Per gli appassionati di Formula 1 Paolo Ciccarone non è un giornalista, è un'istituzione. Inviato in pista da 32 anni, voce e penna di un mondo che in tre decadi si è trasformato, cambiando protagonisti e mentalità, priorità e interessi.
Da quando fare gli inviati significava "mettersi in una curva e fare il contagiri a mano" al mondo di oggi "più semplice ma più filtrato". Lo abbiamo chiamato per farci raccontare l'evoluzione nel mondo della comunicazione in Formula 1 tra ricordi incredibili, aneddoti senza tempo e uno sguardo rivolto verso il futuro.
Il 2022 di Antonio Giovinazzi, il cambiamento di Sebastian Vettel, il rapporto con Michael Schumacher e quella scazzottata a Silverstone 94 che fece notizia: un mondo intero, quello della Formula 1, raccontato da chi l'ha vissuto davvero.
Com’è cambiato il lavoro da inviato di Formula 1 in questi anni?
È cambiato completamente. Fino a fine anni 80 e inizio anni 90 noi giornalisti della vecchia scuola andavamo in pista e la gara ce la vedevamo da una curva, facendo il contagiri a mano. Si partiva dalle gare minori per fare la gavetta: ti mettevi in un punto con l’orologio e il cronometro, segnavi i distacchi così da avere un quadro di quanto successo. Nei primi anni 90 poi in sala stampa hanno inserito degli schermi con il servizio cronometraggio così da avere un’idea più precisa di tutto ciò che succedeva in gara.
Per agevolare la cronaca?
Prima i giornalisti assistevano solo a una parte del Gran Premio, a ciò che riuscivano a vedere dalla postazione in cui si erano messi, e quindi poteva succedere di perdersi un evento fondamentale della gara. In televisione vedevano tutto e tu che eri sul posto non vedevi niente, con il rischio di farsi chiamare dalle redazione dei giornali perché non avevi parlato di un fatto fondamentale che non potevi aver visto. In quel periodo quindi la televisione ha iniziato a fare da filtro su quello che dovevano raccontare i giornalisti: servivano commenti, notizie.
E come facevate?
Quando i piloti finivano di correre non facevano conferenze e tu dovevi correre fuori dalla sala stampa per cercare di strappargli una frase prima che andassero via. Spesso tiravi fuori cose a caldo abbastanza sostanziose perché se erano incazzati poteva scappargli una parola di troppo.
Hai un ricordo in particolare?
Nel 94 a Silverstone si era ritirato Gerhard Berger ed eravamo tutti fuori dal box per parlare con lui. Ferrari lo aveva blindato ma Berger ci chiamò per entrare solo che all’ingresso del box c’era un buttafuori che... mi ha steso. Mi ha proprio tirato due cartoni e mi ha buttato a terra. Un evento che il giorno dopo figurava in prima pagina più del ritiro di Berger o della vittoria di Hill.
Sei anche apparso nel documentario Schumacher accanto a Michael dopo l’incidente con Villeneuve a Jerez nel 97. Come andò quel giorno?
Jerez 97 è stato un po’ il culmine di quel periodo e di quel modo di fare comunicazione. Schumacher dopo l'incidente doveva tornare al box e ovviamente tutti i giornalisti lo stavano aspettando. Io avevo già esperienza e sapevo dove mettermi per aspettarlo, sapendo che sarebbe dovuto per forza uscire da quel punto, così mi sono ritrovato proprio accanto a lui, davanti a tutti gli altri. Ho cercato di strappargli qualcosa ma lui niente, mi guardava come a voler dire “non farmi parlare, non farmi parlare”.
E oggi la comunicazione in Formula 1 com’è?
Adesso è tutto diverso. Quando finiscono di correre stanno nel motorhome e poi devono presentarsi a un ring dove fanno tutte le interviste: prima le televisioni e poi i giornalisti della stampa. È proprio un obbligo che hanno da parte della Federazione ma comunque non c’è libertà e riuscire a strappare qualcosa di interessante non è facile: si è in gruppo, con tempi stringenti e ci sono gli addetti stampa che regolano gli interventi.
Quindi anche il rapporto con i piloti è cambiato...
