Gigi Dall’Igna ha appena vinto l’ennesimo titolo mondiale, quello probabilmente più ricco di significati, ma risponde comunque su tutto. Solo che su un argomento in particolare non ci pensa per niente a svelare la verità e resta sul vago. Quale argomento? La Desmosedici di Pecco Bagnaia che oggi è stata al centro delle uniche due domande su cui l’ingegnerissimo della Ducati ha tagliato corto, passando a largo. “Quel fumo che si vedeva? – ha ripetuto con gli occhi di un ragazzino che sta per raccontare una mezza verità – sappiamo le ragioni per cui si vedeva e eravamo tranquilli. Di sicuro sapevamo che non c’era un pericolo contingente, altrimenti saremmo stati noi a fermare Bagnaia”. Una bugia? Assolutamente no, ma sicuramente una mezza verità, perché la tensione nel box - quando la Desmosedici col 63 andava fumando di qua e di là a spasso per il circuito di Motegi - s’è vista tutta e perché, comunque, le certezze non sono assolute neanche quando si è l’ingegnere delle corse a cui ogni ingegnere delle corse si ispira. “Sapevamo da cosa dipendeva quel fumo” è tutto ciò di cui, oggi, i si deve accontentare. Per qualche dettaglio in più ci sarà tempo.

Tempo che forse non basterà mai, invece, per conoscere la risposta all’altra domanda che dallo studio di Sky hanno posto a Dall’Igna: cosa è cambiato, da Misano, sulla Desmosedici di un Pecco Bagnaia che ora sembra il fratello velocissimo del pilota che era diventato in questo 2015? “Quello che conta – dice Dall’Igna rispolverando ancora quegli occhi lì da diavolaccio - non è capire. Conta far andare forte il pilota. La differenza tra le due moto, la GP24 e la GP25 non è tanta e, in ogni caso, sono moto che possono incontrarsi: alcuni pezzi dell’una possono essere usati anche sull’altra. Vedere Pecco tornare a vincere ci fa stare meglio". Game, set, match per il padre di questa Desmosedici che adesso è, oltre che imbattibile, pure capace di trasformarsi in corsa. E’ la sua creatura, è il suo orgoglio, e è l’evoluzione perfetta di qualcosa che ha cambiato definitivamente la storia della Ducati in MotoGP dopo quel mondiale vinto da Casey Stoner e i successivi anni di delusioni.

“Il mattone più importante di questa mia storia con Ducati cominciata undici anni fa – spiega Dall’Igna – è e resta la GP15: secondo me, è quella moto del 2015 che ha permesso di fare il salto di qualità più significativo. Il salto di qualità e il mattone su cui abbiamo poi costruito tutto il resto". Una storia lunga, fatta all’inizio anche di frustrazioni e, a un certo punto, anche del rammarico di aver potuto forse tornare sul tetto del mondo molti anni prima, tra occasioni ghiottissime sciupate e stagioni che potevano prendere una piega diversa. Fino a Bagnaia, a quei titoli vinti con Pecco e fino alla consacrazione adesso che sulla rossa c’è salito l’immenso Marc Marquez. Gigi Dall’Igna l’ha voluto e per averlo – ormai lo sanno anche i muri – ha pure combattuto. Ma preferisce raccontare un’altra storia. Non per furbizia o giochi di equilibrio, ma per gratitudine. Lasciando però chiaramente intendere che quando si vince anche ciò che tutti definivano “rinuncia” (al progetto dei giovani piloti allevati in casa, ndr) merita di essere invece considerata “scelta”.
“Giorni come quello di oggi – ha concluso - sono particolari, di quelli che si ricordano a lungo. Provo tante emozioni. Non siamo stati noi a scegliere Marc Marquez, ma il team Gresini alla fine del 2023. Hanno fatto un grande lavoro insieme. E’ in quella stagione, nel 2024, che è maturata la decisione di portare Marc nel team ufficiale di Ducati. E credo che abbiamo fatto la scelta più corretta, dandogli tutto il possibile per esprimersi al meglio". Sì, è stata la scelta giusta per Ducati e oggi Gigi Dall’Igna ha dato la risposta definitiva anche a chi non ha mai smesso di criticare “la scelta del 93” e non “la rinuncia all’89”.
