La storia, la trasversalità del tennis e l’approfondimento di ogni singolo aspetto si può riflettere in una giocata. Tutto questo viene soppiantato da anni e, in particolare, dalla vicenda legata a Novak Djokovic e agli Australian Open. Una circostanza che finisce per surrogare la bellezza di un’arte nobile per essere sfruttata commercialmente e mediaticamente. Ne abbiamo parlato con Luca Bottazzi, ex tennista professionista oggi insegnante e studioso, attualmente docente universitario alla facoltà di scienze motorie della Statale di Milano.
La causa principale delle dinamiche che caratterizzano l’attualità, secondo Bottazzi che ha pubblicato recentemente il suo ultimo libro “Break Point”, è legata a un sistema sempre più opaco. Un sistema che pare abbia smarrito la capacità istituzionale di governare perché sempre più subordinato al potere del mercato e dei media che soppiantano la cultura e diffondono senza sapere. Infine, un omaggio al grande maestro Gianni Clerici con Bottazzi che ha fondato in suo onore, insieme ad altri esperti, un’associazione culturale: il Club delle Balette.
Bottazzi, cosa ne pensa di tutto quello che sta succedendo a Djokovic?
Purtroppo, la faccenda Djokovic è penosa. Ne esce male lui, il tennis e l’Australia. A tutti gli effetti, Novak aveva ricevuto il semaforo verde dall’organizzazione, ma il governo centrale si è messo poi di traverso. Questo dimostra come di chiarezza ce ne fosse pochissima. L’unica cosa che mi sento di dire è come a fronte di questa vicenda resti un problema…
Quale?
Le regole di ammissione per i prossimi tornei? Dubai, Indian Wells, per fare un semplice esempio, quali saranno? Adesso, il tennis internazionale dovrà affrontare la gestione del dilemma Djokovic. In Australia abbiamo visto solo il primo atto di questo teatrino.
Secondo lei Djokovic è il più grande di sempre?
Non si può dire chi sia stato il più grande perché cambiano le epoche, le circostanze ambientali, i materiali, ecc.
Ad esempio, dagli anni Trenta fino alla fine degli anni Sessanta i professionisti non potevano giocare il circuito tradizionale, quindi gli Slam e la Coppa Davis. Quanto invece si può identificare sono i campioni più dominanti per ogni preciso periodo. Dunque, Bill Tilden negli anni Venti così come Rod Laver negli anni Sessanta, per offrire un’idea agli appassionati. Federer, Djokovic e Nadal sono certamente delle leggende e nel contempo i tennisti più visti di sempre, Difatti, Laver o Pelè li vedevi tre volte all’anno, mentre Roger, Nole e Rafa tre volte al minuto tutti i giorni dell’anno. Siccome sono i più visibili di sempre fanno forse pensare che siano anche i più forti.
Chi sono i favoriti per questi Australian Open?
Primo Medvedev e secondo Zverev, come indicato anche dalle teste di serie. Si attendono come exploit quello dello spagnolo Alcaraz e perché no anche di qualche racchetta azzurra. La vecchia guardia a mio avviso non ce la fa, Nadal non credo possa vincere. Sarà l’anno delle nuove generazioni. Nel femminile credo che la campionessa in carica Naomi Osaka non alzerà di nuovo il trofeo, mantenendo la nuova consuetudine in cui c’è sempre una vincitrice diversa. Ma c’è dell’altro…
Dica pure.
Il tennis è sempre più importante rispetto ai suoi campioni, lo sport resta sempre a meno che non lo rovinino come stanno provando a fare.
Basta osservare la vicenda della Coppa Davis, una vecchia nobile signora venduta al bordello di Calcutta e i bislacchi tentativi di accorciare il punteggio del tennis. Spero che queste vicende non facciano scuola.
Cosa è successo in Coppa Davis?
L’ITF, la federazione tennis mondiale, esiste perché deve sovrintendere le regole e rilanciare continuamente il gioco. Incapace di assolvere al suo compito istituzionale e spalleggiata da alcune federazioni nazionali, ha venduto i diritti alla società privata Kosmos, compagnia del calciatore Gerard Piqué che adesso gestisce la Davis per i prossimi 25 anni. Hanno preso 3 miliardi di dollari, ma il loro compito era quello di rilanciarla, mica di venderla. Questa è la dinamica vergognosa del nostro tempo in cui si colloca anche la vicenda penosa di Djokovic e gli Australian Open.
C’è qualcosa che non torna…
Diverse cose! Tra queste, mi chiedo come sia possibile che uno sport planetario come il tennis abbia quattro formule diverse in quattro tornei dello Slam in ambito maschile. In Australia abbiamo il super tie break in cui si arriva a dieci punti al quinto set, a Parigi il tie break al quinto set non c’è, a Wimbledon si usa quello tradizionale ai sette punti sul dodici pari nel set finale mentre agli US Open sul sei pari al quinto set. Come dire che il calcio, con tutto quello che è, settanta minuti dura una partita di campionato, ottanta in Champions League e novanta ai Mondiali.