Se all’epoca con Schumacher ti fermavi in un angolo per scambiare quattro chiacchiere adesso fai fatica a salutare piloti che magari conosci da dieci anni. Se io saluto Hamilton nel paddock lui con un occhio guarda l’ufficio stampa per sapere se ti può dire ciao.
Schumacher che tipo era con i giornalisti?
Con lui all’inizio io ho avuto un rapporto un po’ conflittuale ma poi ci siamo parlati chiaramente e da lì non abbiamo più avuto problemi. Quando è arrivato in Ferrari il suo ingresso non è stato facile: avevano mandato via Jean Alesi che era il più amato e nessuno tra i tifosi sembrava volere Schumacher in rosso. Lui era arrabbiato perché diceva che noi giornalisti gli scrivevamo contro e allora quando mi chiese il motivo io gli spiegai che il problema spesso veniva dalla gestione dell’ufficio stampa Ferrari, con cui in passato io e altri giornalisti avevamo avuto problemi. Lui lì mi ha detto: “Ho capito, tu vuoi fottermi e allora prima ti fotto io”. E una volta che ha capito il meccanismo e dove stava il problema ha detto che se ne sarebbe occupato, per far cambiare le cose, e da lì in effetti la situazione non è più stata la stessa.
Una delle lamentele degli appassionati della vecchia scuola è che oggi in Formula 1 non ci siano più le personalità di un tempo. Può essere colpa del modo in cui si fa comunicazione?
Secondo me le personalità ci sono. Max Verstappen ha una grandissima personalità, vanno solo scavate. Fernando Alonso, Daniel Ricciardo, Lando Norris… Ho fatto un'inchiesta recentemente sul merchandising ed è venuto fuori che Norris, dopo Hamilton e Verstappen, è il pilota che vende più merchandising nel mondo. Ovviamente però adesso i ruoli all’interno del paddock sono cambiati: prima il giornalista era il mezzo cui il pilota parlava al suo pubblico. Oggi se Hamilton deve dire una cosa ha tra le mani una piattaforma da milioni e milioni di utenti e può farlo in modo autonomo, il filtro del giornalista non gli serve più.
Questo weekend si corre a Sochi e c'è lo spauracchio del maltempo. Si rischia una Spa bis?
Dal Gran Premio del Belgio c’è questo terrore della pioggia ma la situazione a Sochi è completamente diversa: a Spa c’era un problema di drenaggio, di scarichi… mentre Sochi è una pista tutta piatta quindi il problema non si pone. Sono proprio due situazioni diverse.
In questa stagione la comunicazione intorno alla figura di Sebastian Vettel è cambiata completamente. Lo scorso anno veniva descritto come un pilota finito, pronto per il ritiro, mentre dopo il passaggio in Aston Martin è diventato molto popolare e sempre più amato. Cos'è successo?
Lui è sempre stato lo stesso, il problema è che la comunicazione Ferrari è diversa da quella Aston Martin. Quindi quello che in Ferrari poteva sembrare un difetto ora è stato raccontato sotto forma di pregio. Vettel è un caso “unico” nella Formula 1 di oggi, un vero appassionato di motori e meccanica, uno che si mette a smontare la Vespa a casa con suo padre per il piacere di farlo. Non è che le prestazioni con Aston Martin siano cambiate radicalmente perché ogni tanto l’errore o il testa coda ancora li fa, però la percezione del pilota è cambiata perché in Aston Martin hanno trovato il modo di comunicare.
Andiamo verso il 2022: l'unico a non conoscere il suo futuro è Antonio Giovinazzi. Quali sono le sue prospettive?
Giovinazzi è appeso a un filo. L’Alfa Romeo conferma la presenza in Formula 1 ma da contratto devono essere tra i primi cinque e in questo momento in Sauber tra i primi cinque non ci arrivano neanche se camminano sulle acque quindi Alfa Romeo ha una clausola di uscita. Vasseur deve portare avanti la baracca e prendere un pilota cinese può essere un doppio investimento per il futuro: da una parte verso il mercato cinese e dall’altra verso Alpine, magari per una fornitura di motori, visto che Guanyu Zhou fa parte della Renault Sport Academy.