Le corse in moto non sono i quarantacinque minuti della domenica. Non sono nemmeno, ad allargare lo sguardo, un weekend di gara. Sono un sottobosco di passioni, talenti e storie che si incontrano tutti assieme quando si spegne il semaforo. A volte sono belle, altre terribili, ogni volta però sono vere perché - nonostante gli sponsor, il denaro e la politica - le corse sono sport. Competizione e fortuna, impegno e sacrificio, possibilità infinite. Ecco, anche per raccontarle ci sono possibilità infinite. Quest’anno la Gazzetta dello Sport ha lanciato MotoG-Podcast con Paolo Ianieri e Zoran Filicic: loro raccontano le corse assieme ad un ospite (che può essere un pilota, ma non necessariamente) per quasi un’ora di chiacchiere. Spesso e volentieri ne vengono fuori lunghi racconti che in un’altra occasione sarebbe impossibile sentire, quasi sempre escono fuori anche delle notizie. È un po’ come andare al bar del paddock, sedersi al bancone e ascoltare il personaggio che ti siede a fianco. MotoG-Podcast è stato, in qualche modo, il podcast dell’anno per gli appassionati di motori, motivo per cui abbiamo contattato Paolo Ianieri per farcelo raccontare. Lui, in partenza per la Dakar, ci ha regalato qualcosa che assomiglia ad una delle puntate: c’è ritmo, più di una notizia e (soprattutto) un po’ della storia di chi sta parlando.
Ciao Paolo, eccoci: ti stai godendo la pausa invernale?
“Diciamo di sì, sto partendo per la Dakar che forse è la gara che mi piace di più”.
Perché?
“Perché secondo me c’è ancora quel senso di avventura, di incognito. Questa sarà la mia ottava: ne ho fatte tre in Africa, tre in Sud America e questa è la seconda in Arabia. Specialmente in quelle africane c’era quel senso di tribù che si sposta da un posto all’altro, un senso di appartenenza un po’ diverso. Per chi ama l’avventura e i viaggi è un po’ magico”.
I giornalisti che l’hanno seguita la raccontano come una cosa a metà tra il militare e gli anni del liceo.
“Eh… Dormivamo spesso sotto gli aerei, mettevi la tenda in queste piste d’atterraggio che spuntavano in mezzo al nulla. Arrivavamo presto la mattina, quindi di solito trovavamo qualche tassista con una Mercedes vecchia di vent’anni e andavamo in giro nei paesi a parlare con la gente. Andavamo anche nelle scuole a portare magliette, penne, caramelle… I bambini ti assalivano cantando, cose meravigliose”.
È ancora un po’ così?
“Secondo me quella araba è tornata un po’ indietro. In Sud America è molto bello il paesaggio, però il bivacco era molto moderno. In Arabia è ancora così, però si è un po’ tornati ad uno spirito più antico, forse anche per la vicinanza all’Africa”.
Quando hai cominciato a scrivere per la Gazzetta dello Sport?
“Nel 1994, sono di Bolzano e seguivo l’Hockey. Seguivo l’ufficio stampa per i mondiali e avevo conosciuto Andrea Buongiovanni, così ho cominciato scrivendo di sport invernali: il biathlon, che adoro, lo sci, lo slittino su pista… Da collaboratore mi mandarono ai mondiali di biathlon nel ’96 in Slovacchia, per seguirli ero partito con la Y10 di mia mamma. A quei tempi la Gazzetta seguiva tantissimo gli sport invernali, ad oggi credo che non riuscirei più ad entrare così. Un giorno chiamo Buongiovanni e mi risponde Pino Allievi, che fece finta di essere il suo segretario. Io però riconobbi la voce ed essendo sempre stato innamorato della Formula 1 e di Villeneuve mi proposi e iniziai a scrivere di auto. Erano gli anni di Schumacher e io, conoscendo il tedesco, riuscivo a dare informazioni più complete leggendo la stampa estera. Un giorno chiesi di andare ad un GP, e dopo qualche insistenza mi mandarono al Gran Premio d’Austria a Zeltweg, nel ’98. Torno e mi mandano a quello dopo, in Germania. Prima di entrare in pianta stabile alla Gazzetta ho anche fatto un colloquio come addetto stampa Ferrari, ma erano gli anni di Jean Todt e non ci siamo mai stati troppo simpatici”.
E le moto?
“Ho cominciato come interno il primo luglio del 2000 e pochi giorni dopo Valentino Rossi ha vinto la sua prima gara in 500 a Donington. La prima gara che ho visto è stata Suzuka 2001, quella del dito medio di Rossi a Biaggi dopo la gomitata. Per tanti anni ho fatto entrambi i campionati, ma quando ho scoperto il mondo della moto ho finito per preferirlo alla Formula 1 anche se quel mondo mi aveva sempre affascinato. In MotoGP puoi avere dei rapporti umani che in Formula 1 sono praticamente impossibili: l’ambiente è più asettico, chiuso, girano molti più soldi".
Il che ci riporta a MotoG-Podcast: rispetto ad altri format date molto spazio alle persone e alle loro storie.
