri che troverebbe comunque il modo di segnare. Perché Nicola Berti ha cambiato il ruolo del centrocampista puro, diventando moderno quando ancora non era nel vocabolario del calcio.

Nicola Berti è il sogno di ogni comune mortale, saper giocare a calcio e sapersi godere la vita. Ci ha fatto innamorare del pallone, perché chi ama questo sport lo chiama così, è stato tra i pionieri dello sportivo oltre il campo che dopo il triplice fischio si lascia abbracciare da Dioniso a ritmo di musica. Grazie “Nicolino” perché essere schietti è un dono di pochi, prendersi i propri meriti è ancora più di nicchia. “Questo l’ho detto io, eh sono stato dieci anni nell’Inter, sono io il campione, meglio sconfitti che milanisti” quello che potrebbe sembrare pura arroganza si chiama consapevolezza. Come quando lo intervistammo e, prima di liquidarci, ci rispose così su Nicolò Barella considerato oggi il suo erede: “È bravissimo, ho un debole per lui, ma alla sua età avevo già vinto”. E quando butta giù il telefono, quando elabori la sua risposta nella tua testa, pensi “cazzo ha ragione”.

Nicola Berti è senza filtri, è la standing ovation dell’hangover che ti guarda la mattina convinto che tu ti svegli con il cerchio alla testa, ma invece sei fresco come una rosa, sei leggenda. Nicola Berti è l’assist a Ronaldo sul rettangolo verde e l’assist all’amico di bisbocce nel passargli un drink. Sì li abbiamo nominati entrambi. Ci vorrebbe un Argan per raccontare gli aneddoti off-side di “Nicolino” e quindi diciamo solo una cosa: Nicola Berti è stato l’ultimo bello e maledetto romantico tramonto della Milano da Bere.

L’amicizia con Uma Thurman, il ritiro Zen (?) di cinque anni ai Caraibi appesi gli scarpini al chiodo, le pallonate ai milanisti, la firma al Tottenham dopo una chiamata a Jurgen Klinsmann per gli auguri di Natale e la passione per i sigari, nella Smorfia il cinquantaquattro è o’ cappiello. “Non è che non facessi cazzate, ne facevo eccome…solo che non mi beccavano mai”. E allora giù il cappello per Nicola Berti, bad boy ante litteram che ci ha insegnato a giocare a calcio e a goderci le serate sempre con lo stesso spirito guascone.

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