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“La sindrome di Cockayne di mio figlio? Un’amica”. Di Berardino racconta la forza di Roberto. E sul libro “Frollino il mio bambino magico…”

  • di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

  • Foto di: Instagram di Giada Di Berardino

10 settembre 2025

“La sindrome di Cockayne di mio figlio? Un’amica”. Di Berardino racconta la forza di Roberto. E sul libro “Frollino il mio bambino magico…”
Giada è la mamma di Roberto, detto Frollino, un bimbo con una malattia rarissima, la sindrome di Cockayne. Ci ha raccontato della sua famiglia, dell’amore che li tiene insieme e di un presente fatto di scelte, delicatezza e cura. Senza filtri. Solo vita vera

Foto di: Instagram di Giada Di Berardino

di Giulia Ciriaci Giulia Ciriaci

Robertino ha quattro anni, una sorella che lo adora, due genitori che si sono scelti due volte e un soprannome che gli calza a pennello: Frollino. È nato con una malattia rarissima, la sindrome di Cockayne, che rallenta il corpo ma non ferma le emozioni. Non ci sono terapie, né previsioni facili. Ma ogni giorno è pieno di cose: libri, giochi, coccole, bagnetti in piscina e scelte. Perché sì, Roberto sceglie. Cosa leggere, con chi giocare, se ha fame, sete, se vuole starsene per conto suo. E lo fa grazie a una comunicazione che non passa dalle parole, ma che funziona benissimo. Giada, la sua mamma, ha solo 28 anni ma la forza di una leonessa. Ci ha raccontato la sua quotidianità con un amore che non ha bisogno di effetti speciali. Nessuna frase fatta, nessun eroe. Solo una famiglia che, da quando è arrivata la diagnosi, ha imparato a stare al mondo in un modo nuovo. A non combattere contro la malattia, ma a viverci accanto. A riconoscere la fatica, senza farsene travolgere. A mettere al centro il presente, e viverlo bene. Insieme ad Anna Cherubini, Giada ha scritto “Frollino, il mio bambino magico” (Mondadori), un libro tenero e vero come le cose che contano. Ma prima del libro, c’è stata la vita. E in questa intervista c’è tutto quello che resta quando le parole non servono a impressionare, ma solo a condividere.

Il piccolo Robertino
Il piccolo Robertino

Quando e come hai iniziato a capire che c’era qualcosa che non andava?

La gravidanza è stata normalissima. Analisi perfette, ecografie perfette, nulla poteva far pensare che ci fosse un problema. Era un po' più piccolino rispetto alla media, ma anche mia figlia grande, Matilde, in gravidanza era un po' più piccolina. Robertino quando è nato pesava due chili e tre, ma non ha avuto bisogno di nulla. Cresceva anche tanto, 300 grammi a settimana. Era bello cicciotto, tutto normale fino a circa i sette mesi.

Cosa è cambiato?

Ho iniziato a notare che non maneggiava bene gli oggetti con le manine e che non stava seduto, cose che Matilde alla stessa età faceva. Il paragone non si dovrebbe fare, ma quando hai due figli è inevitabile. Ed è lì che abbiamo iniziato con la prima visita, al Sant'Andrea con il neuropsichiatra. Quando l'ha visto ha detto che c'era un ritardo motorio, ma che c’era da approfondire perché aveva un visino particolare. Non essendo genetista non si espose più di tanto, però mi disse di andare al Gemelli. Il giorno dopo già ero lì, segno che si erano chiamati tra di loro per non farmi attendere troppo. La dottoressa quando l'ha visto non ha avuto dubbi, iniziando a elencarmi tutte caratteristiche di Roberto che per me erano normalissime, e che all’atto pratico invece no. Ipotizzò in un primo momento la sindrome di Bloom, dopo quindici giorni i risultati dei test erano negativi, e mi disse che poteva essere la sindrome di Cockayne, però prima andava fatto un'esoma che va a controllare i 20.000 geni. Per fare questo test ci vuole circa un anno e mezzo. Ma io non potevo aspettare così tanto, anche perché è un bambino che ha bisogno di particolari attenzioni sotto vari punti di vista, quindi mi sono mossa in altri modi. Sono entrata in contatto con la ricercatrice che si occupa proprio di sindrome di Cockayne, che sta a Pavia. E lei mi disse un anno e mezzo non lo possiamo aspettare, vai tramite me al Bambino Gesù e facciamo un test mirato, con un mese abbiamo un risultato. Quindici giorni dopo il risultato, che ovviamente era positivo. Dopo un anno e mezzo, quando sono stata contattata dal Gemelli, c'è stato un po' di fastidio. Mi ricordo quella chiamata, era estate, mi fanno "guardi forse è il caso che venga, dobbiamo parlare". Io già sapevo il risultato.