“Si, mi piaceva l’idea di raccontare questo mondo e vedevo che i podcast cominciavano a prendere piede. Da solo però non mi sarebbe piaciuto, perché secondo me non è facile trovare il ritmo ed evitare banalità parlando a distanza… Si rischia di fare sempre la solita cosa. Così ho chiesto a Zoran, che è l’unica persona con cui l’avrei fatto. Con lui mi sono sempre trovato bene: è uno tranquillo, diverso, non si è montato la testa. Ama questo lavoro e ama farlo in maniera molto professionale, ma sempre leggera. È uno che pensa, non dice le cose tanto per dirle ed è molto appassionato”.
E non si fa grossi problemi a dire quello che pensa.
“Si, con lui ho legato da subito. Siamo molto diversi, lui è molto più ponderato. Poi è un appassionato, non si limita alla piccola ricerca. Quando faceva televisione stava anche con i giornalisti della carta stampata per chiedere, capire, imparare. All’inizio quando l’ho chiamato mi ha detto di no, poi ha cambiato idea. Siamo partiti senza pianificare troppo e anche adesso ci parliamo giusto una decina minuti prima della puntata”.
Secondo me funziona perché avete un approccio leggero. Finisce che ospite ed ascoltatori si rilassano un po' alla volta finché non sembra di essere al bar.
“All’inizio mi avevano chiesto una lunghezza massima di 15, 20 minuti. Ho rifiutato subito. A me piace sentire i racconti della gente, in 20 minuti chiedi sempre le solite cose. Invece volevo chiacchierare davvero. La mamma di Valentino ad esempio era nervosissima, ci ho impiegato molto a convincerla… Alla fine è rimasta quasi un’ora a parlare e le è piaciuto molto. Noi vogliamo questo, che la gente si dimentichi di essere davanti a un microfono. E poi lasciamo dire alle persone quello che vogliono”.
Non sono mancate le lamentele…
“La puntata con Lucchinelli ha fatto piuttosto discutere. Perché Marco alla fine non lo tieni. Cosa provi a fare, a bloccarlo? Lui è sempre stato libero nel suo pensiero e se provi a imbrigliarlo reagisce ancora peggio. E comunque non ha fatto nomi o diffamato nessuno. In televisione lo avevano preso proprio per questo, è un personaggio che fa discutere e va spesso controcorrente. Comunque devo dire che è l’unica volta che abbiamo avuto un pochettino di obiezioni”.
Quali sono le tre puntate che faresti sentire a chi non ha mai ascoltato MotoG-Podcast?
“Quella di Pietro Bagnaia, perché ti fa proprio capire il ruolo del genitore nelle corse. Quanti sono i genitori che hanno rovinato la carriera dei figli? Pietro secondo me è davvero bravo. Mi sono piaciute molto anche quelle di Farinelli e Soldano, che hanno raccontato il motomondiale dietro la lente del fotografo. Anche quella a Guareschi è stata bella, ma dico Danilo Petrucci: è un ragazzo molto semplice, umano. E poi Dovizioso, che abbiamo sentito dopo il Qatar”.
Ricordo che aveva parlato anche del giornalismo, attaccando un po’ i titoli che vengono scelti.
“Con lui e Lorenzo non ti dico le battaglie sui titoli. Gli chiedevo un’intervista e lui ‘Si, ma che titolo fai?’. Partono prevenuti!”
A proposito, Jorge Lorenzo?
“Lui è stato un po’ la delusione di quest’anno, perché ci ha dato buca per due volte. Zoran è un po’ fumantino, non si nasconde. Io provo ad essere un po’ più diplomatico, ma lui è andato giù duro e Jorge ci è rimasto male. Però ecco, se sei un professionista a guidare la moto noi proviamo ad esserlo nel raccontare. E da quel punto di vista siamo sullo stesso piano”.
Per il 2022 che idee avete?
“Dobbiamo organizzarci, abbiamo fatto delle puntate con Zoran collegato dal Giappone, io in montagna durante la pausa estiva… Credo che partiremo poco prima del mondiale. Magari nel frattempo ne provo a fare una dedicata alla Dakar. Ci sono storie incredibili da raccontare, come i Winkler, papà e figlio che corrono assieme. Speriamo che Danilo capisca che deve andare più piano, altrimenti rischia moltissimo”.
Tornando al podcast, mi ha colpito la puntata in cui dispensi consigli di lettura a Franco Morbidelli.
“Si, a volte con alcuni piloti si crea un rapporto, non dico che si diventa amici - gli amici sono un’altra cosa - però si crea un bel rapporto, a me è successo ad esempio con Dovizioso, con Petrux, con Franco. È per questo che mi piace il mio lavoro, sono alla Gazzetta da 22 anni e scrivo quasi da trenta… Però il poter raccontare le storie delle persone che sanno trasmettere qualcosa mi regala ancora l’entusiasmo che avevo all’inizio. Altrimenti forse avrei cambiato mestiere”.
Cosa ti aspetti dalla MotoGP 2022?
