Malta non può essere certo considerata la svolta. Lo ha detto anche una leggenda che non parla quasi mai a caso come Dino Zoff. Anzi, la spedizione a La Valletta della nazionale italiana, che vince e non convince affatto, è l’ennesima elemento che forma la prova. L’Italia si trova in un limbo. In una strada di mezzo tra i primi anni dell’era di Roberto Mancini che hanno portato l'insperato successo a Euro 2020 e la successiva discesa, che è costata il pass per i Mondiali qatarioti. In sostanza, si è persa la traccia, la scia del gioco, ma anche della coesione, della condivisione di un’idea che Mancini aveva saputo proporre. La qualità, la rete di passaggi, la capacità di pressare alti. La convinzione di essere forti. Un collettivo che andava oltre le qualità dei singoli. Tutto questo pare disperso in questa ormai lunga fase di stallo, che dura da un anno, dalla mancata qualificazione alla Coppa del Mondo per mano della Macedonia del Nord. L’accesso alla Final Four della Nations League, in programma a giugno (Italia contro la Spagna) non è ovviamente la panacea dei mali azzurri. Che sono ripartiti con tre punti da Malta dopo la sconfitta con l'Inghilterra a Napoli: c'è pure tempo per ripartire perché la strada per Euro 2024 non è così complicata: si qualificano le prime due del girone, l’Inghilterra è ora favorita, ma Ucraina, Macedonia non dovrebbero costituire un problema insormontabile. I campioni mancano. Ma mancavano anche prima, anche tre anni fa: i punti di forza dell’Italia, Verratti, Chiesa, Jorginho, sono stati, magari torneranno a essere, grandi calciatori. Non ci sono fuoriclasse dall’addio della generazione dei Cannavaro, Pirlo, Buffon, Totti. Il ricambio, come si è spesso detto, raccontato (a ragione) non c’è stato, i settori giovanili italiani, per carenza di strutture e per una visione che manca, producono pochi italiani di spessore. Il resto lo fa il destino, che in passato ha spedito nell'orbita azzurra una serie di fenomeni, anche se i club non puntavano (infatti non accade da anni) sulla formazione dei talenti italiani.
L’unico elemento con una dimensione da potenziale fuoriclasse resta Donnarumma, che pure si perde in errori e che risente della sua esperienza controversa al Paris Saint Germain. Si sente in giro che Roberto Mancini sarebbe avvolto dalla crisi azzurra. Il ct a corto di idee che allunga il giro dei convocati, cambia spesso modulo, va alla ricerca di attaccanti, scova Retegui - nato, cresciuto, formato in Argentina, con sangue siciliano nelle vene - che lo ricambia con due gol in altrettante gare, lascia a casa alcuni elementi che potrebbero tornare utili. Ma davvero sta sbagliando il ct? O si esagera? Un’ipotesi è puntare il dito al centro della questione. Forse Mancini sbaglia perché si sta affidando - non a Malta, dove ha cambiato otto elementi rispetto ai titolari schierati contro l’Inghilterra - eccessivamente alla vecchia guardia, che gli ha regalato certezze, ora svanite. L’assetto con il doppio playmaker - Verratti e Jorginho - come sottolineato da Luigi Garlando su La Gazzetta dello Sport - è un azzardo, fisico e tecnico, che l’Italia non può più permettersi. Ne risente il ritmo degli azzurri, che subiscono la fisicità degli avversari, come gli inglesi, che in mezzo hanno mostrato muscoli, gambe e intensità. Servirebbe aggiungere freschezza, senza perdere eccessivamente in qualità: percorso non agevole, se non si dispone di materiale di prima qualità. Mentre appare difficile addebitare a Mancini grosse responsabilità sulle convocazioni: certo, potrebbe chiamare Zaccagni, esterno di qualità e passo che alla Lazio con Sarri ha trovato un ruolo e una continuità. Ma a casa, per intenderci, non ci sono campioni a cui il ct ha deliberatamente rinunciato: la qualità è quella che è, punte di qualità (in attesa del ritorno di Ciro Immobile, 33 anni e un rapporto da sempre problematico con il gol in azzurro) non si vedono, anche se Balotelli pensa il contrario e Petagna si sente in diritto di criticare Mancini che non gli concede una chance. Andrà meglio con il rientro di Raspadori, infortunato, Scamacca si è perso, Belotti è lontano da una forma da nazionale. Sulla questione oriundi, poi, alle critiche si aggiunge una buona dose di ipocrisia: nello sport sono ovunque, dal rugby (nella nazionale irlandese gioca un maori), nel basket, in generale negli sport di squadra. Retegui quindi è solo il primo della lista e d’altronde Mancini è stato chiaro: per alzare il livello si guarda agli oriundi e anche alla Serie B. Finché i club italiani non torneranno a puntare, credere, sui giovani italiani. Il Monza ha scelto questa strada, ci sta provando Sarri alla Lazio. Poi, il nulla o quasi.