Piove sul bagnato. Lo fa per davvero, sulla pista solitamente caldissima dell'Hungaroring, nel corso delle prove libere del venerdì. Sergio Perez è convinto di poter, e soprattutto voler, andare bene dopo parecchi weekend da dimenticare. L'inizio della stagione è stato perfetto per lui, tanto da annunciare pubblicamente, in più riprese, di voler battere a tutti i costi il suo compagno di squadra in Red Bull.
Un'impresa enorme per chiunque, quella di battere Verstappen. Ancora più grande se parliamo dei rapporti tra piloti nella casa del toro, dove si è sempre evidentemente preferito un chiaro rapporto tra primo e secondo pilota. Vedere un Perez così convinto (tanto da dire che la loro sarebbe potuta diventare una sfida epica alla Senna-Prost in McLaren) ha scaldato i cuori di chi, ben consapevole del dominio Red Bull, sperava almeno di andare incontro a un duro testa a testa tra compagni di squadra.
E invece no. Da Monaco in poi le cose si sono fatte più che complicate per Sergio Perez, perso davanti alla netta superiorità di Max Verstappen, incapace improvvisamente di trovare velocità e sicurezza su una monoposto che - nelle mani del compagno di squadra - risulta senza alcun dubbio la migliore della griglia. Così mentre il messicano cerca se stesso tra i tanti errori in qualifica, su di lui il clima si fa sempre più pesante: dalle dichiarazioni di Helmut Marko che ammette di non averlo sostituito per "mancanza di alternative", dall’arrivo in AlphaTauri di Daniel Ricciardo, osservato speciale di Chris Horner che lo vorrebbe nel team ufficiale almeno a partire dal 2025 (o chissà, magari anche il prossimo anno).
E guardando il figliol prodigo, scappato da Red Bull per non diventare la seconda guida di Verstappen, tornare a casa e puntare al suo sedile, Sergio Perez non sembra essere riuscito nell'impresa di cambiare mentalità e dare tutto quello che ha per dimostrare, a Marko e a Horner soprattutto, che quel sedile non si tocca. Al contrario, la pressione di un ambiente complesso (anche quando si vince) come quello di Milton Keynes ha messo ancora più nei guai il povero messicano che, arrivato in Ungheria, subito oscurato dai sorrisi incantatori di Ricciardo, ha messo la sua monoposto a muro dopo appena tre minuti dall'inizio delle prove libere del venerdì.
Salito in auto quindi subito disastro per un pilota che ad oggi si può permettere di restare alle spalle del suo brillante compagno di box ma certo non può continuare a permettersi il lusso di essere protagonista di errori così evidenti nel corso del fine settimana. Una situazione complicatissima per lui che nel giro di qualche mese è passato dalle stelle alle stalle, e che tra le normali preoccupazioni del trovarsi in questa situazione aggiunge la difficoltà evidente di chi appare perso. Ma come non comprenderlo? Quando il tuo compagno di squadra, rispondendo a una domanda sul possibile ritorno di Ricciardo in Red Bull, risponde "certo che lo vorrei, non ho mai voluto che se ne andasse" e tutti - team principal e responsabile piloti compresi - non escludono questo papabile ritorno, è quanto meno normale soffrire di una crisi di prestazione mai avvertita in passato. La stessa di cui, prima di lui, in tanti hanno inciampato tra le mura di casa Red Bull.
Assomiglia a una ruota della fortuna, il futuro di questo ragazzo messicano che sognava di battere Max Verstappen. Da tutto a niente, e via al contrario, secondo regole che non sono mai uguali, che non rispettano tempi e promesse. Ma che rispondono a una storia, quella della gestione piloti in questa scuderia, che ormai conosciamo molto bene.