Una lunga telefonata con Zoran Filicic andrebbe fatta sistematicamente: lui parla della MotoGP, che segue per il podcast della Gazzetta, ma anche di tutto il resto. Storie di sport, a volte di vita. Storie che finiscono inevitabilmente per sovrapporsi, tanto da farti pensare che uno sciatore abbia qualcosa da insegnare anche a chi non ha mai visto la neve. Così abbiamo parlato di corse, ma anche di tutto quello che c’è intorno.
Sei tornato a seguire la MotoGP in un anno irripetibile per centinaia di motivi: che effetto ti ha fatto?
“È vero. Sono tornato a seguire la MotoGP per il podcast (MotoG-Podcast, con Paolo Ianieri, ndr.) ed è stato molto bello. All’inizio ho ascoltato un po’ tutti, poi ho cominciato ad ascoltare le telecronache di MotoGP.com: sono molto bravi e capaci di esaltarsi per qualsiasi pilota faccia una cosa esaltante. So che se lavori per chi organizza l’evento sei più politicamente corretto, io ad esempio ho commentato il basket in inglese per EuroLeague TV ed era così. Però il vantaggio è che sei super partes. Nel caso della MotoGP poi, a commentare sono giornalisti britannici e non avendo in casa Marquez, Rossi né tantomeno grandi aziende, sono più liberi di dire quello che vogliono. Poi sai, i piloti britannici mi sono sempre piaciuti… A cominciare da Barry Sheene, il mio preferito, ma anche Hunt, Stewart…”
Anche le tue telecronache hanno sempre avuto un che di inglese nell’approccio.
“Il tifoso per me in telecronaca non ha senso, è populismo. Non mi riferisco ad un caso specifico ma al trend in generale delle telecronache italiane, d’altronde è quello che si fa per catturare un po’ il pubblico. Io credo - ma è un punto di vista personale - che si debba dare il maggior numero di informazioni rispetto ai fatti e lasciare che sia chi è dall’altra parte a farsi la sua opinione. Puoi esprimere la tua, certo, ma la base deve rimanere oggettiva. Anche perché se hai modo di seguire anche l’ultimo degli atleti è una figata, personalmente ho avuto questa possibilità commentando Moto3 e Moto2: una volta arrivati in MotoGP sapevi già tutto di loro. D’altronde sai, ho sempre creduto che raccontare gli altri avrebbe preparato il pubblico al post Valentino Rossi. Mi ricordo quando Cal Crutchlow vinse in Argentina nel 2018 e in conferenza stampa non c’era nessuno perché erano tutti dietro a Rossi e Marquez”.
Quella volta Cal si arrabbiò moltissimo con la stampa.
“Aveva ragione, era il suo momento. È vero che vai a vedere anche tutto il resto, ma lui quel giorno aveva vinto una gara di MotoGP. In Italia abbiamo avuto prima Agostini e poi Rossi, forse i due più grandi di sempre e averli in casa è stata un’enorme fortuna, ma ci sono tantissime cose belle che fanno anche gli altri ed è giusto parlarne”.
Come hai vissuto il finale della Formula 1 ad Abu Dhabi tra Hamilton e Verstappen?
“Ho visto poca chiarezza da parte della direzione gara. Non sono abbastanza dentro da poter esprimere un’opinione sulle decisioni prese, ma è stato un po’ come è successo più volte in MotoGP, penso ad esempio a Sepang 2015: le decisioni devono essere chiare, limpide e da regolamento. Punto. Credo però - sono rugbista in questo - che l’arbitro sia lì per aiutare il gioco e che con l’arbitro non si debba parlare. Gli arbitri possono sbagliare esattamente come gli atleti e questo va tenuto a mente. Purtroppo capita che un errore vada ad inficiare il risultato finale in maniera pesante. Tutti però sbagliano, dal telecronista al pilota, e allo stesso modo sbaglia chi prende le decisioni. Il problema è che quando capitano queste cose si lascia spazio alla malizia e si cerca di evitarlo per non andare incontro alle polemiche. Un esempio clamoroso è stata la storia del ‘gommino’ di Valentino Rossi: per me è una cagata pazzesca, basta pensare all’organizzazione, ai soldi che girano…Nel motorsport si gioca con la vita dei piloti, pilotando queste situazioni si finirebbe in un loop molto pericoloso”.