“Che la Ducati finalmente vinca il mondiale piloti. Hanno dimostrato di avere la moto e i piloti. Mi aspetto che Bagnaia possa lottare per il titolo e portarlo a casa, quest’anno Quartararo l’ha vinto meritatamente ma anche Pecco l’ha un po’ buttato via. La caduta di Misano non sembrava così pesante, invece se guardi i punti in campionato capisci che lo è stata. Secondo me poteva provare a vincerlo”.
Poi?
“Voglio vedere come torna Marc Marquez. C’è l’età - perché gli anni passano - e stare fuori così tanto non aiuta. Se riuscirà a riprendersi andrà fortissimo, ma credo che gli altri abbiano avuto il tempo di imparare e sentirsi forti senza di lui. Farà più fatica, magari vincerà ma senza dominare. E non è così scontato che torni”.
A me non può che ricordare Valentino Rossi nel 2008 e 2009: arrivava ai trent’anni e doveva lottare con gente più veloce.
“C’è anche il fatto che Marquez ha sempre fatto dei botti paurosi in carriera, io ho sempre sostenuto che prima o poi sarebbe successo qualcosa. Adesso cade ancora tanto, però si fa anche male. Siccome non è scemo nella sua testa ci sarà una sorta di segnale d’allarme: credo che questo influenzerà un po’ i suoi risultati, magari senza che ne abbia piena coscienza. Lo dicono tutti: a una certa età cominci a chiudere un pochettino il gas, non perché vuoi farlo ma perché il tuo corpo lo fa d’istinto”.
Per quanto riguarda Ducati, avere otto moto non è un vantaggio di troppo? Penso ad esempio alle ultime due gare, quando potrebbero arrivare i famosi ordini di scuderia.
“Sicuramente è qualcosa che dovrà essere tenuto in considerazione. Del resto se c’è un libero mercato… La Suzuki dice da anni che vuole fare il team satellite e non l’ha mai fatto, mentre l’Aprilia non è riuscita a convincere il Team Gresini. Ducati ha già schierato otto moto in passato, solo che al tempo non erano così competitive. E per una casa così piccola è un grandissimo impegno, poi se ci metti anche la MotoE… La stanno sviluppando bene”
Fabio Quartararo sta mettendo sotto pressione la Yamaha o vuole lasciare?
“Secondo me vuole dare una bella scossa ai giapponesi e ha il coltello dalla parte del manico. Però spero che Morbidelli si lasci l’infortunio alle spalle: adesso nessuno lo sta considerando, invece credo che Franco potrà fare bene ed essere scomodo. La Honda invece dovrà cominciare a pensare seriamente ad un dopo Marquez. Marc è un investimento pesantissimo e in questo momento non sta rendendo come vorrebbero, oltretutto Pol Espargarò non mi sembra assolutamente il pilota adatto. Se fossi la Honda penserei a Quartararo e Mir, ma anche e soprattutto a Jorge Martín. Credo che il prossimo anno il mercato impazzirà abbastanza presto, anche la Suzuki deve stare attenta perché stanno gestendo veramente male il dopo Brivio. Mi dicono che Sahara non comunica abbastanza e la stessa squadra è molto al buio, alcuni tecnici hanno già lasciato perché hanno paura che si sfaldi tutto”.
Cosa manca al podcast? Una puntata con Valentino Rossi?
“Sicuramente, il prossimo anno ci proviamo. Con Valentino sono sempre riuscito a fare cose bellissime ma senza rompergli mai le scatole. Con tutti, ma ancor più con lui, la cosa migliore è non essere invadenti. Se gli proponi qualcosa che a lui piace è il primo a volerla fare, ma se vuoi provare a costringerlo stai ben certo che andrà esattamente al contrario. Vorrei avere Valentino, a Quartararo l’ho già detto… La cosa bella è che anche loro hanno cominciato ad ascoltare il podcast e sarebbe bello che decidessero di farlo perché gli sono piaciute le altre puntate. Ma non invitiamo soltanto piloti e non soltanto personaggi nuovi: vogliamo ripartire con Francesco Guidotti, lui è contento e dovrà raccontarci un po’ come si trova a parlare tedesco. Ah, un’ultima cosa”.
Prego.
“Tanta gente dice che adesso che non c’è più Valentino finirà la MotoGP: non è vero. Le storie belle ci sono sempre state e continueranno a esserci e anzi, forse ne sentiremo anche di più. Poi c’è questa logica dei click, la odio. Click, click, click: sempre le stesse cose, sempre gli stessi nomi e gli stessi piloti, tutto perché altrimenti non fai il click. Io credo che i numeri li puoi anche fare con storie belle, raccontate bene”.
Una bella storia però richiede tempo e impegno.
“Certo, ma il problema è che c’è anche tanta ignoranza sportiva. Non ci sono quei due o tre piloti a correre, aprendo un po’ ad altri venderesti più giornali e faresti più click su internet. Secondo me se trovi storie belle, inedite, è tutto di guadagnato. Col podcast siamo partiti con circa 5.000 ascolti e adesso sono decuplicati, io non sono un esperto ma dicono che è davvero tanta gente. Personalmente non ho mai guardato troppo alle cifre, ma vedere che tanta gente è appassionata, che apprezza la semplicità del progetto, è una grande soddisfazione”.