“Guardavamo la 250 e facevamo il tifo per te, mio babbo diceva che eri uno bravo, poi ci scatenavamo con Valentino Rossi, quando era il momento della 500”. E’ il passaggio di una lettera aperta pubblicata in rete in queste ore e indirizzata a Marco Melandri. Il motivo, manco a dirlo, è il putiferio scatenato dalle dichiarazioni rilasciate dal pilota di Ravenna a MOW, a cui ha raccontato di essersi “contagiato per necessità”. La necessità, ovviamente, di poter avere il Green Pass senza dover passare per la vaccinazione. Parole che Melandri ha pronunciato forse un po’ ingenuamente, ma mantenendo fede al suo personaggio: è da sempre uno che dice quello che pensa. Questa volta, però, le moto non c’entrano niente e il tema è di quelli divisivi, con sottosegretari, personaggi pubblici e semplici cittadini che si sono scatenati sull’argomento.
Compreso chi, quindi, al Covid deve un grande dolore: la morte di un padre. E’ il caso di Deborah, che ha voluto rivolgersi direttamente a Melandri, ricorrendo al sempreverde epiteto romagnolo: “pataca!”. “Ciao Marco – si legge nella lettera aperta - non ci conosciamo, ma abitiamo a uno sputo di chilometri. Non ci conosciamo, ma giusto un paio di settimane fa stavo meditando di iscrivermi alla palestra di cui mi hanno detto che sei socio. Non ci conosciamo, ma il mio babbo mi aveva insegnato ad apprezzarti come pilota (che diceva che eri uno coraggioso…). Guardavamo la 250 e facevamo il tifo per te (dopo arrivava la 500 che non si chiamava ancora MotoGp, e ci sgolavamo per Valentino, ma insomma, non c’entra). Il mio babbo, dicevo, se oggi fosse vivo e non morto a causa di quello stesso virus che tu ti sei dannato l’anima per prendere, ti direbbe che sei solo un povero ‘pataca’. Con una c sola, come si dice qua in Romagna a quelli come te. Che sono quelli che si reputano i più intelligenti, i più furbi o, sempre per restare in zona Romagna, i più sboroni. E invece, di solito, sono i ‘pataca’ della cumpa, i burdél di scapazún (sberle, ndr). Quelli che collezionano figure di merda come se fossero figurine dei calciatori”.
Se la figura di Melandri sia stata di cacca o meno non sta a noi dirlo, ma lo spunto offerto dalla lettera aperta offre il fianco a un paio di domande: è normale che la lotta al Covid sia diventata una questione ideologica? E’ normale che una parte di opinione pubblica, pur facendo sempre salva la libertà di dire ciò che si pensa e l’idea che ci si è fatti, arrivi a mettere in discussione la scienza? Ed è proprio a quella parte di società che l’utente di Facebook sembra rivolgersi, parlando a Marco Melandri, ma tirando in causa tutti: “Quelli come te, insomma, che si sentono invulnerabili al punto di cercare di contrarre un virus che ha ammazzato più di due milioni di persone nel mondo, e che invece sono solo fortunati a non essere finiti in terapia intensiva. Perché vedi, caro il mio ‘pataca’, te t’é avú de cûl, gnint etar che de cûl (tu hai avuto fortuna, niente altro che fortuna, ndr). Quel cûl che è mancato a più di due milioni di persone nel mondo, mio padre e mia zia compresi, che se avessero potuto scegliere avrebbero scelto di vaccinarsi e morire con calma, vicino a chi li amava, naturalmente, umanamente. Mica come te, povero ‘pataca’, che hai messo a repentaglio la tua vita, alla faccia di quelli che l’han persa e se la volevano tenere stretta. E dunque, per concludere, non so se te l’ho detto, Marco: ma tci prôpi un por pataca”.