Charles Leclerc trionfa a Monza, davanti a una folla infinita di tifosi italiani, nel suo primo anno in Ferrari. Lo fa di cuore, di prepotenza e di sofferenza. Lo fa mettendoci dentro ogni dolore non sanato della sua vita travagliata. La morte del padre, suo primo sostenitore, quella di Anthoine Hubert, avvenuta poche settimane prima, e quella del padrino e amico di sempre Jules Bianchi.
Ci mette dentro quel giorno davanti ai cancelli della Ferrari, a Maranello: Jules che può entrare, già pilota della Ferrari Driver Academy, e Charles, più giovane e inesperto, che se ne deve stare fuori. Ad aspettare, a pensare a un futuro che non sa se si realizzerà mai. Vince a Monza portando sul gradino più alto del podio un dolore che lì, solo lì, diventa gioia.
L'anno dopo tocca a Pierre Gasly trasformare quella sofferenza in redenzione. Vince a Monza nell'incredulità generale che è, più di tutti, la sua: lo fa con Alpha Tauri, dopo la retrocessione del 2019 da Red Bull, dove tutti - lui compreso - pensavano avrebbe avuto la sua grande occasione. E invece no. Mangiato vivo dal compagno Max Verstappen e risputato nella scuderia satellite la carriera del francese, per cui aveva lavorato una vita intera, sembrava essere andata in frantumi nel giro di qualche mese. Poi una gara assurda, una fortuna che Gasly ha saputo trasformare in occasione, e un ultimo giro - braccato da Carlos Sainz - che sembrava non finire più.
Seduto sul gradino più alto del podio di Monza Pierre guarda il trofeo, le sue scarpe, i coriandoli tricolore. Si guarda dentro, in quella sofferenza, e ride davanti alla Monza deserta del 2020.
Oggi, a un anno di distanza, è il turno di Daniel Ricciardo. Che ride, che sorride più che mai, che dice "non me n'ero mai andato" sfidando quelli che, dopo l'inizio di stagione difficilissimo in McLaren, lo davano per spacciato. Ma non è così: Daniel se n'era andato. Doppiato a Montecarlo, la sua adorata Montecarlo, dal suo compagno di squadra, disperato dopo weekend sottotono e delusioni continue, incredulo davanti ai risultati del più giovane Lando Norris. Se n'era andato quando, dopo l'ennesima batosta, alzando le spalle ha detto: "Forse sto solo invecchiando!". Ma ha saputo tornare indietro. Ci ha ridato la staccata che, ormai parecchie stagioni fa, lo aveva fatto diventare famoso. Ci ha ridato l'allegria, la competizione, la grinta di un australiano che dalla sua carriera avrebbe potuto ottenere molto di più.
E allora sul gradino più alto del podio di Monza anche quest'anno vince il dolore. Quello del pilota più felice e amato di tutto il paddock, che mentre gioca e ride e grida e beve dalla sua scarpa sudata trova anche il tempo per sedersi lì, nel posto dei vincitori. A pensare alle difficoltà di quella che sembrava essere l'ennesima scelta sbagliata della sua carriera. A chi lo dava per spacciato, vecchio e finito. E al dolore che a Monza, ancora una volta, cambia forma, restituendo ciò che aveva portato via.