Sul ciglio della strada, affacciati tra arbusti e sterpaglie, ci sono marito e moglie. Lui fissa l’obiettivo di una telecamera amatoriale sulle due corsie di un nastro d’asfalto nero, che si snoda fra tronchi, muretti, pali della luce e – appunto – una vegetazione rigogliosa, verde, apparentemente rassicurante. Lei, invece, ha gli occhi puntati su macchie nere che, ad oltre 130 miglia orarie, sfrecciano a pochi centimetri dal suo viso. Ad un certo punto il marito cambia prospettiva: riprende il volto della moglie. Lei ride, ride di gusto. “No way!” - grida estasiata.
Non c’è strada. Non c’è altra via. Non ci sono vie di fuga. Se sei un appassionato di motociclismo non puoi scappare dal fascino sinistro del Tourist Trophy dell’Isola di Man. Se sei un motociclista, altrimenti, lo sfizio di percorrere – almeno una volta – quella strada oscura lunga 37,73 miglia, ti perseguiterà per il resto della vita. Sessanta chilometri di follia e passione, sul cui asfalto è incisa la storia delle competizioni a due ruote, di quel road racing che torna protagonista nella prima settimana di giugno di ogni anno. È così dal 1907. Sessanta chilometri tra salti, rettilinei, tornanti, curve veloci, cambi di pendenza. Trentasette miglia che, quelli bravi, fanno fuori in una ventina di minuti. Un quarto d’ora abbondante che sembra eterno, dove il paradiso può diventare inferno. Il TT è una sfida perpetua contro te stesso, contro i limiti della tua pazienza, contro i confini di una strada che più vai forte e più si restringe. Per vincere devi sfiorare i muretti, mettere le ruote dove i ciuffi d’erba accarezzano l’asfalto, rendendolo viscido. Sei eccitato, ma il tuo stato d’animo è tale perché una paura di fondo permane. È la paura di non finire la gara, di fare del male agli spettatori che ti applaudono mentre guidi, di oltrepassare un confine labile, quasi impercettibile, aldilà del quale non vuoi immaginare cosa ci sia. Paura che attraversa costantemente testa e stomaco, rendendoti rigido nei cambi di direzione. Intanto, però, hai bisogno di concentrarti. Allora rintuzzi i pensieri negativi, sposti il peso da una parte all’altra della sella e ti godi ogni metro dell’Isola di Man. A Nord, magari, trovi la pioggia. Scollini e senti il vento che soffia alle tue spalle, mentre un raggio di sole si rinfrange sul serbatoio, schiarendoti visuale e idee. In certi punti, lontano dai centri abitati, ti capita di vedere le increspature del Mare d’Irlanda, che sfoga la sua ira contro scogliere possenti e altezzose. Scavalli i duecento orari all’Isola di Man e ti senti Peter Pan sull’Isola che non c’è. Perché poi arriva anche il momento in cui ti chiedi se questa follia, questa corsa impazzita, sia reale. Lo è. Il Tourist Trophy esiste, l’Isola di Man anche. È una dipendenza della Corona Britannica che gode di ampia autonomia. Qui rookies si chiamano newcomers e l’unica unità di misura rilevante è il miglio orario. Sul rettilineo del traguardo, come vuole la tradizione, giovani boy scout locali aggiornano i cronologici sull’antico tabellone segnatempi di legno. Quando si passa a Coan Buigh, davanti alla casa di Gwen Crellin – commissario di gara di 46 edizioni del TT – è buon uso fare un saluto. Lei, La Dama Bianca, fondatrice del TT Marshal Association, se n’è andata quindici anni fa. Non ricambierà il gesto mostrando la sua celebre lavagnetta con scritto “Good Luck”. In quel momento, però, potrai pregare il tuo Dio. E correre leggero.
"Per vincere al Tourist Trophy occorre fare le curve lente piano e le curve veloci forte" – ha confessato Giacomo Agostini. Lui è asse portante della storia del TT, dove vinse dieci volte ai tempi in cui il circuito del Mountain non era ancora ritenuto eccessivamente pericoloso e figurava all’interno del calendario del Motomondiale. Meglio di Ago fece il rivale Mike Hailwood (14 successi sull’Isola), al quale seguirono le imprese di Joey Dunlop (primatista assoluto del TT con 26 vittorie) e di Michael Dunlop. Tra zio e nipote si inserisce John McGuinness, che tra poche ore – a 51 anni – sarà l’unica punta della Honda Racing UK al TT, e proverà a ritoccare i suoi 23 trionfi su 100 gare disputate al Mountain. Il classe 1972 di Morecambe prenderà parte sia alle manches di Superstock che a quelle di Superbike, andando a caccia dell’incredibile record di 135 miglia orarie di media sul giro (217 km/h) fatto segnare nel 2018 da Peter Hickman – il favorito, insieme alla sua BMW M1000RR, dell’edizione imminente (dal 30 maggio scatterà la settimana delle qualifiche, dal 3 giugno la settimana di gare). Da non perdere anche le gare di Supersport e di Sidecar. Sì, avete capito bene. Starete riproiettando in mente le immagini di “Maledetto il giorno che ti ho incontrato”, con Carlo Verdone e Margherita Buy sul sidecar tra le stradine della Cornovaglia. Al Tourist Trophy dell’Isola di Man, invece, i sidecar gareggiano e sfiorano i 119 miglia orari di media sul giro. Il passeggero, tra le curve del Mountain, si muove come un equilibrista per raggiungere, continuamente, la migliore configurazione aerodinamica. Perché alla fine, sull’Isola di Man, ogni minima distrazione, sbavatura, rischia di essere fatale. Ogni secondo sul Mountain va assaporato; con tecnica, concentrazione, infinito coraggio ed irrimediabile incoscienza. Sull’Isola di Man conta godersi l’attimo, il momento, il presente. Il Tourist Trophy è essenza ed esasperazione del motociclismo, delle corse, e non solo. Ciò che accadrà alla fine di un salto, dopo una curva, nessuno lo sa. Mai. L’equilibrio, il controllo, sono sensazioni ingannevoli, transitorie. Guidare, essere piloti, è l’unico modo per non avere rimpianti. Non c’è altra strada. No way.