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Marc Marquez, Lewis Hamilton e quella tremenda voglia di Italia. Ma noi abbiamo davvero bisogno di loro?

  • di Tommaso Maresca Tommaso Maresca

2 febbraio 2024

Marc Marquez, Lewis Hamilton e quella tremenda voglia di Italia. Ma noi abbiamo davvero bisogno di loro?
Marc Marquez e Lewis Hamilton vestiti di rosso nel 2025 è un'ipotesi più che plausibile. L'Italia delle corse, della Ferrari e della Ducati, resta così attraente da convertire le utopie in realtà, da trasformare gli avversari del passato in futuri beniamini purosangue. Ma Borgo Panigale e Maranello hanno davvero bisogno di Marc, Lewis e dei loro quindici titoli mondiali?

di Tommaso Maresca Tommaso Maresca

Chiudiamo gli occhi e immaginiamoci il 2025 che sarà. Quindi con Lewis Hamilton in rosso, sul sedile della Ferrari, come è stato annunciato questa settimana. Con Marc Marquez in rosso, sulla Ducati ufficiale, dopo aver fatto sfracelli nel 2024 in Gresini ed essersi conquistato la sella che ora appartiene ad Enea Bastianini. Sarebbero quindici titoli mondiali, come minimo, nel giro di quaranta chilometri. Tra Maranello e Borgo Panigale, un'Autostrada del Sole e dell'oro, un rettilineo che collega l'Emilia alla Romagna sotto una virtualissima - per ora - corona iridata. La domanda sorge spontanea: è l'Italia dei motori ad avere bisogno di Hamilton e Marquez, o sono Lewis e Marc che desiderano irrefrenabilmente macchiarsi del rosso Ferrari e Ducati? Cerchiamo una risposta, rinfrancati dalla consapevolezza che sbrogliare la matassa sulle origini dell'uovo e della gallina sia decisamente più complesso.

Nel 2025 Hamilton avrà quarant'anni e l'approdo a Maranello sarà l'ultima grande sfida prima della pensione. Uno stimolo senza il quale, probabilmente, il sette volte campione del mondo di Stevenage avrebbe smesso. Invece la fiammella che illumina i sogni più lieti resta accesa: se il primo anno in rosso dovesse rivelarsi di transizione, ecco che nel 2026 - col cambio di regolamento - la possibilità di assestare la zampata finale di una carriera impareggiabile sarebbe realistica. Superare Michael Schumacher, conquistare la folla rossa che fu del Kaiser, e assumere le sembianze di una divinità. Hamilton festeggerebbe l'ottavo titolo con la scuderia più blasonata di sempre. Il primo pilota di colore della Formula 1 diventerebbe anche il primo pilota della storia a vincere un Mondiale con tre macchine diverse. Roba da far accaponare la pelle. Lewis e la Ferrari, che si sono rincorsi per una vita, in pista e nelle trattative, possono finalmente togliersi lo sfizio: correre assieme, mano nella mano, e vedere l'effetto che fa. La borsa di New York, ventiquattr'ore dopo l'annuncio di Hamilton in Ferrari, ha registrato un'impennata di dieci punti percentuali sul valore del Cavallino Rampante. Segno che l'operazione di Maranello, se non dovesse sfondare sul piano sportivo, verrà ricompensata sul versante commerciale. Marchio Ferrari però, che senza Lewis Hamilton, senza il personaggio più sensazionale del circus, ha già dimostrato di saper smobilitare la crema delle star di Hollywood. Il numero 44 sulla Rossa, in sostanza, è l'ennesimo capitolo di una storia iniziata nel 1929 e che, in ogni caso, andrà avanti.

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Marc Marquez, invece, già da quest'anno guiderà una Ducati (coi colori Gresini) per provare a riprendersi quella MotoGP che aveva dominato fino alla caduta di Jerez 2020. Sale sulla Desmosedici con l'intento di ristabilire il suo ordine dopo quattro anni di infortuni, crisi e difficoltà. Se riuscirà ad inaugurare una nuova era di vittorie, parte importante del successo verrà attribuita a Borgo Panigale. Sarà stata la Ducati, nell'immaginario collettivo, la salvezza del 93, la Casa che avrà consentito all'otto volte campione del mondo di tornare sul gradino più alto del podio quando altrove (in Honda) sarebbe stato impossibile trionfare. Ducati non ha necessariamente bisogno di Marquez. Perché arriva da due titoli mondiali consecutivi con Pecco Bagnaia, perché in serbo ha altri sei piloti giovani e talentuosi, perché ha rivoluzionato il modo di lavorare in MotoGP (l'intento è quello di spostare gli equilibri anche nel motocross, con l'acquisto di Tony Cairoli - nove titoli mondiali e una carriera tra Yamaha e KTM - a trainare il progetto off-road), dove continua a vantare una supremazia tecnica sugli avversari. È stato Marc a cercare la Ducati, non viceversa.

Hamilton e Marquez hanno voglia e bisogno di Italia. Dopo una vita da rivali, da avversari, passano dall'altra parte della barricata. Come se sentissero la necessità di essere sospinti, coinvolti in qualcosa che forse è più grande di loro stessi. Quella passione rossa, cuore pulsante del motorsport, con cui tutti i piloti - almeno da piccoli - fanno i conti. Marc e Lewis, da grandi, vogliono sentirsi parte dell'Italia delle corse, che resta irrimediabilmente attraente. Per non farsi mancare nulla, per non avere rimpianti, per entrare in contatto con una storia, con dei tifosi, da convertire a proprio favore. Lewis sogna il boato dei ferraristi dopo un suo passaggio all'Ascari, Marc - esaltato dalla Tribuna Ducati al Correntaio - potrebbe trovare dei decimi extra nel polso e sorrisi inediti nel casco (lo scorso mese, ai musei di Gresini e di Borgo Panigale, gli brillavano gli occhi). Niente è più affascinante di un incontro fra mondi che, fino a poco tempo fa, sembravano inconciliabili. 

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