Analisi a parte, durante la gravidanza non hai mai avuto il sentore che qualcosa non andasse?

Ho sempre avuto la sensazione che ci fosse qualcosa, sempre. E probabilmente io ero più pronta rispetto agli altri, rispetto alla famiglia, perché l'ho sempre sentito. Quindi sì, la sensazione c'è sempre stata.

Quindi per te non è stato uno shock, invece a livello familiare è stato più complicato affrontare e accettare?

Assolutamente sì. A casa fino all'ultimo si sperava in un ritardo motorio, perché rispetto a tutto ciò che ci era stato preventivato, sindromi molto molto gravi, il ritardo motorio era nulla in confronto, quindi si sperava in quello. Però sì, io ero più pronta perché me lo sentivo. Infatti, quando poi è arrivato il risultato è stato dare un nome a una sensazione che già c'era.

La scoperta della malattia di Robertino ha influito anche sul rapporto di coppia con il tuo compagno? Nel libro parli di un allontanamento e poi di un riavvicinamento, e adesso state organizzando il vostro matrimonio. Come l’avete vissuta la scoperta della malattia?

Per lui è stato uno shock, tornava a casa e non lo voleva neanche prendere in braccio. Il suo unico pensiero era “io non mi ci voglio affezionare perché Roberto deve morire”. Per lui era proprio un tutelarsi in qualche modo. Prima di riuscire ad intraprendere un percorso e farsi aiutare ci sono voluti quasi due anni, non voleva affrontare la situazione, pensava costantemente al funerale di Roberto. A livello di coppia siamo arrivati necessariamente a una rottura. Perché non era più lui. Ha iniziato con questa vita completamente opposta alla famiglia, di notte nei locali.

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Le malattie, in un certo senso, fanno sempre da spartiacque. Uniscono e allontanano.

Con la mia esperienza in ospedale vedo che la maggior parte delle famiglie non ce la fa, ed è una cosa tristissima, si fa veramente fatica.

Che consiglio ti senti di dare ai genitori che stanno affrontando una situazione simile alla tua?

Sento spesso parlare di dover combattere una battaglia contro la malattia. Vivere pensando costantemente di doverla combattere non è vita. Io con la sindrome ho fatto un percorso, ho imparato a conoscerla. Siamo diventate amiche con molta difficoltà. È un percorso che facciamo insieme. La malattia di Robertino è degenerativa, quindi noi dobbiamo mettere una toppa alle varie problematiche che arrivano. Non bisogna vivere pensando di essere costantemente in lotta, in battaglia. Questo non significa però essere rassegnati, assolutamente no. Però un conto è fare terapie, fare esercizi, ma è importante anche viversi il giorno. Questa è una cosa che ho imparato con molta fatica. Non pensare al domani, il passato è passato. Il futuro boh. Oggi Roberto c'è. Oggi Roberto sta bene. Quindi viviamoci il presente.

La ricerca per la sindrome di Roberto a che punto è? Va avanti o è ferma?

È ferma dal 2013. Non c'è proprio nulla. Perché sono pochi casi e di conseguenza la ricerca non è andata avanti. Hanno tentato anni fa di inserire in un topino un'altra cellula che andasse a modificare quella sbagliata. Ma nel topo non ci sono stati effetti.

Mi racconti com’è nato questo libro, “Frollino, il mio bambino magico”, e come ti sei sentita una volta che lo hai avuto tra le mani? Nella scrittura insieme ad Anna Cherubini hai scoperto lati di te che non conoscevi?

