Il tizio che ha avuto l’ultima parola sul design della nuova PlayStation si chiama Signor Hitachi, o così immagino io. Signor Hitachi ha sessantaquattro anni, una carriera inspiegabilmente fortunata al vertice del team creativo Sony, una corolla di capelli neri che gli incornicia il cranio lucido, occhialoni da miope con la montatura spessa e una passione irriducibile per la fantascienza anni Settanta. Deve vivere in un enorme appartamento in una zona residenziale di Tokyo, concepito a metà tra la nave “Discovery” di 2001: Odissea nello spazio, la stazione spaziale di Solaris nella versione di Tarkovskij e il salotto dello scrittore vessato dai Drughi di Arancia meccanica.
Signor Hitachi si è preso l’onere di trasportare una generazione di videogiocatori nel futuro. Quante volte ci avrà pensato, mentre produceva bozze su bozze di disegni per la nuova console, al trasportarci tutti nel futuro che immaginava, accompagnando con forme inedite e stupefacenti il più potente hardware videoludico mai immesso sul mercato, quadrando finalmente il cerchio della console-scatolone, concependo la sintesi perfetta tra intrattenimento e design. Io ce lo vedo proprio, sulle sudate carte, Signor Hitachi, ce lo vedo a passare notti insonni e, ogni tanto, alzare lo sguardo dal lavoro, guardare dal finestrone all’ultimo piano la Tokyo notturna che si stende ai suoi piedi, dirsi che tutto questo lo sta facendo per noi, che tutto questo avvenire è per noi. Lo vedo sospirare e rimettersi al lavoro, più convinto di prima.
Poi la PlayStation 5 viene presentata e somiglia a un diffusore di aromi, tu la guardi e ti viene voglia di inserire dei bastoncini profumati nel vano blu-ray; per di più, ti limiti a studiarla dalle anteprime su internet, perché soltanto a pochissimi fortunati è stato concesso il privilegio dell’acquisto: nonostante sia in commercio dal 19 novembre, la domanda supera di gran lunga l’offerta e così l’incensiere hi-tech concepito da Signor Hitachi è esaurito ovunque dal primo giorno di messa in commercio. Non si può nemmeno preordinare, niente. Forse, dicono, i negozi online verranno riforniti entro gennaio – quelli fisici non verranno riforniti affatto, per evitare esodi di compratori – forse a febbraio o addirittura dopo: se la gioca col vaccino, chissà quale chimera arriverà prima. Nel frattempo chi è riuscito, durante i pochi minuti di disponibilità della console, ad accaparrarsi uno o più pezzi, li rivende a due, tre, quattro volte il prezzo di listino sui siti di aste; c’è addirittura un tizio, una specie di YouTuber fissato con le auto di lusso, che presta per una settimana la sua Tesla sportiva a un altro tizio in cambio di una PlayStation, e va a prendersela a casa sua lasciandogli la macchina. Eccetera eccetera: di episodi del genere è piena la rete.
Allora mi metto a pensare e mi viene in mente Signor Hitachi che, per carità, è un personaggio immaginario e invero parecchio stereotipato, ma è anche il prototipo ideale del creativo che a parer mio avrebbe potuto progettare un affare come PlayStation 5, la strabiliante rivoluzione vagheggiata per noi. Non foss’altro che le linee dell’ancora-quasi-del-tutto irraggiungibile oggetto del desiderio di milioni di utenti rimandano ossimoricamente a un avvenire anteriore, a una mera rimasticazione della fantascienza per cui Signor Hitachi stravede. La nuova PlayStation non è disponibile e comunque non ha nulla di particolarmente nuovo da dirci – a partire dai primi giochi “cross-gen”, pubblicati in doppia versione, per Ps4 e Ps5 – è il perfetto complemento d’arredo per il salotto ‘vintage’ che lo studente universitario fuori sede si ritrova ad abitare suo malgrado insieme ad altri sei o sette imberbi o a quello della zia vecchiarella che andiamo (decreti ministeriali permettendo) a trovare durante le vacanze di Natale e poi arrivederci al Natale prossimo, a Dio piacendo.
Che assurda condizione: aspettiamo, in un futuro si spera prossimo, di mettere le mani sull’idea di un futuro invece già andato, sul miraggio un po’ goffo, diciamo pure sfigato, di ciò che forse ci attende: il rinnovamento che la generazione dei nostri padri ha pensato per noi, un divertimento proiettato all’indietro, l’ennesima conferma che il gioco, in fondo, è una cosa non seria e dunque non contemplata, mistificante e mistificabile, con buona pace dell’Here we are now, entertain us di cobainiana memoria.
Chi gioca, insomma, resta fermo nel tempo o, nel caso peggiore, comincia a camminare all’indietro, come i gamberi.