Alex Briggs ha vissuto 28 stagioni nel motomondiale, come meccanico di Mick Doohan prima e di Valentino Rossi poi. Ha lasciato a fine 2020, con il trasferimento del 9 iridato al Team Petronas. Con un po’ di amarezza perché voleva chiudere la carriera assieme al suo pilota, ma i costi per le trasferte per lui e Brent Stephens (entrambi ex Rossi, entrambi australiani) erano troppo onerosi per la squadra di Razlan Razali. In una lunga intervista sul podcast Rusty’s Garage, Briggs racconta gli inizi come meccanico, gli anni di Doohan e quelli di Rossi. Ecco i passaggi più interessanti.
Gli inizi
L’amore per i motori è cominciato quasi per caso. “C’era questo ragazzino che aveva una Kawasaki KX 80, me la fece guidare. Da quel momento cambiò tutto, mi era sembrato di volare. Sai, senza casco, per la prima volta su di una moto… Ed ero arrivato al punto di portare lo zaino di un mio compagno di classe in cambio di un giro nel giardino di casa con la sua minimoto. Ricordo la mia prima gara, all’inizio ero appassionato di motocross. Ero convinto che sarei diventato un campione del mondo - racconta Briggs - Ho cominciato ad interessarmi di meccanica per le moto. Non avevamo un garage, così facevamo i lavori sulla moto in lavanderia. Mio padre è un tipo intelligente… Ma ricordo che ci eravamo messi a leggere le istruzioni per revisionare i pistoni: ci abbiamo messo una vita, ma mi piaceva il processo. Mi appassionai a quella cosa, e capii che avrei fatto il meccanico. Alla fine ho scoperto di essere più bravo ad aggiustare le moto che a guidarle”.
Poi il contatto con Jeremy Burgess
“Ho iniziato a lavorare in maniera più professionale per la Yamaha, nel motocross in Australia. Erano i primi anni Novanta. Mentre ero a Brisbane mi dicono che c’è un tale Jeremy Burgess che mi sta cercando. Non sapevo chi fosse. Stavano espandendo il team in Europa e il mio nome era venuto fuori, anche perché mi sarebbe piaciuto lavorare lì e nell’ambiente lo sapevano. Mi presero, con una paga 5 volte più alta rispetto a prima. E quando chiesi se avevo avuto il lavoro così, senza nemmeno un colloqui, Burgess mi rispose che si, perché tanto avrebbe potuto licenziarmi in qualunque momento.
L’arrivo nel motomondiale e Mick Doohan
"Com’era una volta? Diverso! C’era meno di tutto, ma era comunque il non plus ultra, il massimo in ogni campo. Però eravamo molto più concentrati sulla moto, sul farla andare forte. Molti non saranno d’accordo, ma credo che adesso si dia più importanza allo spettacolo rispetto alla gara vera e propria. Adesso una vittoria è quasi meno importante. Ora come allora non vuoi mai dire tutto ad un pilota, perché poi ragiona troppo. I piloti con cui ho lavorato non sono mai stati idoli per me. Mick era pazzesco. Voleva vincere tutto, arrivare prima in aeroporto, primo in fila… Alle interviste ero spaventato perché avrebbe potuto dire qualunque cosa. Era come se si allenasse per le gare in qualsiasi cosa. Quando mi chiese com’era lavorare con Valentino gli dissi che era un sogno rispetto a quando c’era lui! Non che Mick fosse un incubo, e poi non lo sapevo, non avevo un metro di paragone. Tutti piloti con cui ho lavorato volevano solo vincere, ma Doohan non era in grado di nasconderlo neanche un po’ . Mick poteva bucarti gli occhi con lo sguardo”.
L’era delle 500 2T
“Il periodo delle 500 l’ho adorato. Era come avere a che fare con quattro 125cc due tempi da cross imbullonati insieme. Mi piacevano le 500 perché avevano una potenza incredibile ma erano mezzi semplicissimi. La cosa che mi piaceva i più era lavorare ai cilindri, ai pistoni… non si faceva tutto questo ‘fine tuning’, era soprattutto manutenzione. Anche nello sviluppo andavamo un po’ a sensazione. Quando qualcosa va storto e poi riesci a sistemare tutto, beh: è il momento migliore per un meccanico. C’è un’adrenalina pazzesca quando succedono cose simili, ed è incredibile. Vedi 8 meccanici lavorare sulla stessa moto senza neanche sfiorarsi. Si passano gli attrezzi senza neanche guardarsi. Ricordo quando venne Roger Federer nel box, era gentilissimo, non voleva disturbare. Anche Mark Knopfler, il chitarrista dei Dire Straits… Venne a Donington e cominciò a parlare con Valentino, che era un suo grande fan. E Vale ha continuato a parlare al punto che stava per perdere l’uscita dalla pit-lane per fare la gara. E noi lì, cercando di essere discreti per ricordarglielo”.