In passato avevo già ricevuto diverse proposte per scrivere un libro, ma non ho mai avuto l'imprinting con nessuno fino a che sono entrata in contatto con Anna. Ci siamo prese da subito, e questo è importantissimo anche perché è una storia molto particolare, e il pensiero di scriverla stando così vicina a una persona che magari non ritenevo affine al mio pensiero, per me era impossibile. Quindi fino a quel momento nessuno era così vicino a me. Siamo state molto insieme, o da me a Roma o da lei in Toscana. Videochiamate costantemente. Se lo fai con una persona con cui non ti trovi, diventa difficile. C'era questa idea, Mondadori l'ha subito approvata. È stato un mese terribile. Perché scrivere un libro in un mese è una roba assurda. Quando scrivi un libro ritiri tutto quanto fuori. Litigate, emozioni, situazioni che pensavi essere del tutto elaborate e che invece hanno bisogno di un po' più di tempo.

Da dove nasce il soprannome Frollino?

Il Frollino nasce da Mati, perché quando è nato Robertino aveva tre anni e non riusciva a dire fratellino, quindi quando l'ha visto ha detto “ma quanto è bello il mio Frollino”, da lì è rimasto il Frollino per tutti. Poi è veramente adatto a lui. Che è così carino, dolce, proprio un biscottino. Gli sta bene.

Il rapporto tra Robertino e Matilde com'è?

Matilde richiede giustamente tanta attenzione perché è una bambina di 7 anni che capisce anche troppo per la sua età, perché per quanto ho cercato di tenerla in questa bolla lei è arrivata con il tempo a delle consapevolezze su Robertino, cosa che magari neanche avrei voluto che sapesse. Recentemente mi ha detto “Roberto ha l'invecchiamento presto”, l'invecchiamento precoce, intendeva lei. “Quindi chi ha l'invecchiamento presto muore prima di te, prima di papà e prima di me. È come un vecchietto”. Ha sette anni ma un pensiero bello sviluppato. Quello che tento di fare è di non farle vivere il fratello come un impedimento. Lei fa due sport e noi andiamo ovunque con Robertino, anche in situazioni in cui magari c’è freddo, pioggia o grandine. Perché c'è sempre come priorità Matilde.

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Ne parlavi anche in un video dopo che ti hanno accusato di aver esposto troppo Roberto al sole durante l'estate.

Perché è facile dire “è fotosensibile stattene a casa”. No, perché non siamo solo noi, c'è Mati che ha diritto di fare la sua vacanza con la famiglia con tante tante accortezze. Si fa, perché sono esperienze belle. Abbiamo un ricordo bellissimo di quel bagnetto che Robertino ha fatto in piscina. Il primo bagno in quattro anni. È un cercare la giusta quadra in continuazione.

Qual è la sfida più grande che hai affrontato da quando hai scoperto della sindrome di Roberto?

Rimettere insieme la mia famiglia, ricostruire il rapporto con Alessio. Anche tra lui e i bimbi c'è stato un processo di recupero.

Il modo in cui affronti la quotidianità e come ti prendi cura di Roberto sono da esempio. Eppure sotto i tuoi video ho letto diversi commenti fuori posto. Quali sono le domande o comunque le cattiverie più brutte che ti hanno rivolto?

Spesso mi accusano di curarmi troppo, e di levare del tempo a Roberto. Recentemente mi ha fatto troppo questo commento: “Penso che tu sia una brava mamma, però sei tatuata”. Non so cosa pensare.

Come comunichi con Roberto? Cos’è la comunicazione alternativa?

La comunicazione alternativa è nata con la sua terapista, Alessandra, che con Roberto ha creato quella che noi definiamo la terapia oltre la diagnosi. Ci tenevo perché con nessun bimbo Cockayne è mai stata tentata. Questo perché il cognitivo non viene mai considerato. In ospedale si guarda a livello motorio e va bene, ci sta. Quando vado là e puntualmente racconto dei progressi che ha fatto Roberto non vengo minimamente considerata. Si da per scontato il fatto che avendo una malattia degenerativa non possa migliorare sotto nessun punto di vista. A livello cognitivo ha fatto dei passi enormi. Roberto decide se vuole leggere, se vuole giocare, con cosa vuole giocare, con chi vuole giocare, se ha fame, se ha sete. Roberto non è più passivo nell'ambiente, è lui che decide. Da quando è entrato in questo meccanismo si arrabbia, non è scontato arrabbiarsi. La comunicazione alternativa ha rivoluzionato come Roberto vive.

Come sei riuscita ad arrivare a trasmettere tutta questa serenità? Molte persone magari si sarebbero buttate giù, invece tu hai tirato fuori una grinta che non è scontata.

