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Clubhouse è una palude
di infinita tristezza

  • di Andrea Spadoni Andrea Spadoni

16 febbraio 2021

Clubhouse è una palude di infinita tristezza
I primi giorni era come entrare al bar e trovare al bancone Calcutta o Montemagno. Ora i vip si sono ricordati di essere vip (e non ti fanno parlare) e la room più frequentata è quella di scambio like (muta)

di Andrea Spadoni Andrea Spadoni

Lo chiamano il social dell’esperienza, del valore, dei contenuti. Tutti. Sono due settimane che ci sono dentro e nelle room (così si chiamano gli spazi che gli utenti possono aprire per conversare con altri utenti di qualsiasi argomento) non si parla d’altro.

ClubHouse da quando è sbarcato in Italia ci ha illuso che potesse essere il social network definitivo, quello dell’inclusione e scusate l’espressione fin troppo consumata, ma così lo chiamano. Si presenta come la prima piattaforma orizzontale in cui tutti chiedono parola con educazione, aspettano il turno, conversano, si confrontano con gli altri senza differenze di posizionamento. Senza che qualcuno dall’alto spieghi a qualcun altro cosa dovrebbe cambiare della propria vita per avere successo, anche se si chiama Marco Montemagno.

Su ClubHouse, i primi giorni, era possibile parlare con chiunque, come se entrassi in un bar e ti mettessi al bancone a parlare con Calcutta. È stato amore a prima vista anche per me, lo ammetto. Un colpo di fulmine di quelli seri. Per fortuna è durato poco. Al risveglio infatti, quando entusiasmo e ragione si sono riequilibrati, ho scoperto che ClubHouse è semplicemente una merda. Un social network identico agli altri, una specie Instagram ancora più finto, senza tette, addominali e culi ad allietarci i pomeriggi. Una palude di tristezza infinita, room in cui si parla del niente assoluto, altre piene di teen che ci prendono in giro con il gioco “Bombo o passo” e un mondo di mitomani che ci spiegano il segreto per monetizzare, per crescere sui social network e forse tra poco arriveranno anche quelli che ci insegneranno a gestire i primi capelli bianchi dopo i 30 anni. Un microfono in più sempre per gli stessi insomma, per quelli che ci avevano già provato con le sponsorizzate di Facebook e Instagram, per i vip che quando arrivano nelle stanze le riempiono e catalizzano l’attenzione e per quelli che sarebbero in grado di parlare per una settimana di loro stessi.

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Le room in Clubhouse

C’è anche una parte buona di ClubHouse, va sottolineato: una bella rassegna stampa la mattina, la room del caffè, tanti spazi dedicati alla professione del giornalista e alle nuove professioni del digitale, lo spazio degli “Ex” in cui ci si raccontano gli amori spezzati, simpatici programmi serali come Chiacchieriamo, persone interessanti che si possono conoscere e con le quali fare squadra (e a me è capitato), vecchi amici ai quali avevi smesso di telefonare, dibattiti sulla parità di genere, sull’ambiente, sulle discoteche chiuse, sulla musica. Tutto bello, ma è l’approccio al social che è sempre lo stesso: conta solo il follow.

Ce lo hanno sbattuto in faccia tre che i social network li conoscono bene, meglio di noi: MalEdizioni, pseudonimo di Adamo Romano, e Riccardo Mortelliti, creatore della pagina IntrashTtenimento 2.0 che conta quasi 3 milioni di follower, così come Francesco Brocca di Cose non cose. Insieme hanno aperto una room in cui non si parla e ci si scambia il follow. Il titolo è esplicito: Vetrina: non si parla e ci si scambia solo il follow per crescere. Sapete che è successo? È la room più numerosa ininterrottamente da cinquanta ore con una media di cinquecento persone presenti contemporaneamente. Il significato è chiaro: gli utenti sono su ClubHouse per aumentare i follower. Si frequentano le room per far crescere i follower, si fanno interventi per far crescere i follower. L’unità di misura è il follower, non il contenuto. Non il valore. Non tutti quei discorsi che ci ripetiamo dieci volte al giorno per sentirci migliori. Si parla e non si fanno la foto allo specchio, ma è come essere su Instagram, forse peggio perché con Instagram invadi meno la vita degli altri: pubblichi un post o una storia e chi vuole lo guarda e mette un like, su ClubHouse invece parli nelle stanze piene di gente e non sei solo.

Poi si può discutere ad ore di tutto, tipo che su ClubHouse non conta chi ti segue, ma chi segui perché solo in quel mondo puoi vedere quali sono le “room” più vicine ai tuoi interessi e gli utenti che si allineano di più alle tue idee, ma diciamolo seriamente: se non hai follower non sei nessuno anche lì, come ci hanno ormai insegnato a pensare gli influencer e i guru del digitale che da anni offrono (a pagamento) tantissime possibilità di crescita su Instagram e su Tik Tik, a volte anche attraverso bot o follower acquistati.

Ma non allarmiamoci più di tanto, sta a noi scegliere cosa conta davvero nella vita, perché ClubHouse è solo un social network e non ce la cambierà. Ora abbiamo le prove.

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