Sì, Alexander Zverev esce nei quarti di finale dell'ATP 500 Rio de Janeiro perdendo 6-4 3-6 4-6 dall'argentino Francisco Comesana e tutti parlano di "harakiri", "occasione sprecata", "delusione". In parte, se si va a guardare l'andamento della partita, è vero: Sascha si era guadagnato un break di vantaggio nel terzo set, prima di vedersi scippare cinque game consecutivi dall'avversario. Dall'altro lato, però, l'avversario era di tutto rispetto. Comesana è un onestissimo lavoratore della racchetta che ha messo piede in qualsiasi impianto tennistico del Sud America, terra di conquista in cui negli ultimi dodici mesi Francisco si è accaparrato i punti necessari per garantirsi una solida 86esima posizione nel ranking, giocando Challengers in ogni angolo del continente latino (Punta del Este, Florianopolis, Montevideo, Lima, Guayaquil, Campinas, Santa Cruz), che gli hanno consentito di presentarsi a Wimbledon 2024 nel tabellone principale ed arrivare alle soglie della seconda settimana, quando venne battuto in quattro set da Lorenzo Musetti.
Così, nella notte brasiliana, sotto gli occhi del Cristo Redentore e dei settemila vivacissimi spettatori della Quadra Guga Kuerten, Zverev si è trovato di fronte un atleta che zompettava instacabilmente a destra e a sinistra, che si buttava su ogni pallina entusiasta come un ventiquattrenne che gioca con gli amici a beach volley sulla sabbia di Copacabana. Nel terzo set, sotto di un break, Francico Comesana ha lanciato segnali inequivocabili nell'aria umida e calda di una serata che improvvisamente è girata dalla sua parte: risposta sulla riga ad un servizio di Sascha che viaggiava a 201 km/h per il controbreak, salvataggio alla spero in Dio dopo uno smash a botta sicura di Zverev, che stupito non ha chiuso con la successiva volèe ed è stato trapassato da un lento ma velenosissimo back di rovescio dell'argentino, a quel punto libero di andare a servire per il match con mente e spirito più vicini alle vette del Corcovado che alla terra rossa di Rio.
Una sconfitta che non è necessariamente un harakiri ma che fa comunque molto male a Sascha Zverev, per almeno tre motivi. Il primo: indossava lo stesso completo rosso vinaccia sfoggiato agli Australian Open, ma il livello di gioco mostrato in Sud America è sembrato lontano parente del Tennis che a Melbourne solo Jannik Sinner era stato capace di inibire. Poi c'è la questione dei punti ATP e delle scelte di programmazione che il tedesco ed il suo team hanno deliberato per assaltare la prima posizione nel ranking al momento occupata da quella stessa volpe altoatesina che è stata messa fuori gioco fino a maggio. Mentre la maggior parte dei big sono impegnati negli ATP 500 di Doha e Dubai su cemento, Zverev ha optato per la terra sudamericana, probabilmente alla ricerca di punti facili. È il numero due del mondo, sapeva che gli avversari più insidiosi sarebbero stati impegnati in Medio Oriente, sperava di poter fare man bassa di punti e di vittorie tra Buenos Aires e Rio, giocando per di più sulla sua superficie preferita, quella su cui nel 2024 ha vinto il mille di Roma e disputato la finale del Roland Garros. Una decisione, ipoteticamente, furba.
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Invece in Sud America la tattica di Zverev è rapidamente sfumata, dopo due eliminazioni consecutive ai quarti di finale per mano di altrettanti terraioli argentini, di altrettanti Francisco: prima di Comesana, a Buenos Aires era stato l'ottimo Francisco Cerundolo a sbarazzarsi di Sascha in tre set. Inoltre va considerato che, per un top player come Alexander, la scelta di giocare sulla terra rossa in un periodo dell'anno in cui i tornei più importanti si disputano su cemento outdoor (dopo gli Australian Open, i big scendono in campo solitamente Doha e Dubai, prima di volare a marzo negli States per i mille di Indian Wells e Miami) è decisamente singolare: cambiare superfici in poco tempo significa doversi adattare continuamente a ritmi diversi, un'operazione non facile che irrobustisce l'ipotesi secondo cui Zverev abbia cercato fortuna tra Argentina e Brasile per pure esigenze di ranking (l'anno scorso, nello stesso periodo, la scelta di giocare sul cemento messicano - Acapulco e Los Cabos - era parsa meno in controtendenza).
L'impressione è che Zverev voglia giustamente crearsi la chance di diventare numero uno del mondo senza vincere uno Slam (l'unico a riuscirci, nell'era Open, è stato il cileno Marcelo Rios, ventott'anni fa), ma che in mente gli rimbombino le sue stesse sincere parole, pronunciate nella conferenza stampa post finale degli Australian Open: "Sinner è migliore di me col dritto, col rovescio, a rete e negli spostamenti di gambe". Come se Sascha, dentro di sé, sentisse di non meritare la prima posizione di Jannik. La campagna sudamericana non l'ha certo aiutato a cambiare idea.