Il mondiale Superbike, dopo anni di dominio incontrastato da parte di Jonathan Rea, è tornato ad essere spettacolare. Grazie a Yamaha che è tornata a vincere mettendo tutto in discussione e, da quest’anno, alla Ducati che ha ritrovato Alvaro Bautista. Ad Aragon, primo weekend di gara della stagione, abbiamo visto gare spettacolari: sorpassi continui, grande equilibrio in pista, finezze da fuoriclasse. Come per la MotoGP, in Superbike ci sono almeno tre costruttori in grado di vincere. Ma, al contrario del mondiale prototipi, in SBK sono tre piloti soltanto a giocarsela. Il che significa che, nonostante un buon bilanciamento sul lato tecnico, il pilota fa ancora un’enorme differenza. Ne abbiamo parlato con Max Temporali, storica voce tecnica nel mondiale delle derivate. Ecco cosa ci ha raccontato.
Max! Come è stato il ritorno in pista?
"Bello, davvero. Anche noi, in cabina di commento, l'abbiamo vissuta come una stagione normale rispetto agli anni scorsi. Vuol dire tanto, eravamo carichi. Questo ci ha aiutato, poi ovviamente c'era tanta emozione: è stata un po' una prima volta, questa è una Superbike con tre piloti tosti e pensavamo che Bautista sarebbe stato più interessante rispetto a Redding: per ora è andata così”.
Si è parlato molto di Alvaro Bautista, sia durante i test che nei giorni di prova, specialmente quando si stendeva come a fine 2019. Il rischio di vedere sprecata un’altra stagione era concreto, invece ad Aragon ha vinto due gare su tre. Come lo vedi?
“Ha avuto la giusta intelligenza e maturità. Quando in Gara1 le ha prese all’ultima curva da Rea ho pensato che non avesse quel qualcosa di speciale per combattere con un cannibale, perché di questo stiamo parlando. Invece lui non era andato al limite e Johnny si, almeno così ha detto. E le altre due gare le ha vinte, facendoci vedere ancora il Bautista che aveva demolito il resto della compagnia all’esordio: ci ha messo tanto del suo e ad oggi rimane il miglior interprete della Panigale V4”.
Kawasaki e Yamaha, nel frattempo, hanno fatto un bel passo in avanti.
“Si, a me ha sorpreso tantissimo Kawasaki, quando usciva dal cavatappi verso il rettilineo posteriore aveva un’accelerazione spaventosa, nel primi duecento metri era imprendibile anche per la Ducati. A Borgo Panigale hanno grande potenza e un pilota leggero, quindi si ritrovano qualche problema di spinning al posteriore. Invece Kawasaki è esattamente il contrario: hanno configurato il motore e il cambio sui 14.600 giri tirando fuori un prodotto esagerato. Ne parlerò più avanti, ma dico già che quando ho provato quella moto mi è venuto da piangere dalla sua bellezza”.
Toprak Razgatlioglu, invece, sembra aver pensato ai punti in una gara un po’ più complicata del solito per lui. Che ne pensi?
“Mi ha impressionato, ha sempre una grande capacità di gestire situazioni tecniche un po’ sfavorevoli. Non era a posto col davanti, soprattutto in Gara 1, così qualche rischio sembrava prenderselo, invece ha sempre avuto il controllo della situazione e ha usato la testa. Ormai ha capito che per vincere i mondiali servono i punti. È la Superbike di questi tre, il livello si è alzato e sono tutti più veloci, sono convinto che qualcuno si inserirà tra le posizioni buone ma loro saranno sempre lì”.
Chi possono essere gli outsider di questo mondiale?
“Magari gli altri potrebbero portarsi a casa un podio, Rinaldi ha già dimostrato di saper vincere e quindi ce lo metto, così come Locatelli e forse una BMW, magari non quella di Redding. Baz va forte, Mikhalchik è stato una bella sorpresa… Poi bisognerà vedere quando tornerà Van der Mark”.
A proposito, parliamo di Scott Redding: è in caduta libera o deve ancora capire la moto?
