Drive to Survive è una bella serie, non c'è niente da dire. Ha i tempi giusti, non annoia mai, accentua il dramma, il confronto, i conflitti tra piloti, squadre, team principal. Non fa niente di diverso rispetto a chi, già prima di Netflix, si è sempre occupato di comunicazione sportiva.
Nell'enfasi di un racconto c'è il segreto della tifoseria, di ciò che muove la passione per una competizione e, nel caso del motorsport, la chiave per raccontare storie che vadano al di là di cavalli e aerodinamica. "Non ci innamora dei motori e basta" ha scritto tempo fa il giornalista Giorgio Terruzzi, e proprio a questo servono i racconti di chi, uno sport, sa romanzarlo senza lasciarne tra le righe l'essenza.
Drive to Survive, la serie Netflix arrivata alla quarta stagione a una settimana dall'inizio del nuovo mondiale di Formula 1, prova proprio a fare questo: avvicinare a un universo forse spesso troppo complesso e macchinoso, una schiera di giovani tifosi che nel motorsport cercano pathos, divertimento, magari anche una punta di dramma. E ci è riuscita. Da quando DTS è sbarcata su Netflix la Formula 1 sembra essere entrata in un periodo di Rinascimento fatto di social, giovanissimi fans, nuovi interessi oltreoceano e tanto, tantissimo spettacolo.
I piloti sono belli, socialmente impegnati, aggressivi quanto basta e molto attivi online. Il dramma e una strappa storia lacrime (come la chiamerebbe Maccio Capatonda) non manca mai - basta guardare come hanno trattato la morte di Anthoine Hubert nel 2019 o il ricordo di Jules Bianchi legato alla narrativa su Charles Leclerc - e il mix per un successo fuori scala è assicurato.
Il problema però arrivando quando le storie prendono il posto della realtà, e si finisce con il giocare un po' troppo con la fantasia. Quando tutto diventata esagerato, allora la competizione perde sapore. La battaglia è bella se si conclude con un incidente, la rivalità se scade nell'insulto a favore di telecamera, la stagione se è più show che sport.
Lo ha detto Max Verstappen, che non avrebbe preso parte a questa nuova stagione della serie, perché ok lo spettacolo ma non rovinate lo sport con la spettacolarizzazione. Lo ha detto anche Toto Wolff, che Drive to Survive non assomiglia a ciò che succede davvero nel paddock. Che ha il brivido, certo, ma che addosso non rimane incastrato nulla della realtà: "Ho visto i primi due episodi, e lo odio – ha detto infatti Wolff in un'intervista rilasciata all'Irish Independent – non ho mai voluto avere la telecamera in faccia. In ogni caso, ti rendi conto improvvisamente che è diventato di enorme successo in tutto il mondo, generando un nuovo pubblico, peraltro giovane. Viene creato uno spin alla narrazione, dove vengono messe insieme scene che non sono accadute. Da insider si direbbe dunque che la realtà viene rappresentata in modo diverso rispetto a quella autentica".
E questo tentativo di rendere tutto accattivante, tutto romanzato ed eccitante, finisce con il dare a tutto lo stesso sapore. Un sapore piccante, eccitante, ma anche un anestetico contro il resto. Contro quello che la Formula 1 è, fuori dal suo essere spettacolo, dramma, intrattenimento nudo e crudo. Per quanto però proveranno a renderlo un prodotto adatto alla televisione, all'hype continuo di un mondo che oggi funziona così, questo sport avrà sempre qualcosa che Drive to Survive non riuscirà a replicare: l'adrenalina.
L'attesa crescente del weekend di gara, l'imprevisto al via, il cambio di strategia improvviso, il duello vero, lunghissimo, impossibile da riassumere, la storia di chi si incrocia, si scontra, si conosce da anni e non si adatta agli spazi avversari. L'adrenalina di un momento che non è mai solo un momento. Questo Drive to Survive non lo avrà mai.