È il nono titolo mondiale, eppure è più grande del primo e più pesante di tutti gli altri. Marc Marquez, secondo in gara a Motegi, chiude la stagione MotoGP con cinque appuntamenti d’anticipo e lo fa lasciandosi andare in maniera assoluta e incontrollata. “Non so dove sono”, dice quando incontra la squadra sul rettilineo, una maglietta con su scritto More than numbers e un casco rosso metallizzato in mano.
Poco prima, sceso dalla moto, dice “grazie”. È la parola che viene catturata più spesso da un microfono sotto la tuta e lui la ripete in continuazione ai meccanici, al collaboratori, agli ingegneri, alla famiglia. Ogni tanto passa allo spagnolo, poi torna al “grazie” in un lunghissimo piano sequenza dal traguardo al podio. Il momento più alto della celebrazione è quasi subito: in una MotoGP che è sempre più artificiale e costruita, il filmato asciutto che gli sparano davanti agli occhi mentre lui si lascia andare ai singhiozzi, nel silenzio della cabina di commento, è un elogio allo sport e alla sua essenza. Questo non è un mondiale vinto con gioia o furia agonistica, è solo pieno di commozione. Marc in tutto questo ha la faccia di un uomo appena scampato a un disastro aereo.
La gara è parte integrante della storia: lui parte male, recupera alla prima curva, si mette al terzo posto tra Mir e Acosta e guida legnoso, quasi bloccato, sbagliando abbastanza frenate da far sì che Mir si affacci per passare. Siamo attorno al decimo giro quando Marc Marquez, un po’ come era successo ieri, capisce che guidando così rischia soltanto di finire per terra. Così si lascia andare, assottiglia il margine e passa quasi senza fatica Pedro Acosta. A metà gara è secondo dietro al compagno di squadra con quattro secondi da recuperare.
Succede però che la moto di Pecco comincia a sputare fumo azzurro, che vuol dire olio bruciato. Vuol dire anche, e soprattutto, che da un momento all’altro la moto può lasciare delle tracce su cui si scivola anche a piedi, figuriamoci con 58 gradi di piega su di una moto. Marc Marquez a quel punto è nel tunnel: forse non ci pensa, forse non lo realizza a pieno, forse - e più probabilmente - decide che comunque bisogna andare avanti. La bandiera arriva tardi per tutti, un’infinità di tempo dopo.

Marc oggi ha nove titoli mondiali e li festeggia con More than numbers perché Liberty Media vorrebbe indicarne sette, solo quelli in MotoGP. Lo fa come il più vecchio di quest’epoca a vincere un titolo, come quello che l’ha vinto con più tempo passato dall’ultima volta ed entrando nella lista dei pochi ad avercela fatta con due costruttori diversi, in un percorso che è l’esatto opposto di quello intrapreso da Casey Stoner, il quale passò da una Ducati difficile a una Honda vincente. Lo fa per arrivare a pari merito con Valentino Rossi.
A vederlo bene, il podio, verrebbe da dire che c’è del simbolismo: Marc Marquez ha il futuro davanti, con quella Ducati rossa che si è messa a funzionare per l’occasione, mentre trova la Honda appena dietro, gli uomini in bianco ad applaudire lì sotto. Ora Marc ha la pace addosso e piange lacrime da uomo, così diverso dall’assassino spietato che vediamo in pista tutte le domeniche. Da domani tornerà in guerra.