Ride sempre, Lando Norris. Ride perché è fatto così, estroverso e divertente, e non soffre il confronto con piloti più grandi, più vincenti, più importanti. Ride perché è entrato in Formula 1 giovanissimo, in un team storico come McLaren, che su di lui ha puntato le speranze di una generazione intera. Ride perché le prospettive sono buone, i risultati anche, e le cose non potrebbero andare meglio.
Non può aver sofferto di depressione, uno così. Giusto? Non può perché nella sua immagine pubblica questo pezzo non combacia. Lando Norris fa il lavoro più bello del mondo, non può essere depresso. Non può perché non gli è concesso far incastrare tristezza e ansia, dentro al suo personaggio. I piloti di Formula 1 non sono ammaccati dentro, soprattutto quelli giovani, divertenti, con tutto da dimostrare.
E invece sì. Anche i piloti di Formula 1 faticano a respirare. Come Simone Biles, come Naomi Osaka, come quelli che dicono di non avere debolezze - come Novak Djokovic - e poi cadono dall'Olimpo, umani anche loro.
Lando Norris non si vergogna più, di questo pezzo incastrato male, e ne ha parlato recentemente nel programma This Morning sul canale tv inglese Itv: "Il primo anno in Formula 1 è stato durissimo. Era come se non sapessi cosa fare, percependo il peso di tutti gli occhi che erano puntati su di me".
Fallire non è concesso, quando hai investito tutta la tua vita per raggiungere quell'obbiettivo. Ritrovarsi a 19 anni con il proprio sogno tra le mani, forse non è il paradiso che ci si sarebbe aspettati. Il rischio di farselo scivolare tra le dita, o di stringerlo troppo forte, è enorme: "Vivevo con il costante dubbio di non essere all’altezza in un mondo estremamente competitivo - ha spiegato il britannico - Mi chiedevo: se dovessi far male quali saranno le conseguenze? Se non rimarrò in Formula 1, dove andrò e cosa farò, dato che non sono bravo in molte altre cose della vita?".
Ma perché oggi così tanti atleti vengono schiacciati dalla pressione? Manca un filtro, secondo Norris, a separare il virtuale dal reale. Le critiche ci sono sempre state, è vero, ma oggi tifosi, haters e appassionati hanno tra le mani uno strumento di comunicazione che può ferire più di quanto si possa pensare.
Non è solo il fischio dalle tribune, il titolo sul giornale, è la valanga di commenti che investe chiunque, in qualsiasi momento, per una parola sbagliata, la stizza di un momento, l'aggressività della competizione: "I social hanno aumentato la pressione e si sono trasformati da divertimento a prigione".
Un problema che Norris ha imparato a gestire, e curare, con l'aiuto di professionisti e con la comprensione di un team che non gli ha mai puntato il dito contro: "Il lavoro di squadra non è stato semplicemente importante, è stato fondamentale, almeno quanto l’aiuto e l’esperienza che ha saputo trasmettermi un compagno di scuderia esperto come Daniel Ricciardo, che si è mostrato dall’inizio estremamente disponibile nei miei confronti. Sono molto felice che anche la McLaren sia stata da subito sensibile verso il tema della depressione e della salute mentale, anche nel campo dello sport professionistico".
Un nuovo peso da non sottovalutare, quindi, quello che colpisce atleti, piloti, sportivi di ogni parte del mondo. Ragazzi che, giovanissimi, hanno un sogno realizzato da tenere in equilibrio sulla punta delle dita, mentre il mondo intero sembra guardare, commentare e criticare ogni mossa. Controllando che ogni pezzo di personalità si incastri alla perfezione dentro l'immagine che ci siamo fatti del personaggio.