L’arrivo di Valentino Rossi in 500
“Ci avevano detto che sarebbe arrivato questo ragazzino, sapevo cosa aveva vinto ma sai… eravamo un po’ arroganti con quelli delle classi minori, non ci importava moltissimo di quello che c’era oltre la 500, e penso che a Valentino piacesse il fatto che non lo stavamo già vedendo come un talento nascente. Vale ha una personalità che in qualche modo ti cattura. Sorride, ti coinvolge, è un bravo ragazzo. Vi racconto questa storia che vi dirà anche lui. Un giorno l’ho visto con questi piccoli vocabolari italiano - inglese dietro il motorhome della Honda, e gli ho detto di non preoccuparsi, che avrei imparato io l’italiano. Ovviamente non è mai successo e lui ancora mi prende in giro per questo. Per Valentino vincere era importante, ma per lui era godersi la vittoria e la gara la cosa davvero importante. L’ho visto scendere dalla moto dopo un secondo o terzo posto felicissimo per come aveva corso mentre nel box eravamo convinti che sarebbe tornato arrabbiatissimo. Gli piaceva correre”.
Quella gag in Germania, con il campanile di Tavullia e il parroco a suonare
“Non ho mai saputo né chiesto nulla sulle scenette, anche se magari qualcuno mi diceva che quel giorno sarebbe stata bella. Una volta ne volevano fare una per il GP di Germania, c’era qualcosa come un campanile - perché a Tavullia suonano le campane quando Vale vince una gara - e ci doveva essere qualcuno del Fan Club vestito da prete. Valentino ha passato la gara a giocare un po’ con Gibernau, se devo essere onesto ne aveva di più e si stava divertendo. Solo che all’ultima curva ha sbagliato a mettere una marcia e ha perso la gara: niente scenetta, ma sarebbe stato fantastico. La gara migliore di sempre? Welkomm 2004”.
Il rapporto con Valentino
“Tutti ti chiedono com’è veramente Valentino. C’è chi vuole sentire che è un ragazzo normalissimo e chi vorrebbe sentire che è uno stronzo totale. La verità è che è veramente appassionato di corse, racconta delle storie incredibili. È uno di quelli con cui vorresti andare a cena. Ad ogni modo lui è abbastanza vicino a quello che si vede in televisione. Negli ultimi anni andavamo a cena al Ranch, ci mangiavamo una pizza dalla sua pizzeria. E non invitava solo i suoi meccanici, ma tutta la squadra Yamaha. Magari qualcuno non veniva, ma la maggior parte sì perché è una cosa che non ti capita altrove. Ma vederlo lì è divertente. Soprattutto con noi, lui è davvero sé stesso. E si diverte da matti a vederci girare al Ranch e poi cadere! E ogni anno ti ricorda un po’ come si guida con la moto da flat track: dài gas qui, usa il freno dietro lì… E quando facciamo la gara tra di noi lui la commenta e la registra, così poi la vediamo a cena. Lui sa che ci sono un sacco di personaggi divertenti nel team e sentirlo commentare la gara è bellissimo. Ho fatto anche un paio di podi, con Brent Stephens… Un anno c’è stato anche Luca Cadalora, ma noi eravamo convinti che non dovesse correre con noi. Anche Maio Meregalli andava forte, invece Lin Jarvis era divertente da vedere. Sinceramente pensi di fare pieghe pazzesche… ma poi vedi le foto e ci rimani male”.
Gli anni in Ducati e Laguna Seca 2008
“Gli anni in Ducati per Valentino sono stati orribili. Pensava di poter fare quello che aveva fatto in Yamaha, lo pensavamo tutti, e non ce l’abbiamo fatta. Ce lo aspettavamo e non è successo. Lui era arrivato quasi al punto di farsi da parte, ma era blindato dal contratto. Ero davvero dispiaciuto per lui. Ma se guardo alla Ducati oggi penso che alcuni problemi non siano mai cambiati. Hanno fatto molto bene con Casey ed anche negli ultimi anni, ma alla fine anche Stoner se n’è andato”. “Laguna Seca 2008? È una di quelle corse che la gente si ricorda. Casey aveva il weekend in tasca, lo sapeva lui e lo sapevamo noi. Ci dava circa tre decimi al giro, e ci avrebbe massacrato. Burgess ha detto che ‘Lui pensa di vincere e lo pensano tutti gli altri. Dobbiamo stargli davanti perché non se lo aspetta e non ha un piano per quello’. Non doveva fare neanche un giro completamente in testa, altrimenti sarebbe andato via. E se riguardiamo la gara l’unica cosa che ha fatto Valentino è stata quella, stargli davanti”.
Il ritorno in Yamaha e il ritiro
“La gente non sa esattamente quello che vuole dai propri atleti, dicono che dovrebbero lasciare quando sono all’apice. Ma perché mai uno dovrebbe farlo se ama il suo sport? Se ti senti il migliore del mondo quell’anno, perché dovresti andartene? Sarebbe bello per chi, esattamente? Poi le stesse persone direbbero ‘ah, era bello quando correva’. Poi c’è anche chi dice che sta togliendo il posto a qualcun altro. C’è chi corre per 15, vent’anni e non arriva mai a quei livelli ma nessuno si pone il problema”. “Non è stato così difficile lasciare. Ero dispiaciuto, avrei voluto chiudere con Vale perché sentivo che sarebbe stato qualche altro anno. Sarebbe stata una bella storia, anche per me, ma non è così terribile. Ho avuto qualche offerta, ma nessuna era così incredibile”. “A Jerez 2020 Yamaha mi ha chiamato per dirmi che non avrei più lavorato con la squadra ufficiale l’anno successivo. Non ho sofferto, ma è stato comunque difficile”.