Parliamo di Fabio Quartararo: pare che abbia parlato con HRC in Spagna e chiesto 20 milioni di euro a Yamaha per il rinnovo. Cambiare è un’opzione sensata per lui?
“Non so cosa pensi lui, quindi è difficile esprimere un’opinione. Fabio però è un pilota che in questo momento vale. Ha appena vinto il titolo dimostrando un dominio incredibile del mezzo e un’enorme tenuta psicologica, credo che per lui sia il momento per alzare un po’ il tiro. Attenzione poi al gioco dei manager e dei piloti, questo è il momento in cui si gioca al rialzo per capire fino a che punto è possibile spingersi. Lui adesso ha il coltello dalla parte del manico: tu, se fossi Yamaha, lasceresti andare Quartararo?”.
No, cercherei di fare il possibile per tenerlo. Anche perché gli altri tre piloti non sono andati per niente bene.
“Esatto. E l’ultimo campionato l’avevano vinto nel 2015. Sicuramente queste cose Fabio le sa e chi lo gestisce anche. Il suo valore adesso è incommensurabile, se fossi in lui però cercherei comunque di rimanere in Yamaha, soprattutto pensando a chi questo passo l’ha fatto davvero”.
L’ultimo a passare da Yamaha ad Honda, Jorge Lorenzo, l’ha pagata cara.
“Anche perché la Honda oggi va solo con Marc Marquez”.
A proposito, diamo per scontato che la diplopia di Marc Marquez si risolva. La sensazione è che tornerà fortissimo, magari non da favorito ma sicuramente pronto a vincere delle gare. Come la vedi?
“Marc Marquez fa parte di una categoria di piloti che non puoi comparare. Gli infortuni di sicuro lasciano il segno e anche l’età inizia a farlo, oltre al fatto che non allenarsi in moto rende tutto più complicato. Ricordiamoci che quest’anno ha vinto, ma non subito. Però va detto che non è cambiato di mentalità: spinge, rischia, cade… Non gli è venuto il ‘braccino’. Con questi piloti è tutta una questione di testa. Quando Valentino è tornato dalla Ducati lo davano per finito, invece ha dimostrato di averne ancora per anni. Per quanto riguarda Marc dipende da come starà fisicamente, da come lavorerà. Dopo l’infortunio in Moto2 (che gli causò per la prima volta la diplopia, ndr.) è tornato fortissimo quando sembrava non dovesse più correre. A Herman Maier, nello sci, dovevano amputare una gamba e invece è tornato a vincere una medaglia olimpica. Con questi atleti non puoi fare previsioni, io credo Marc Marquez resti Marc Marquez. Non credo tornerà per dominare, anche perché l’età avanza, però anche io sono convinto che sarà lì per vincere delle gare”.
Marc il prossimo anno avrà 29 anni, come Valentino quando ha vinto gli ultimi titoli: non era il più veloce ma aveva esperienza, malizia… quella roba lì.
“L’esperienza è una bestia molto particolare. All’inizio ti dicono sempre che non hai esperienza ma è una cosa che riesci a capire solo nel momento in cui questa esperienza l’hai già acquisita. Così elimini errori, capisci le situazioni, a volte le anticipi. Riesci a trarre vantaggio dai tuoi svantaggi, ad adeguarti… Tutte cose che da giovane puoi ignorare, anche perché da giovane hai il fisico che ti aiuta. Rossi, rispetto a Marquez, ha anche avuto la fortuna di subire pochi infortuni”.
Tu hai commentato il titolo di Pecco Bagnaia nel 2018: cosa aveva, rispetto agli altri, da far capire che sarebbe andato fortissimo?
“Mi è sempre piaciuta la sua centralità: idee chiare, obiettivi anche. Pecco ha sempre avuto ben chiaro il proprio valore e non è sempre stato facile. Ha iniziato a brillare sul serio in Mahindra, vincendo quelle gare in Moto3. Poi mi ricordo di Valencia, quando vinse la scommessa con Gino Borsoi (Bagnaia vinse due gare con la Mahindra in Moto3 nel 2016 e Borsoi gli concesse un test sulla MotoGP a fine stagione, ndr.) ha usato la moto di Laverty con il setting delle FP2 ed è andato subito più veloce di lui. Maggior velocità di punta e miglior giro alla prima prova in MotoGP. Ricordo come me lo aveva raccontato: apri il gas e ti devi aggrappare ai semimanubri, stacchi e ti scivolano i piedi dalle pedane… ma era esaltato e glielo leggevi negli occhi, voleva una Ducati. Lì per me è stata la conferma che si trattava di un signor pilota, uno con le idee chiare. Quando è arrivato in Moto2 è andato subito bene ma non era facile, aveva ragione Locatelli: quelle moto erano come un guanto e ti ci dovevi adattare tu, una bella scuola per i piloti. Poi in Pramac è approdato in un posto meraviglioso e quest’anno è cresciuto moltissimo. Ha anche la miglior moto, ma devi saperla usare, anche perché si è trovato davanti un Quartararo eccezionale. E poi Bagnaia ha il discorso dei genitori…”
Ovvero?
