Negli occhi si riflettono palazzi sbriciolati come biscotti, si inzuppano in un cielo appena stellato e latteo, all'esterno si sente un rumore monocorde, un riverbero ossessionante di televisori che cantano notti che dovrebbero essere magiche, ma che in realtà non lo sono, non lo sono mai state, non lo saranno mai, l’Italia sogna, sulle note di Gianna Nannini e Edoardo Bennato, tutto è nuovo, gli stadi sono nuovi, il governo è sempre nuovo, è un Paese felice, ancora opulento, sta per iniziare tutto, è il fischio d’inizio di tutto. Palermo cemento armato, asfalto, cielo, don Vito Ciancimino style, Borgo Nuovo, quartiere di casermoni, poi il centro edilizia popolare, il Cep, la scuola calcio Louis Ribolla, dove un ragazzino 12enne, di nome Salvatore "Totò" Schillaci, tirava calci ad un pallone proprio come cantava Francesco De Gregori, ma lui rigori non ne sbaglia. Brucia l’aria Totò, è talmente veloce che quasi scompare, piccolo e rapido, e si allena fino a quando non si vedevano le stelle, in quello stesso cielo latteo di prima, in quelle notti accecanti di Palermo, i muscoli fanno male, le gambe indolenzite a 35 gradi come le notti di quel 1990 quasi leggendario, di cui vi dovete immaginare il riverbero, di inizio articolo, nelle orecchie, nel cuore. Gli occhi di Totò spiritati e spalancati, Totò il Re dei terroni. “Schillaci ruba le gomme”, “ruba le gomme!”, “Schillaci ruba le gommeee!”. Così gli cantavano le i tifoserie avversarie della serie C, terrorizzati dalla sua rapidità, ma gli occhi di Totò ti inceneriscono di emozioni, sono sempre espressivi come quelli del principe Antonio De Curtis, o di Eduardo De Filippo, dentro ci trovi riflesso tutto questo mondo di provincia, questo odore di grasso e olio motore, e di popolo. Totò però ha due gambe supersoniche, è un motorino vispo e opportunista che sotto rete non perdona, spietato come certi killer della mafia.
Totò è un ragazzo semplice, mai un congiuntivo azzeccato, ma ci ha fatto sognare per un'estate. Io che il mondiale dell 1990 lo ricordo a stento, per la delusione, ho pure un pò rimosso, quel mondiale perso male, malissimo, io che ora che ci penso ero quasi innamorato di quella squadra perfetta del '90, di quel Roberto Baggio, di quel Roberto Donadoni, del "principe" Giuseppe Giannini, di quel Franco Baresi a murare la difesa, con Paolo Maldini ragazzino, di quello Olimpico di Roma stracolmo, di quell'odioso pupazzo modulare di nome “Ciao”, mascotte del torneo, di quel sentirmi per la prima volta italiano e poi siciliano, di quel sentirmi come Totò Schillaci, che ha due gambe che sembrano due accendini pronti ad incendiare un pubblico in visibilio, pronto a far orgasmare ogni curva d’Italia. Tutto comincia con il gol decisivo con l'Austria a un quarto d'ora dalla fine sostituendo un impalpabile Andrea Carnevale, salto in alto tra due giganti austriaci, gol di testa e da brigante furbo, da vero bandito uscito da una qualche spedizione punitiva. È vero, mi sentivo per la prima volta italiano, noi tutti di quella generazione di siculi ci sentivamo italiani per la prima volta, a noi che l’italia ci aveva esclusi sempre, e poi ci avrebbe regalato quella “bella” tragedia di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Ascoltavo l'inno e mi commuovevo. Poi ancora le partite con la Cecoslovacchia, l'Uruguay, l’Eire, in un crescendo quasi rossiniano. Totò il rapinatore dell'area di rigore è diventato da allora toto-gol ormai per tutta Italia. A Palermo, quartieri popolari, c'è odore di sfincione (la tipica pizza rustica palermitana) in casa Schillaci la sera di Italia-Argentina al San Paolo di Napoli, Diego Armando Maradona che si riprende il Sud, poi tutti a piangere, ma Totò è super. Totò non sbagliava una partita, non aveva bisogno di parlare o di reality, a Totò bastavano quegli occhi. E noi saremo ancora con per continuare a giocare la sua partita migliore. Giusto essere retorici per un piccolo gigante come lui: Totò Schillaci, per sempre il Re dei terroni.