C’è stato un tempo in cui Lewis Hamilton era un ragazzino nato povero e diventato ricchissimo. Tamarro come pochi, con un jet privato rosso fuoco e una fidanzata gnocchissima e super famosa. Era già fortissimo, lo è sempre stato, ma non aveva testa. Quando sbagliava, anche una volta sola, il percorso per recuperare la propria consapevolezza era lungo e difficile.
Oggi di quel Lewis Hamilton rimane ben poco. Tamarro lo è ancora, sia mai, con un enorme tatuaggio sulla schiena che recita il suo mantra “Still I Rise” e un eterno approccio social da #Blessed. Ma oggi il trentacinquenne sei volte campione del mondo ha una testa che in passato non aveva, una consapevolezza dei propri mezzi e del proprio impatto sullo sport che lo rendono - di gran lunga - il personaggio più influente della Formula 1.
Mentre i suoi più giovani colleghi si sfidano in GP virtuali su Twitch e si improvvisano attori, Lewis diventa ancora una volta la voce di qualcosa che va oltre le auto, i paddock, i podi. E mentre tutti parlano dei suoi pretendenti al trono e del futuro delle nuove leve della Formula 1, al vecchio re Lewis basta un solo ruggito per rimettere in ordine le gerarchie.
La Hamilton Commission
Tutti sanno chi è Hamilton. Perché per i ferraristi è l’arcinemico per eccellenza, l’uomo da battere di questo decennio e, diciamocelo, perché come lui non c’è nessuno. Non solo per il suo infinito talento in pista, quello che lo rende il Roger Federer e il Marc Marquez del suo sport, ma per il suo essere indiscutibilmente e inarrivabilmente Lewis Hamilton.
Nero, vegano, amante degli animali, di umili origini, timorato di Dio, oggi anche attivista e pure figo. È l’emblema di una generazione in cambiamento, di un percorso di crescita che lo ha portato ad accettare il proprio potere mediatico e trasformarlo in qualcosa di concreto.
Non si può sostenere la lotta all'inquinamento e possedere un aereo privato allo stesso tempo? Ok, vendiamo il Jet.
Non si può essere l’unico pilota di Formula 1 nero e ignorare le proteste e i fatti di questo periodo? Ok, facciamo qualcosa. E così è stato.
Dopo aver esortato (o meglio: sgridato pubblicamente) gli altri piloti e la Formula 1 stessa a dire la propria su Black Lives Matter - deluso dall’iniziale silenzio di tutto il suo mondo - Lewis non si è fermato alle parole e ai post neri su Instagram.
È nata così la Hamilton Commission. Un nome altisonante, come piace a lui, che un po’ ricorda la Sacra Inquisizione e l’elenco dei libri proibiti. Ma un progetto preciso, ammirevole: aiutare i ragazzi di diverse etnie che sognano di entrare in Formula 1, un mondo quasi esclusivamente bianco. Perché il motorsport è costoso oltre ogni immaginazione e sono sempre di più i piloti che ci arrivano grazie a conoscenze ed enormi quantità di sponsor. Sono tanti, sempre troppi, i giovani che si meriterebbero un volante che non hanno, ma se ci aggiungiamo una quota di razzismo e di discriminazione il risultato è quello che è. E Lewis Hamilton, unico campione del mondo di Formula 1 nero, ne è la prova vivente.
La Hamilton Commission sarà quindi una commissione di ricerca, realizzata con la partnership della Royal Academy of Engineering, interamente dedicata ad esplorare come il motorsport possa essere un veicolo per coinvolgere il maggior numero di giovani di colore sia come piloti che come studiosi di materie scientifiche, tecnologiche, ingegneristiche e matematiche.
Sarà un aiuto vero, concreto ed economico capace di staccarsi dall’abbraccio virtuale o dalle sfilata contro il razzismo. La mano di un ex bambino povero diventato ricchissimo per tutti quelli che vorranno prenderla. E il ruggito del vecchio Re che ancora una volta, anche fuori dal paddock, rimette in ordine le gerarchie dimostrandosi l'unico pilota di Formula 1 ad avere qualcosa da dire.