Un sistema davvero poco definito…
Mi chiedo cosa faccia questo sistema! Evidenziando queste oggettive disfunzioni, anche senza voler dare giudizi, gli stessi emergono comunque in modo perentorio. L’ultima vicenda penosa dell’Australia che esempio propone? La Coppa Davis ha migliorato la propria condizione? Un sistema di punteggio diverso nei quattro tornei dello Slam è sinonimo di stabilità?
Bottazzi, quindi c’è bisogno di fare chiarezza?
Ci sono una serie di sperimentazioni che paiono tentativi raffazzonati per fare cassetta, non certo ordine. Il tennis ha delle caratteristiche ben precise, è bene non dimenticare. Si tratta di una disciplina di resistenza psicofisica, quindi ha bisogno di tempo per sviluppare la propria trama in modo compiuto. L’eventuale introduzione del punto secco sul 40 pari conferisce maggior peso al fato, anziché ad intelletto e destrezza come quando è invece necessario vincere con due punti di distacco. Sfido chiunque a dire che il fato sia più spettacolare della destrezza e dell’intelletto! Ma questo passaggio non è pensiero di mio conio.
Di chi è?
Del filosofo Antonio Scaino da Salò, il primo a scrivere un trattato sui giochi di palla, tra cui il tennis rinascimentale: la Pallacorda. Un testo del 1555 da lui dedicato ad Alfonso II duce D’Este. Possibilmente chi governa oggi il tennis ignora totalmente questo genere di cose.
Prego.
Il futuro è la porta, la chiave è il passato, diceva il poeta francese Victor Hugo. Per questo motivo conoscere il passato sul quale si fonda il presente in cui cammina già il futuro è un aspetto fondamentale per coloro i quali ricoprono un ruolo dirigenziale e anche di diffusione. Quanto appena detto si compendia in una sola parola che si chiama cultura. Per comprendere completamente una materia, così come una disciplina sportiva, è necessario un profondo “Sapere”. Altrimenti che genere di direttive e di diffusioni si potrebbero mai partorire?
Ovvero?
Mi spiego fornendo un ulteriore esempio. Quanto DNA c’è nel tennista moderno ereditato dal tennista rinascimentale, quando il gioco veniva praticato e illustrato da personaggi quali Galileo, Caravaggio, Carlo V ed Enrico VIII? Ebbene, tutti i colpi piatti e tagliati sono stati inventati nel Rinascimento. Così, quando sua altezza Roger Federer taglia la palla il pubblico si esalta, ma nessuno conosce l’origine e il perché di questo gesto esecutivo, volgarmente definito tecnico.
Dunque?
Il vero problema è che il gioco del tennis è come il gioco del “Bridge”. Ridurlo al “Rubamazzo” non è certo una sintesi, ma trasformare un arte piena e affascinante in uno slogan pubblicitario da supermercato. Saper fare sintesi è una cosa difficilissima che solo le menti più preparate e raffinate riescono a fare. Del resto, è più facile rompere l’atomo del pregiudizio, diceva Albert Einstein. Una sintesi eccellente, prodotta da un cervello eccezionale, come volevasi dimostrare. Ovviamente, non voglio dire che per dirigere o diffondere il tennis bisogna essere dei geni assoluti, ma di certo possedere competenze riconosciute, non autoreferenziali.
Può fornirci allora un esempio in grado di collegare il tennis del passato col presente?
Il gioco ha sempre posseduto due universi: quello esterno nel quale il giocatore si rapporta con l’ambiente e quello interno in cui deve fare i conti con la propria psicologia, le paure, le insicurezze, prima di decidere il piano di gioco. E durante la partita prevale sempre il tennista che produce le idee migliori, quello in grado di resistere e far in modo che il suo anello debole della catena non si spezzi. Invece, nella narrazione tecnologica attuale viene esaltato al contrario: il colpo vincente. Il Mantra riconosciuto universalmente quale ombelico del mondo della disciplina. A tutti gli effetti, i colpi vincenti hanno il loro peso, ma sbagliare il meno possibile e rompere l’anello debole della catena avversaria conta da sempre molto, molto di più. E questa è un’altra evidente distorsione che fa pensare come il tennis sia uno sport tanto diffuso quanto sconosciuto.
E il pubblico allora cosa fa?
Come diceva Wilfred Baddeley, campione di Wimbledon nel 1891: "Il pubblico capisce solo chi vince". Ebbene, dopo oltre centotrenta anni vien da chiedersi cosa sia cambiato in generale nella percezione dell’audience.
C’è qualche responsabilità nei media?
Assolutamente si, stando alle parole di Baddeley. Mirando ad una visone elusivamente commerciale attraverso lo sfruttamento del gioco, si è dimenticato per strada il compito di alfabetizzare il pubblico alla complessità del teatro dei gesti bianchi, per dirla come il Maestro Gianni Clerici.
