Max Verstappen ha sempre giocato per vincere. Cresciuto all'ombra di un padre, pilota mediocre e dimenticabile, che dal figlio ha sempre preteso l'impossibile, Max è cresciuto puntando l'asticella delle proprie aspettative sopra quella degli altri, dimenticando presto che cosa possa voler dire giocare, correre, competere per il gusto infantile di farlo e basta.
È stato un pilota rabbioso, dal piede pesante e l'incidente sempre dietro l'angolo, un pilota pronto ad accettare di raccogliere niente provando a prendersi tutto. È stato un pilota odiato, criticato, messo sotto la lente di ingrandimento per giudicarne ogni aspetto, errore, fallosità.
E poi è cambiato. La maturità per Max è arrivata proprio quando in ballo, nella sua vita e nella sua carriera, sono iniziate le cose importanti. L'olandesino d'oro della Red Bull ha saputo mostrare al momento giusto ciò che dentro di sé sapeva di aver sempre avuto: il DNA del campione. Si è saputo far scivolare addosso ogni polemica restando concentrato sull'obiettivo finale, ha sopportato il peso psicologico di giocarsi un titolo in Formula 1 - il primo della sua carriera - combattendo contro un pilota che, di titoli mondiali, ne vantava già sette ben visibili sulla tuta di una leggenda del motorsport.
Ha preso ogni qualità che possedeva e con una fatica assoluta, che solo lui può conoscere nel profondo, ha raccolto i pezzi del bambino che forse non ha mai avuto l'occasione di essere, e con le sue qualità ha saputo aggiustare i cocci di tutto il resto. Ha messo da parte l'aggressività, la foga, l'impazienza della gioventù, ed è diventato un due volte campione del mondo di Formula 1. Oggi, a Suzuka, con un titolo che per tutto l'anno ce lo ha restituito perfetto nella guida e nella leadership del mondiale, ha conquistato il tassello mancante della storia: un trofeo suo, e di nessun altro, su cui nessuno potrà discutere, obiettare o commentare. Sul quale non ci sarà l'ombra di un altro campione o la presenza ingombrante della Federazione.
E alla gioia assoluta di un peso che se ne va Max Verstappen risponde con l'imbarazzo, la normalità e la leggerezza che lo rendono diverso da qualsiasi altro pilota mai visto tra le pieghe assurde della storia di questo sport. Sorride, quando gli dicono che ha vinto il titolo mondiale a causa della penalità di Charles Leclerc, e non sa bene che cosa fare: "Beh, cosa dovrei dire..." si chiede alzando le spalle, per poi correre ad abbracciare chi lì, sul tetto del mondo, lo ha aiutato ad arrivare. Nel retro podio lo fanno sedere su una specie di trono e lui se ne sta dritto, imbarazzato, a guardarsi intorno come se avesse fatto una cosa da niente, una normalità.
Per Max vincere oggi è leggerezza, è una lezione che gli ha richiesto disciplina contro quel carattere difficile, da applicare come una crema giornaliera, da stendere sulle ferite di un'infanzia complicata. È il suo viso senza tensione, senza eccessi verso l'alto e verso il basso. Senza lacrime di gioia, fiumi di emozioni che spingono per uscire.
In un mondo di adrenalina come questo non lo vedremo più, un Max Verstappen. Uno come lui, che cambia le regole e cambia se stesso, che si trasforma per rimettersi insieme e riesce comunque a restare quello ch era, semplicemente non lo rivedremo mai più.
Godiamocelo, godetevelo che siate o non siate suoi tifosi, perché lo rimpiangeremo. Quando si stancherà di questo gioco, quando avrà finito questo viaggio eterno iniziato quando era solo un bambino, lo rimpiangeremo davvero. Perché di quelli così se ne vede uno ogni cent'anni, e noi abbiamo avuto la fortuna di vedere lui, oggi, vincere un mondiale di Formula 1 alzando le spalle. Senza parole, senza lacrime, senza niente da dire. Alla Max Verstappen.