In pista ci sono solo loro: le Rosse. Le chiamano così anche quando rosse non sono. Anzi, quelle che non sono rosse sono la maggioranza, perché in pista le rosse vere sono solo due e tutte le altre hanno ben altri colori. A non cambiare, o a cambiare di pochissimo, è la sostanza: sono Ducati Desmosedici. E sono le moto che, a detta di molti, stanno ammazzando la MotoGP. Solo che, a pensarci bene, viene il sospetto che le Ducati non abbiano ammazzato proprio nessuno e che, piuttosto, siano stati tutti gli altri a suicidarsi.
Ok, erano venti anni (correva l’anno 2003) che cinque moto dello stesso marchio non chiudevano un GP nelle prime cinque posizioni. Allora il marchio si chiamava Honda e aveva piloti come Valentino Rossi, Sete Gibernau, Makoto Tamada, Max Biaggi e Nicky Hayden (che chiusero in quest’ordine il GP del Brasile). Solo che all’epoca la storia era diversa: Honda, proprio come adesso fa Ducati, stravinceva e tutti gli altri provavano a mettersi al passo per superare, magari copiando anche. Adesso, anzi da qualche anno a questa parte, il gioco s’è fatto differente: qualcuno innova (quasi sempre Ducati o Aprilia) e gli avversari fanno ricorso, o comunque cercano un qualche appiglio nel regolamento per fare in modo che l’innovazione proposta finisca bandita, o vietata dall’anno successivo. Risultato? Chi ha l’anima innovatrice innova lo stesso e va avanti, più avanti di tutti, chi invece “ricorre ai ricorsi” resta indietro. Perché ha finito di preoccuparsi di più di mettere la luce su quello che gli altri non avrebbero dovuto fare o sul chiedere e chiedersi se avessero potuto farlo piuttosto che su cosa avrebbero loro dovuto fare per mettersi in pari e, possibilmente, superare pure.
Ecco, la lezione della Ducati 2023 è una sola: i ricorsi non sorpassano. E i discorsi dei soliti passatisti che tirano fuori la noia, il non va bene che vincano sempre gli stessi, il “così è un monomarca”, francamente, cominciano a risultare pure un po’ troppo noiosi. Ok, la motivazione di quelli che “non va bene che a vincere sia sempre Ducati” è quasi sempre lo spettacolo, solo che si finisce per non tenere conto di un fatto: di Ducati in pista ce ne sono otto. E lo spettacolo è garantito lo stesso. Si poteva capire se la moto ipersuperiore (che non si dice, ma rende bene l’idea) a tutte fosse stata la Yamaha: in quel caso avremmo visto ogni santa domenica Quartararo e Morbidelli andare via davanti a tutti e gli altri a giocarsela dietro. Ma così, con otto Demosedici nel mucchio, dove è che viene a mancare la bagarre?
Sì, ok, quasi sempre là davanti c’è Pecco Bagnaia, ma quasi sempre ha anche dovuto sudarsela contro avversari (sempre rigorosamente decatizzati) che gli hanno venduto carissima la pelle e che l’hanno anche battuto, proprio come successo al Sachsenring con un Jorge Martin praticamente perfetto. E quando non c’è Martin c’è Marco Bezzecchi, che la Desmosedici non ce l’ha perfettamente uguale, in attesa di rivedere nella migliore condizione fisica anche Enea Bastianini. Noi di MOW saremo pure dei bastian contrari, ma una cosa lasciatecela dire: in tutto questo, di dannatamente noioso c’è solo l’atteggiamento di quelli che, piuttosto che mettersi giù a testa bassa (e con investimenti significativi) per andare a prendere la Ducati (creando sì futuro attraverso rinnovata innovazione), preferiscono aspettare il 2027 come la data in cui a Ducati sarà tutto vietato. Dimenticando che l’essenza delle corse e dello sport in genere è il sorpasso quando è figlio di maggiore velocità e non certo di un provocato rallentamento di chi è davanti. A proposito, vale anche per la Superbike, dove ormai l'unico argomento sembra essere quello sul peso moto e pilota.