Adrian Fartade è uno dei più noti divulgatori scientifici in Italia. Parla prevalentemente di astronomia ed esplorazione spaziale, temi a cui ha anche dedicato diversi libri. Complice anche la sua formazione teatrale i suoi video su YouTube risultano seguitissimi e condivisi da masse di fan. Con lui ho parlato di astronomia e di spazio, ma soprattutto del Futuro. Quello con la maiuscola, quello che in questo particolare momento storico ci sembra davvero difficile da immaginare. Eppure…
Vorrei iniziare da un tuo spunto social: i bambini che nascono oggi vedranno con molte probabilità il 2100. Come sarà il futuro?
Sarà diverso rispetto a come lo immaginiamo oggi. Solo per dirne una: nel 2100 saremo quasi dieci miliardi di persone e ci sono così tante variabili che è davvero difficile poter fare una previsione. Una cosa però è certa: dobbiamo pensare al futuro con un approccio differente e dobbiamo evitare quello che è successo a metà anni ‘90, quando è nato il web e non siamo stati pronti ad accogliere tutte le novità che si è portato dietro, penso ai nuovi lavori, ai problemi relativi alla privacy, alla gestione della democrazia digitale.
Pensare al futuro senza inquadrarlo negli schemi di oggi, sta qui il segreto?
Direi di sì. Se ci prepariamo al futuro pensando che tra venti o trenta anni il mondo sarà come è oggi verremo presi in contropiede. Dobbiamo invece lavorare per reagire all’imprevedibile che potrà succedere.
Quali saranno i temi dominanti dei prossimi decenni?
L’emergenza climatica sarà il tema più grosso e avrà delle ricadute su qualsiasi campo.
Poi?
Sicuramente cambieranno anche altri concetti, molto radicati in noi. Penso alle nazioni.
In che senso?
Quello di nazione è un concetto ottocentesco che è arrivato alla fine del suo percorso, se lo inquadriamo nell’ottica con cui sta cambiando il mondo. Dobbiamo pensare che la nostra sopravvivenza dipende da come gestiamo le risorse globali: penso alle foreste del Congo, a quelle del Brasile, alla deforestazione che avvicina gli animali selvatici agli esseri umani favorendo quel famoso salto di specie di cui tanto si è parlato. Ecco, se tutte queste cose hanno un impatto globale l’idea della singola nazione diventa abbastanza superata. Pensiamo alle emissioni di gas serra prodotte da un paese. Possiamo certamente sostenere che Cina e India, per esempio, devono ridurre le emissioni, ma al tempo stesso non possiamo non tenere conto che Cina e India inquinano perché molte industrie occidentali hanno spostato lì le fabbriche per questioni di convenienza. Ecco, in questo senso, tutto è connesso e per questo dobbiamo cambiare il modo di percepire le nazioni.
Da un punto di vista scientifico invece che ci riserva il futuro?
Dovremo cambiare il modo di condividere i dati e la conoscenza per accelerare il progresso tecnologico che a sua volta ci pone davanti a un problema: la velocità con cui cambierà la tecnologia si contrapporrà alla lentezza con cui la politica reagirà a questi cambiamenti? Pensiamo all’automazione, alla robotica, al machine learning, le leggi che abbiamo oggi non sono adatte ad affrontare questi nuovi temi.
Continuando a parlare di futuro metto sul piatto un tema a te molto caro: la tecnologia e l’esplorazione spaziale.
Penso che creeremo degli avamposti da qui a metà secolo prima sulla Luna e poi su Marte. Parlare di tempistiche è sempre difficile, perché non è mai solo una questione di tecnologie, ma anche di contesto. Alla fine abbiamo la tecnologia per andare sulla Luna da mezzo secolo, ma poi sono mancate la volontà politica e la possibilità economica di tornarci. Oggi il progresso sta permettendo alle aziende di costruire tecnologie avanzatissime e quello che fino a poco fa era possibile solo ai governi, adesso possono farlo anche aziende private. Una volta c’erano solo gli USA e l’Unione Sovietica, mentre oggi abbiamo tanti altri attori.
Quali saranno gli assi portanti dell’esplorazione dello spazio di domani?