Manca quindi la diffusione delle conoscenze?
A tal proposito non vi è dubbio alcuno! Il sistema attuale si alimenta in generale attraverso le opinioni, non certo grazie al sapere. Dimenticando però come il sapere produca cultura, mentre le opinioni ignoranza. Ulteriormente, tutto viene svilito per cercare il colpo ad effetto attraverso la velocità, la precisione non conta. Difatti, ha rilevanza il personaggio noto quando parla, non come parla, il peso e l’attendibilità delle sue parole. La diffusione viene così schermata per mezzo della notorietà dell’individuo oppure dal "brand comunicativo" di turno. In questo modo, tutto passa in cavalleria. Il risultato di questa dinamica è oggettivamente sotto gli occhi di tutti coloro i quali posseggono un minimo di capacità di osservazione.
Finita l’era di Djokovic, Federer e Nadal cosa succederà?
Visti i fatti, il panico generalizzato! Perché quei tre fuoriclasse hanno permesso di far vendere a chiunque, anche agli impreparati, il ghiaccio agli eschimesi. Questi vent’anni, a mio parere, dovevano essere usati anche per fidelizzare il pubblico e far così amare il tennis attraverso la diffusione del sapere, invece di sfruttare il gioco in maniera esclusiva per il solo monetizzare. La speranza è che non si interrompa il meccanismo secolare della gallina con la racchetta in mano dalle uova d’oro. Un processo di sfruttamento questo che in verità non appartiene al solo mondo tennistico perché oggi è alquanto diffuso in molti settori.
Ci hanno riferito che Gianni Clerici non sta bene, cosa ha rappresentato per il tennis mondiale?
Gianni Clerici è l’unico insieme a Nicola Pietrangeli a essere presente nella Hall of Fame di Newport, e questo dice già tutto. Gianni è un maestro! Infatti, insieme ad altri amici esperti, mi sono adoperato per realizzare il ‘Club delle Balette’. Un club culturale sorto per riportare in vita il retaggio del tennis rinascimentale: la Pallacorda. Una pratica capace di effondersi in tutte le corti europee che resta alla radice di quello che oggi tutti conoscono come “Lawn Tennis”, per noi italiani il tennis su prato, quello di Wimbledon.
Bottazzi lei è socio fondatore quindi?
Sì, con me molti altri esperti, tra cui diverse personalità che vengono dal mondo museale, della ricerca, del collezionismo, dell’università. Molte di queste professionalità provengono proprio da quei luoghi in cui un tempo si praticava l’antico sport di racchetta. Città come Ferrara, Mantova, Jesi, Urbino, Milano, Torino, Pisa, Firenze, Napoli, Roma. Questa iniziativa, che facciamo da quasi due anni, è dedicata proprio a Gianni Clerici, il quale ricopre la carica di Presidente Onorario.
Quanto è importante conoscere la storia del tennis?
E’ un discorso lungo, servirebbero delle rubriche televisive competenti e dei buoni libri per spiegarlo. Ecco la ragione per la quale scrivo, nella speranza di risultare di qualche utilità. Dico questo perché oltre agli scrittori servono anche i lettori. E in Italia come è risaputo scarseggiano. Un aspetto doloroso e per questa ragione ritengo sia opportuno provare a tornare a coltivare il seme della lettura.
Il tennis ha avuto un ruolo trasversale enorme…
Certamente! Difatti, tornando all’attualità, l’Australia è così lontana da sembrare un tempo una terra appartenete ad un altro pianeta. Eppure, rientrava nel nostro mondo grazie anche al gioco del tennis. Quando nasce Wimbledon nel 1877 due anni dopo nascono i Victorian Championships a Melbourne. Sulla costola di questo evento nel 1905 sorgono i Campionati Internazionali d’Australia, oggi noti come Australian Open. Iniziava così la grande tradizione australe inaugurata nel 1907 da Norman Everard Brookes, primo non britannico a vincere Wimbledon. Un giocatore formidabile capace di stravolgere l’universale grazie al suo gioco mancino.
A quel tempo infatti la sinistra era una mano proibita, ma Brookes, novello Paganini, conquistava il mondo attraverso un genio unico e la sua “Racchetta del diavolo”. Oggi chi vince il singolare maschile agli Australian Open alza il trofeo Norman Everard Brookes. Questa è una storia, a mio modo di vedere, forse leggermente più appassionante dell’ultima vicenda australiana con attore protagonista Novak Djokovic.
Perché non trasmettono tutto questo in tv?
E come fanno? Chi si basa in generale sulle opinioni ignora il sapere! Così, come le competenze, il sapere viene etichettato come pesante orpello. Troppo lento, profondo e preciso per la frenesia dei cosiddetti tempi televisivi, e quindi viene silenziato al di fuori della omologazione del coro.
La speranza è che le cose cambino, migliorino, anche se in merito nutro più di una perplessità. Per porre rimedio a questa lacuna, al momento non resta che leggere dei buoni libri.