Le persone sotto al podio di Interlagos sembrano non finire mai. Strizzo gli occhi e mi sporgo dalla rete che divide la pista dalla pit lane ma non riesco a percepire la fine della gente, dei tifosi, dei cappellini colorati. Però li sentiamo, li sentiamo tutti anche senza vederli. Saltano, ballano, applaudono, gridano i nomi dei piloti sul podio uno per volta: Fernando Alonso, Lando Norris, Max Verstappen. Per Fernando gridano un po' di più e anche dentro al paddock se potessero per lui, per un Alonso eterno e indomabile, griderebbero tutti. Lui che ha sorretto sul peso delle sue spalle il divertimento di tutta la gara, dominata da un Verstappen ancora una volta senza rivali e che per un terzo posto, per un gradino sul podio, ha dato ogni cosa. Lui che a 42 anni non conosce stanchezza, rassegnazione, che ogni volta ricomincia da dove si è interrotto, ricostruendo il proprio valore, saziando una fame che non è facile da mantenere lì, tra lo stomaco e la gola, per così tanti anni.
In sala stampa a Interlagos negli ultimi giri di gara tutti smettiamo di scrivere e alziamo la testa guardando gli schermi sopra le scrivanie: che vuoi dire, ora? Che vuoi raccontare? Qualcuno ha le mani nei capelli, altri si alzano in piedi. Al contro sorpasso di Alonso urlano tutti, una roba mai vista. Non c'è professione che tenga, non c'è esperienza. Ci sono giornalisti che hanno fatto la storia della Formula 1, che viaggiano tra le sale stampa del paddock da decenni, ma anche a loro brillano gli occhi per un sorpasso e per un finale al millesimo, per una sfida da terzo posto sul podio in un mondiale già concluso da tempo. Si chiama passione, tutto qua. La passione che porta queste persone a viaggiare sempre, a sostenere ritmi di lavoro spesso complessi, ad accettare delusioni e difficoltà. Sta tutto lì, nel vederli in piedi a ridere, a gridare, e un attimo dopo guardarli riprendersi in fretta per tornare a fare il proprio lavoro: correre sotto al podio, in sala stampa, rimettersi al computer per scrivere che sì, ce l'ha fatta, Fernando Alonso è sul podio per 53 millesimi.
E lì sotto a quel podio c'è la stessa passione, quella della gente, delle persone arrivate da tutto il Brasile per lo sport e per una Formula 1 che hanno nel sangue. Io mi arrampico sopra una gradinata della pit lane, appena sopra al muretto Red Bull, proprio davanti al podio, ma il vero spettacolo è dietro di me: loro salutano, mandano baci e intonano cori. Il più forte, quello che ripetono di più, è dedicato al mito del popolo, al loro eroe: Olé Olé Olé Senna Senna, Olé Olé Olé Senna Senna. È lì, Ayrton. Lì con loro. A quasi 30 anni dalla sua morte lo celebrano e lo festeggiano, lo invocano. Lui che a Interlagos ha dato tutto, che prima di vincere a casa sua, in Brasile, ha dovuto aspettare anni e anni ma che proprio sulla pista di San Paolo ha consacrato la propria fame, ha dimostrato quando la passione sia impossibile da fermare, anche davanti al dolore.
Dall'alto li guardo e mi emoziono pensando a quanto uno sport, questo sport, muova la gente e la renda così: felice, piena. Li guardo e penso che non mi dimenticherò mai niente di Interlagos, di loro, di un 42enne senza età, di un coro per Ayrton Senna che taglia il tempo, che attraversa 30 anni e che non sembra finire mai. Sta tutto qui, nella passione. Dei piloti, di chi in Formula 1 lavora, dei tifosi. Tutti insieme, tutti mossi dalla stessa cosa. Quella che sta qui.