“Io l’ho detto spesso ma è opinione comune: un genitore per un atleta può essere il miglior alleato ma anche il più grande nemico. Penso alla mia storia personale, a mio padre che faceva il pallanuotista a livelli altissimi: erano altri tempi ma vinceva i campionati. Ero giovane e non andavo d’accordo con l’allenatore, quando l’ho detto a mio padre però, lui mi ha fermato subito: ’io sono tuo padre, lui è il tuo coach, devi ascoltare lui. Non ci vai d’accordo? Hai preso un impegno, dai il massimo fino a fine anno, impara tutto quello che puoi e solo dopo cambiamo squadra’. Questa è la mia storia, ma penso sia estremamente formativa. A me è capitato nelle giovanili, lo stesso discorso però vale per le società. Nel momento in cui una società fa una scelta la deve difendere fino in fondo”.
Nel podcast parli di ‘parte all’ombra della collina’ per descrivere quelle situazioni di difficoltà. C’è qualcuno che secondo te ne è uscito proprio al buio?
“Rispetto alle aspettative mi viene da dire KTM, credevo che l’avremmo vista molto più in crescita. Come pilota Pol Espargarò. Chi ascolta il podcast ormai lo sa, essere in zona d’allarme è sempre relativo. Ho letto una sfilza di pagelle in cui Mir veniva dato per insufficiente ed è vero, ci si aspettava di più. Mir però ha chiuso terzo in campionato, ha vinto il mondiale l’anno scorso, Brivio è andato via, gli altri sono cresciuti… Continuo a stupirmi di come le persone siano portate a vedere un terzo posto come a un fallimento. Per molti arrivare alla MotoGP è un traguardo e spesso la gente non se ne rende conto. Mi viene in mente Eddie Mercks che viene paparazzato, nel ’69, a letto in lacrime quando scoprono che è positivo al doping. Quelle parole me le ricordo ancora adesso che di anni ne ho 53: Quando vinci sono tutti con te, ma quando hai toccato il fondo vale più un abbraccio di un amico del clamore della folla. Perché il momento della vittoria passa per tutti. Ed è anche per questo che Quartararo fa bene a sfruttarlo adesso”.
Ti chiedo tre nomi: una conferma, una delusione e una sorpresa.
“La conferma è la Ducati. Stanno lavorando da anni in una maniera incredibile. Ci metto un po’ di cuore, ma lo ammetto e lo dichiaro! La sorpresa Bastianini, è stato eccezionale. Poi per carità, servirebbero più nomi. Le conferme Quartararo e Bagnaia, le sorprese Bastianini e Martín, dovendo scegliere però dico quei nomi. La delusione invece è Maverick Vinales, lo dico a malincuore. Aveva la possibilità di entrare nella leggenda con la Suzuki, magari vincendo solo un titolo - cosa che poi ha fatto Mir - oppure andare in una delle case più prestigiose al mondo e lì trovarsi condannato a vincere. Poi sono quelle persone che magari trovando il proprio ambito tornano a brillare, la ricerca è fondamentale. Mi ricordo di Marcel Hirscher quando è tornato a vincere dopo il primo grande infortunio della sua carriera. Lo stavo intervistando, gli si sono riempiti gli occhi di lacrime. Mi ha detto che pensava che avrebbe smesso di vincere per sempre e che non sapeva se sarebbe mai arrivato un podio, invece è arrivata la vittoria dopo il periodo più duro della sua carriera. Perché voi vi dimenticate, mi ha detto, che noi siamo umani. Anche loro si incazzano, hanno dubbi e difficoltà. Capita a tutti, per loro però sono occasioni che sfumano in una carriera che dura sempre troppo poco. Ed è un peccato quando succede”.