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Scott Redding a gamba tesa su SBK, MotoGP, gioventù bruciate e pure su Andrea Dovizioso

  • di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

30 settembre 2021

Scott Redding a gamba tesa su SBK, MotoGP, gioventù bruciate e pure su Andrea Dovizioso
Ho provato tanto a tornare in MotoGP, ma mi hanno sempre detto che ero vecchio. Poi, però, richiamano Andrea Dovizioso” Il pilota della Ducati (ancora per poco) spara a zero sul motorsport, sull’incapacità di valorizzare i talenti, sul futuro che non promette nulla di buono e non risparmia neanche quelli di Borgo Panigale

di Emanuele Pieroni Emanuele Pieroni

Che è uno che dice quello che pensa lo sapevamo, così sapevamo pure che non sempre la pensa in maniera giusta. Scott Redding parla poco, ma quando lo fa è per lanciare bordate pesanti. Questa volta ha scelto le pagine web di motosan.es per illustrare “la versione di Scott” e ce ne sono state per tutti. A cominciare dal grande rammarico della MotoGP, visto che quando ha avuto la sua occasione le cose non sono andate come avrebbe voluto: “Ho provato a tornare indietro. Ho premuto un paio di volte per tornare indietro, ma mi dicono sempre che sono troppo vecchio. E poi vedo tornare persone come Dovizioso. Ho 28 anni.  Quando ero in MotoGP non ero al meglio. Ora ho scoperto che negli ultimi tre anni qualcosa è scattato e sto diventando un pilota migliore e una persona migliore. Ero solo nel posto sbagliato al momento sbagliato. Certo, mi sarebbe piaciuto tornare in MotoGP, ma ho sempre ricevuto una risposta: troppo vecchio, bla bla bla”.

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Non ha vinto quanto Andrea Dovizioso, non ha l’esperienza dell’italiano, eppure, evidentemente, sente di poter essere ugualmente competitivo, anche se ormai il capitolo MotoGP sembra definitivamente chiuso: “Alla fine sto bene in Superbike – ha detto – la gente mi vuole bene perché sono un personaggio. Solo che sarebbe stato bello tornare in MotoGP una volta per mostrare il mio vero potenziale su una buona moto. Ma si può sempre avere una seconda possibilità nella vita. La SBK è dove sono ora ma vorrei che arrivassero risultati migliori”.

Risultati che negli anni in Ducati sono arrivati solo in parte, con Redding che, pur riconoscendo di avere qualche responsabilità, non risparmia quelli di Borgo Panigale: “C’è una buona moto, si lavora bene – ha spiegato – ma è come se gli altri riescono ad ottenere di più. La crescita più evidente, ad esempio, è stata quella della Yamaha con Toprak che quest’anno ha potuto lottare per il titolo e si trova in testa al mondiale. Noi abbiamo fatto un piccolo passo e loro hanno fatto un passo decisamente più grande”. Ecco perché ha deciso di lasciare la Ducati e provare a diventare un punto di riferimento, oltre che il primo pilota, in casa BMW: “Onestamente Ducati è stata una grande squadra, ma a volte è necessario cambiare – ha spiegato il britannico - Va tutto bene. Solo che non eravamo d'accordo su alcune cose e devo guardare a cosa è meglio per me nel campionato Superbike. E la sensazione era quella di fare un cambiamento e vedere. Quindi non è come molte volte in cui il pilota non si sente bene nella squadra. Ci sentivamo bene, ma non riuscivamo a collegare le ultime cose”.

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Non sembra esserci politica nelle sue parole e nemmeno diplomazia, solo la volontà di provare a cambiare aria per non rischiare di finire bruciato. Gli è successo in MotoGP e non vuole che si ripeta ancora, tra l’altro in un motorsport che è cambiato radicalmente negli ultimi anni e che non risparmia più nemmeno i giovanissimi, soprattutto in MotoGP: “Trovo abbastanza folle mettere ragazzi così giovani nella classe regina – ha sentenziato Redding -  Adesso questi ragazzi fanno un anno di Moto3, forse due, e vanno dritti in MotoGP. Se non fai bene in due anni sei fuori e il prossimo sta arrivando. E onestamente penso che i piloti più giovani stiano guidando per molti meno soldi del loro valore. Però adesso è così che funziona: fuori i più grandi e dentro i nuovi giovani. Non penso che sia davvero buono per il campionato, è buono per le singole gare e forse anche per lo spettacolo a breve termine, ma poi bisogna prendere atto che così facendo non nascono più leggende. Le leggende vere ora sono andate, altre stanno per andare e dopo di loro non ce ne sono altre. Ma da un altro punto di vista è vero anche che adesso c’è un maggiore avvicendamento tra quelli che vincono e quindi c’è maggiore spettacolo nelle singole gare”.

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