Nel giorno in cui la MotoGP sbaglia tutto, la Formula 1 debutta con un regolamento rivisto che mette in pista lo spettacolo vero del motorsport. Eppure le corse in moto sono sempre state questione di equilibrio, di attimi. In MotoGP non c’è il motore ibrido, il DRS necessario ai sorpassi sul dritto, il flusso incessante di team radio che snatura le iniziative del pilota. La MotoGP è nuda, la Formula 1 rifatta. È plastica, schemi: parlare coi piloti di F1 è più difficile perché sono chiusi in una gabbia di soldi. Non i loro, non soltanto almeno. Di contro in MotoGP la gara dura meno di un’ora: corrono a fuoco finché le gomme non ne possono più e loro nemmeno. Anche i rischi sono di più, perché se finisci nella ghiaia con una moto a duecento all’ora non sai veramente come può andare a finire. Non è un punto di vista, è la realtà.
Ma la realtà dice anche che la prima domenica a mettere insieme il meglio del motorsport ha parlato chiarissimo, così come lo aveva fatto il finale di stagione ad Abu Dhabi: la Formula 1, per molti un distillato di noia su ruote, ha fatto scuola alle corse in moto, quelle corse fatte di piloti disposti a farsi amputare una falange per correre.
In Bahrain, al grand chelem (pole, giro veloce, vittoria) di Charles Leclerc c’è da aggiungere il secondo posto di Carlos Sainz, tanto che a Maranello sembrava di essere tornati a Italia-Francia 2006 con la gente in strada e le bandiere e i fumogeni e le macchine che suonano. Non c’è traccia della Formula 1 di cui si riusciva a guardare soltanto la partenza perché conciliava il sonno. Dei sorpassi che si possono fare solo con le soste ai box o con le macchine altrui che scoppiano, non c’è traccia dei “tanto vince Hamilton”, di intere gare condotte a velocità autostradali da una serafica safety car. Oltre alla pista poi, è stato tutto il contesto a funzionare: ci sono rivalità profonde e sentite che fanno bene allo sport, Hamilton-Verstappen che ieri è diventato Verstappen-Leclerc, i veterani come Fernando Alonso che ci provano ancora, la Mercedes che nonostante tutto arriva sul podio perché Lewis ha fortuna come ogni fuoriclasse.
A Mandalika no, lì c’era una pioggia torrenziale perché si è deciso di correre a marzo e un asfalto che si sgretola sotto le moto, al punto che le gare (di Moto2 e MotoGP) non si potevano nemmeno correre fino alla fine, ricordandoci che il business ha spesso ragione sulla qualità.
In MotoGP non c’è più Valentino Rossi, in Indonesia - speriamo solo lì - è mancato anche Marc Marquez. Enea Bastianini, che in Qatar ci ha spalancato il cuore, è arrivato dietro ma partiva quinto. Bagnaia, chiamato a vincere un mondiale che da quelle parti manca dal 2007 (si, come quello di Kimi Raikkonen) ha chiuso quindicesimo con un punto. A Borgo Panigale sembrano incastrati nello stesso “dobbiamo capire” che Mattia Binotto si è strappato di dosso, forse per sempre, nella notte del Bahrain.
La MotoGP, stavolta, ha preso una grossa paga dalla Formula 1. Mancano i personaggi da tutto o niente, le imprese che smuovono, una Ducati in grado di mettere paura al resto del mondo come ha fatto la Ferrari aprendo la stagione. Di incroci tra i due campionati, in questo 2022, ce ne sono ben dieci: il prossimo, quando le moto saranno ad Austin e le auto a Melbourne, il 10 aprile. Ci serve un Bagnaia in grado di vincere, Marquez di nuovo sulla moto, Bastianini che fa ridere Fausto da lassù. E un’impennata a fine gara che le macchine no, non la possono proprio fare.