“Di solito se ti trovi con una moto la chimica è immediata. Poi il fatto di lavorarci ti può portare, che ne so, dal terzo posto a lottare per la vittoria. Ma se fatichi ad entrare nella zona punti vuol dire che non è scattata la scintilla, credo che per lui un podio sarà abbastanza improbabile. Lui comunque ha raccontato che c’è molta differenza tra il motore Ducati e quello BMW in termini di guida e che questo lo diverte di più, è una dichiarazione che fa sorridere”.
È una grande Superbike quest’anno.
“Meravigliosa. Tante volte si è detto che non è più quella di una volta, ma questa forse è bella quanto quella del ’99, 2000, 2001. Di quando c’erano Bayliss, Edwards, Yanagawa… Tutti quei piloti”.
È difficile dirlo agli appassionati, ma probabilmente è anche meglio. Sei d’accordo?
“Il passato è andato. Pensa solo a Jonathan Rea, a lui secondo me non viene mai dato il giusto valore. Troy Bayliss, l’icona della Superbike, ha vinto la metà di lui in termini di mondiali e forse un terzo in fatto di gare. Questo ragazzo irlandese forse lo apprezzeremo quando smetterà di correre, rendendoci conto che ha fatto qualcosa di davvero speciale. Poi mi sembra di capire che molti appassionati di Superbike siano di una vecchia generazione”.
Vanno ancora, beati loro, sui passi di montagna con tuta e saponette!
“Sono quelli delle telecronache di Giò di Pillo - che ha lasciato un segno forte - di Ben Brostom, di Corser… Gli anni però cambiano e cambiano anche le corse. Bisogna guardare a quello che c’è di bello e mi pare che adesso ce ne sia, anzi. Dal mio punto di vista, e non perché io ci lavori, preferisco la Superbike alla MotoGP. Quando mi dicono che la MotoGP è più emozionante perché ti fa vedere tre vincitori diversi in tre gare allora viene voglia anche a me di fare il vecchio: quando seguivo le prime gare, da bambino, in 500 vincevano Spencer, Lawson… quelli bravi erano sempre davanti. Poi magari capitava una gara storta, ma i valori erano ben definiti e quelli bravi di regola facevano almeno podio”.
La Superbike di adesso ricorda un po’ la MotoGP di 15 anni fa, quando c’erano Valentino Rossi, Casey Stoner, Jorge Lorenzo e Dani Pedrosa: tre costruttori diversi, quattro piloti velocissimi. E il punto era capire chi sarebbe arrivato davanti agli altri tre, ma quelli erano i candidati al podio.
“Certo, avevi dei valori di riferimento: sapevi che Pedrosa era buono e lo trovavi in quella zona lì, Stoner uguale. Difficile, a meno che facessero degli errori, vederli arrivare quindicesimi. La MotoGP di adesso non è più così, è come se Rea arrivasse quattordicesimo e sul podio ci salisse Tati Mercado, che con tutto il bene che gli voglio è difficile immaginarselo davanti a un sei volte campione del mondo. La MotoGP è un po’ falsata da diversi parametri e ho perso un po’ di attrazione per la categoria”.
La gara di Marc Marquez ad Austin però è stata impressionante: partiva nono, al via è finito in fondo al gruppo e dopo una rimonta furibonda ha chiuso 6°, davanti al campione del mondo e a Jorge Martin che aveva fatto la pole.
“Già. L’interesse nella MotoGP è vedere cosa fa Marc Marquez, bello o brutto che sia. Ed è un interesse che hanno sia i suoi ammiratori e tifosi che quelli che si trova contro. Togli Marquez, un pilota vale l’altro. Ti lasciano poco, non sono personaggi che bucano lo schermo dal punto di vista sportivo. Faccio fatica a vedere qualcuno che spicca. Ci si preoccupava molto dell’addio di Valentino Rossi e chiaramente adesso c’è un calo, ma lui era arrivato un po’ alla fine del suo giro. Marquez oggi è l’uomo dei miracoli, è spettacolare. Parte ultimo e arriva lì davanti, cade ed è capace di farlo in maniera diversa… Oggi lui è la MotoGP”.