Il Tennis è strano. Dopo la squalifica affibbiata a Jannik Sinner, ci si aspettava che fosse Alexander Zverev a fare incetta di punti e vittorie per conquistare la prima posizione del ranking, spartendosi la missione al massimo con Carlos Alcaraz. Invece Sascha sembra sia rimasto ancora incantato e incredulo per quel nastro che - sul quattro pari e servizio del tie-break del secondo set della finale degli Australian Open - favorì spudoratamente Sinner, affossando ogni possibilità del tedesco di uscire da quella partita con una sconfitta meno netta. Quel net altoatesino irrobustì definitivamente l'inerzia di un match a senso unico, che altrimenti avrebbe potuto raprirsi e consegnare a Zverev qualche motivo in più per sorridere nella successiva conferenza stampa, alla quale si presentò irrimediabilmente abbacchiato. Sono passati due mesi, eppure la testa di Alexander appare ancora incatenata a quell'episodio, come se i suoi pensieri fossero attraversati dall'incipit di "Match Point", thriller psicologico targato Woody Allen: "Chi disse preferisco avere fortuna che talento percepì l'essenza della vita. La gente ha paura di ammettere quanto conti la fortuna nella vita, terrorizza pensare che sia fuori controllo. A volte in una partita la palla colpisce il nastro, e per un attimo può andare oltre, o tornare indietro. Con un po' di fortuna va oltre, e allora si vince. Oppure no, e allora si perde".
Sascha dopo quel giorno ha continuato a perdere. È andato a caccia di punti ipoteticamente facili nei tornei sudamericani snobbati dai big, uscendone disfatto mentalmente e fisicamente: fuori a Buenos Aires per mano di Francisco Cerundolo (che poi sarebbe arrivato in finale), eliminato a Rio de Janeiro dall'altro Francisco argentino - quel Comesana che al terzo set era anche sotto di un break - e infine debilitato nel ritorno sul cemento di Acapulco per un'intossicazione alimentare che in quei giorni colpì anche Tommy Paul, Casper Ruud e Holger Rune. Così Zverev è sbarcato nella Coachella Valley di Indian Wells tentando di resettare, di lasciarsi alle spalle le scorie e le sfortune delle ultime settimane: "È stata una tournée sudamericana difficile per me. Sono stato malato in due delle tre settimane. Volevo giocare sulla terra battuta nei tornei in Sud America, me ne avevano parlato molto bene, quindi volevo provarla almeno una volta. Non ho nemmeno giocato un gran tennis. Dopo aver raggiunto la finale degli Australian Open, forse avrei dovuto giocare sul cemento un po' più a lungo. Andare sulla terra è stato un errore" - ha dichiarato alla vigilia del torneo californiano, assumendosi le responsabilità di una programmazione a dir poco inusuale di cui avevamo approfonditamente parlato qui.

Invece, al pronti via nel mille che sorge come un'oasi paradisiaca nel bel mezzo del deserto delle palme, Alexander Zverev ha perso ancora; 6-4 6-7 6-7 in tre ore e dieci minuti contro il numero 43 del ranking Tallon Griekspoor. È stata in assoluto la sconfitta più brutta e dolorosa degli ultimi due mesi agonistici del tedesco: perché è arrivata al primo turno, perché Sascha nel secondo set - dopo aver rimontato un break di svantaggio - è andato a servire per il match infilando un game di soli doppi falli e gratuiti, perché nel successivo tie-break ha sbagliato un rovescio comodo coi piedi dentro al campo che lo avrebbe portato a match point, perché nel terzo set era riuscito ad annullare cinque match point all'olandese senza metterlo spalle al muro nel tie-break decisivo, dove l'arma migliore del tedesco - la prima di servizio - è deflagrata in mezzo ad una serie di errori non forzati (quaranta nel match) che hanno fatto pendere la partita dalla parte di un Griekspoor che in diverse occasioni ci aveva messo del suo per perderla. A sorprendere, più di qualsiasi percentuale, è stato il linguaggio del corpo di Zverev tra un punto e l'altro: ciondolante, visibilmente spossato dopo scambi lunghi, con accenni di reazione solamente quando si è trovato sotto nel punteggio.
In conferenza stampa gli hanno chiesto se la pressione di dover assaltare il numero uno di Sinner si sia fatta sentire: "All’inizio sì. Ora meno perché sto giocando malissimo. Devo trovare il mio gioco prima di pensare a ciò, perché per diventare numero 1 del mondo bisogna vincere i tornei. Al momento non ho superato il primo o il secondo turno. Quindi devo prima capire cosa fare“. Sascha di ci riproverà tra dieci giorni a Miami, dove sarà chiamato a difendere i punti della semifinale del 2024. In California ne ha persi altri 190, per diventare numero uno dovrà vincere tutti i tornei che sceglierà di giocare da qui al 21 aprile (Miami, Montecarlo e probabilmente Monaco di Baviera). Eppure la questione sembra sia già passata in secondo piano.