Una lotta giusta e fondamentale, quella per abolire il razzismo e sradicarlo definitivamente anche in contesti elitari, prevalentemente composti da bianchi, come quelli che accolgono, da sempre, il motorsport. La lotta che si è preso sulle spalle Lewis Hamilton, all'inizio della stagione, diventando portavoce nel suo mondo del movimento Black Lives Matter.
Questione però che nel corso dei mesi è velocemente degenerata, prendendo una piega forse troppo radicale o forse, semplicemente, lontana da quei valori e da quegli obbiettivi con cui era nata. I primi ad essere attaccati, nel mondo della Formula 1, sono stati i piloti che hanno scelto di non inginocchiarsi al fianco di Hamilton durante i minuti di silenzio dedicati alla lotta contro il razzismo. Chiarissima, fin da subito, la posizione di piloti come Leclerc, Verstappen e molti altri: "siamo favorevoli alla lotta contro il razzismo ma il movimento Black Lives Matter ha preso, nel tempo, connotazioni politiche oltre che sociali, e preferiamo non inginocchiarci ma fare del nostro meglio per questa lotta sociale nel privato".
Apriti cielo: ancora oggi, in giro per il web, sono tantissimi quelli che si riferiscono a Charles Leclerc e Max Verstappen chiamandoli "i razzisti".
Passato il momento Black Lives Matter è arrivo il Mazepin Gate che, per chi non lo avesse seguito, ha avuto questo svolgimento: Nikita Mazepin, russo pagante che correrà nel 2021 in F1 con Haas, ha dimostrato, per l'ennesima volta, di essere una testa calda (eufemismo, ovviamente). Nel corso degli scorsi anni ha picchiato colleghi nei box, fatto le peggio azioni in pista ecc ecc ma - subito dopo l'annuncio ufficiale del suo contratto con Haas - il russo ha dato il meglio di sè, pubblicando sul proprio profilo Instagram un video in cui lo si vedeva palpeggiare una ragazza, seduta in macchina con lui, palesemente ubriaca e non consenziente. Sono arrivate le scuse di entrambi, con la spiegazione di quella che si definisce un'amica del pilota, che ha nascosto il problema sotto al tappeto, prendendo le difese del russo. Anche qui apriti cielo: online è partita la petizione per togliere Mazepin dalla F1 e su Twitter per giorni è rimasto in tendenza l'hashtag #WesaynotoMazepin.
Polemica buona, giusta e sacrosanta, soprattutto per chi conosce i precedenti di Nikita, che certo non brilla per l'impegno sociale o la bontà d'animo, ma la valanga di indignazione scaturita da questo video, nel corso delle settimane, ha ancora una volta preso una piega inquietante. Sui social la cattiveria montata contro Mazepin ha raggiunto picchi vicini alla follia, come a dire "nessuna pietà per chi sbaglia, nessuna empatia, nessun perdono".
Arriviamo quindi all'ultimo imputato, finito proprio oggi alla gogna mediatica: Carlos Sainz. Già sul nome, si scatena il caos. Si parla di Carlos Sainz padre, famoso campione di Rally spagnolo attualmente impegnato nella Dakar, ma - trasversalmente - si parla anche di Carlos Sainz figlio.
Sainz Senior possiede la Carlos Sainz Karting, scuola di kart con sede in Spagna. Sui profili social della scuola è stato pubblicato, e poi subito rimosso perché sommerso di critiche, un video con la rappresentazione ironica dei Re Magi in versione piloti sui kart. Uno di questi, come nella tradizione dei Re Magi del 6 gennaio, nel video è stato rappresentato da un ragazzo bianco, truccato in modo da sembrare africano. Una "caricatura" che offende l'etnia e la cultura dei neri, che nel corso del tempo ha iniziato ad essere chiamata "blackface".
Cancellare il video e scusarsi non sembra però bastare al pubblico di internet, assetato di sangue al grido della parola "razzismo" ormai così usata da sembrare a tratti vuota, prima di contesto e di radici. Può tutto essere razzista? Può essere colpa di Sainz e di tutta la sua famiglia se la scuola di Kart di cui è possessore (lui che al momento sta correndo la Dakar) ha pubblicato un video con dei ragazzini truccati da Re Magi?
E' vero, il blackface è da condannare, e sono ancora moltissimi i paesi (Spagna prima della lista) a continuare ad usarlo, ma può questo video gettare fango su una persona rispettata nel mondo del motorsport, e non solo, come Carlos Sainz?
Ma per concludere il cerchio di colpe e di accuse aride, prive di contesto e senza possibilità di appello, arriviamo alle colpe che avrebbe il povero "altro" Carlos Sainz della famiglia. Su Twitter si legge che la Ferrari dovrebbe prendere le distanze dal pilota, addirittura si accusa la scuderia stessa di essere sempre stata abbastanza distante dalle lotte razziali di quest'anno.
Cosa c'entra Carlos figlio con tutto questo? A quanto pare basta essere figli, e portare lo stesso nome, per avere le stesse colpe dei propri padri. Così ha deciso la Sacra Giuria di Twitter, che oggi ha messo in croce una famiglia intera al grido di "razzismo".
Parola che da oggi i Sainz si porteranno ingiustamente sulle spalle per mesi, forse per anni, ma così decontestualizzata e arida da sembrarci ridicola e pericolosa. Perché a furia di gridare al razzismo per qualsiasi cosa, insegna una vecchia favola, nessuno saprà più riconoscere quello vero.