"Siamo qui per una sola ragione: lo sport. A Niki Lauda e Alain Prost interessava solo guidare. Ora Sebastian Vettel guida una bicicletta arcobaleno, Lewis Hamilton è appassionato di diritti umani e Lando Norris si occupa di salute mentale. Tutti hanno il diritto di avere le loro opinioni, certo. Ma dobbiamo decidere se sia corretto imporre i nostri pensieri in qualcosa legato allo sport". Così il nuovo presidente FIA Mohammed Ben Sulayem ha commentato l'attivismo di alcuni piloti della griglia di Formula 1 nell'ambito dei diritti umani, delle lotte sociali o personali.
Così come chi davanti alla televisione sfotte "la bicicletta arcobaleno" di un quattro volte campione del mondo che usa la propria visibilità, il successo e un pubblico mondiale per parlare di temi importanti anche, e soprattutto, in angoli del mondo che accettano il motorsport, lo show e il divertimento, ma non fanno lo stesso con i diritti delle comunità LGBTQ+. Così come chi riduce a meno di zero il percorso di Lando Norris che da anni cerca di sensibilizzare giovani e giovanissimi al tema della salute mentale, aprendosi a un dialogo su una questione delicata ed estremamente personale come quella dei problemi di ansia e depressione che lo hanno colpito nei primi anni in Formula 1.
Così, come se a parlare fosse un qualsiasi tifoso della domenica, il presidente della Federazione Internazionale dell'Automobile. La carica più alta legata al mondo della Formula 1 (che ricordiamolo, corre sotto lo stemma dei diritti di uguaglianza We Race as one) che si autodefinisce "radicale" nel tentativo di dividere politica e sport. E facendolo aggiunge il tipico "si stava meglio quando si stava peggio" paragonando i piloti di oggi a Lauda e Prost che "pensavano solo a correre".
Non cita ovviamente piloti come Ayrton Senna o Michael Schumacher. Dimenticanza? Chissà. Nel frattempo noi qui non dimentichiamo le importanti lotte sociali portate avanti da due leggende della Formula 1: contro la povertà in paesi distrutti come il Brasile, nel caso di Senna, contro l'uso di alcool alla guida, nel caso di Michael. Schumacher che inoltre, per anni, ha visitato Sarajevo per dare un volto alla guerra e a quei bambini vittime senza colpe di un conflitto terribile. Ma dimentichiamoci di loro per favore, e pensiamo a chi "corre e basta".
Invece di esaltare il coraggio e la determinazione di piloti che accettano critiche e insulti pur di condividere messaggi importanti e veicolarli nel mondo grazie a fama e notorietà, Mohammed Ben Sulayem chiede a gran voce che in Formula 1 si corra e basta. Solo sport negli autodromi, e chissenefrega se fuori da Jeddah, in Arabia Saudita, cadono razzi così vicini da sentire odore di bruciato in pista. Chissenefrega se in Ungheria una maglietta arcobaleno nel paddock basta a far paragoni con la Germania nazista. Chissenefrega se questi gesti sono proprio ciò che la Formula 1 ha chiesto a gran voce con il lancio del progetto We race as one.
Era meglio quando Lauda e Prost pensavano solo a guidare, ha detto il presidente FIA. Macchine dentro macchine, pagati per correre come criceti su una ruota e che, usciti dalle monoposto, possono fare qualche battuta, quello sì, così aumentiamo lo share e facciamo parlare i giornali. Possono anche litigare tra di loro, mandare a quel paese il muretto, regalarci un po' di gossip. Ma le questioni importanti quelle no, sia mai. Macchine, non piloti. Macchine dentro macchine per uno show comandato e comandabile. Evviva.