La riutilizzazione dei razzi e dei sistemi di lancio cambieranno totalmente il paradigma e sarà un passaggio rivoluzionario, equivalente a quello da veliero a nave a motore nell’800. E poi la miniaturizzazione delle sonde. Dimensioni più piccole e costi ridotti consentiranno anche alle singole università di lanciare le loro missioni.
Quindi, parlando del futuro più immediato?
La mia speranza è che da qui alla fine del decennio il programma Artemis riporti gli umani sulla Luna con l’obiettivo di creare una base per rimanerci. Molti non lo ricordano, ma sono 21 anni che siamo continuativamente in orbita sulla stazione spaziale con degli equipaggi che si danno il cambio. Viene dato per scontato ma è qualcosa di incredibile e fino a qualche tempo fa impensabile. Torneremo sulla Luna, gli equipaggi si daranno il cambio e le persone lo vivranno con normalità.
Il tuo ultimo libro spiega perché i corpi celesti minori ci aiuteranno a salvare la terra.
Se abbiamo intenzione di esplorare il sistema solare ci servono risorse e non possiamo portarcele da casa, dovremo usare quelle del posto. E un deposito gigantesco di risorse è rappresentato dagli asteroidi che essendo corpi celesti piccoli non hanno subito il processo di differenziazione ed è quindi possibile trovare metalli preziosi già in superficie e in grandissime quantità. Un altro vantaggio del recupero delle risorse nello spazio sta nella possibilità di poter costruire opere gigantesche lontano dalla Terra. Nel futuro avremo dei giganteschi pannelli solari puntati continuamente verso il sole, che manderanno l’energia raccolta verso la terra attraverso le microonde. Parte dell’industria energetica potrebbe spostarsi nello spazio così come le industrie più inquinanti per trasformare la Terra in una sorta di parco in cui gli umani vivranno senza impatti sul clima. Per capirci, pensa a quello che abbiamo fatto con le fabbriche dopo il 900 spostandole fuori dalle città. Qualcosa del genere, ma su scala spaziale.
Come nasce la tua passione per la divulgazione scientifica?
Quando ero piccolo mi piaceva l’esplorazione spaziale e mi appassionava raccontare come avvenivano le scoperte. Così ho iniziato a raccontare queste cose a parenti e amici e ho iniziato a fare divulgazione senza nemmeno accorgermene. Poi è arrivata la passione per il teatro, poi i social ed eccoci qui.
Per te che significa divulgare?
Creare un contatto tra la scienza e altre persone che non hanno gli elementi per interpretare il mondo che gli racconti. Normalmente divulgazione si porta dietro l’idea di un volgo ignorante, ma non è più così. Si tratta di creare un racconto che possa dare elementi di interpretazione a vari livelli e a varie persone. È una sfida ed è la cosa che più mi affascina ed emoziona.
A cosa stai lavorando in questo momento?
A un nuovo libro, ma posso dire davvero poco se non che sarà molto diverso dagli altri miei e saremo tre autori. E poi in attesa che i teatri riaprano, sto scrivendo altri spettacoli.
Ormai siamo in emergenza sanitaria da un anno. Una tua riflessione su questo anno “insieme” al Coronavirus?
Sicuramente stiamo vivendo uno dei momenti più trasformativi della nostra epoca, ma della cui grandezza ci accorgeremo in un secondo momento, quando a scuola si parlerà della grande pandemia del 2020. Spero che questa situazione ci insegni qualcosa e ci faccia capire che siamo più vicini e interconnessi di quanto si possa immaginare. Dobbiamo smettere di pensare che il mondo sia fatto a compartimenti stagni, come magari abbiamo pensato fino ad oggi e allo stesso tempo spero che in tanti capiscano l’importanza della scienza e della ricerca. E poi se riusciremo a sconfiggere il Coronavirus con l’infrastruttura necessaria per vaccinare oltre sette miliardi e mezzo di persone potremmo pensare di distruggere anche altre malattie come la malaria. Sappiamo come sradicarla e nell’arco di una generazione potremmo eliminarla per sempre. Infine un ultimo augurio: se vogliamo davvero cambiare è difficile pensare a un mondo che guarisce dalle malattie se poi nella società si annidano razzismo e sessismo, che davvero non ci condurranno da nessuna parte.