Grazie. Ho iniziato a pubblicare video perché c'era questa mamma che aveva un bambino con la sindrome di Cockayne e ne parlava su TikTok. In Italia non c’era nulla di simile, anche perché le mamme che ci sono hanno 45-50 anni, ed è un'altra generazione. È una sorta di diario. Mi capita spesso attraverso i video di cercare quando è successa una determinata cosa. È anche un confronto, un sostegno reciproco, io agli altri e gli altri a me. Vado in ospedale per i ricoveri, magari scendo il pomeriggio per respirare un attimino e mi trovo tutte le mamme, ci abbracciamo, ci raccontiamo. È bellissimo.

Hai mai incontrato altre mamme o bambini che hanno la stessa sindrome di Roberto?

Sì. I nostri cari amici che sono di Bari, li abbiamo incontrati più volte e hanno un bimbo come Robertino, Walter, che è venuto a mancare a febbraio. Ci siamo incontrati più volte e loro sono proprio i nostri amici del cuore, perché hanno vissuto situazioni molto simili a noi, anche Walter e Robertino sono molto simili a livello estetico. Sono quelle persone con cui ti rispecchi un pochettino di più, proprio perché vivono situazioni quasi uguali alla tua.

In Italia e nel mondo, di quanti casi parliamo?

Ad oggi in Italia l'ultimo dato era 10, ma recentemente ne abbiamo trovati altri 4. E 3 tramite il profilo TikTok, perché hanno visto Robertino, hanno trovato delle somiglianze con i loro bimbi e si sono mossi. Hanno portato al genetista la foto di Robertino: “Mio figlio somiglia a lui, facciamo il test”. Tra di loro si somigliano tutti, sembrano fratelli.

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Invece nel quotidiano qual è la cosa più difficile? Quella che a fine giornata ti fa dire “ce l'ho fatta anche oggi?”

La notte. Robertino dorme pochissimo e fa tanti risvegli, quindi sicuramente la parte più tragica è la notte, perché arrivi a un punto in cui veramente si fa fatica sia a livello fisico che mentale. Si va a periodi, alcuni in cui va un pochettino meglio, e altri che fa 4/5 risvegli l'ora. Arrivi il giorno dopo che sei distrutto.

Robertino riconosce la sua famiglia? Sa quali sono le persone più importanti? Con gli estranei invece come si rapporta?

Riconosce la sua famiglia. Roberto è sempre contento, è sempre solare e sorridente. Va in braccio a tutti.

L'emozione più grande che ti ha fatto vivere?

Mi ha insegnato la pazienza, perché non ne avevo così tanta. A soffermarmi sulle cose giorno per giorno. Penso che imparare a stare nel presente, al famoso qui e ora, già è tanta roba.

A livello fisico rimarrà sempre così?

Roberto è strutturalmente grande come un bimbo di circa 7-8 mesi. E strutturalmente resterà così. La sua aspettativa di vita è sempre quella del famoso numero 10. All'atto pratico non vivo pensando ai 10 anni, anche perché non sarebbe vita. Statisticamente si parla di questo. Si vedrà. La sindrome è divisa in tre tipi. Sul suo foglio ufficiale del Bambino Gesù si sono sbilanciati parlando di tipo 2, ma all'atto pratico e alla consulenza avevano dei dubbi, e quindi è rimasto a metà fra tipo 1 e tipo 2. Ha delle caratteristiche di entrambi.

E' una cosa comune anche agli altri bambini affetti dalla sindrome?

No, sono tutti quanti categorizzati. Lui è rimasto un po' così. Nel tipo 2 si parla di bambini che già hanno delle caratteristiche della sindrome in gravidanza, mentre nel tipo 1 si sviluppa dopo. Si pensa che Robertino è nato piccolino proprio perché c'era già qualcosa in gravidanza, ma all'atto pratico poi lui è nato ed è cresciuto, quindi si è sviluppata ufficialmente dai sette mesi in poi. Ci sono queste due incongruenze, quindi sta a metà.

In gravidanza come te ne saresti potuta rendere conto?

Nel mio caso in nessun modo, perché l'unico test che si può fare per controllare se si è affetti da sindrome di Cockayne è fare una villocentesi, andando a cercare esattamente il gene responsabile della sindrome. Se tu non hai un caso in famiglia non lo fai. Ad oggi, sapendo qual è il gene, nel caso di una futura gravidanza si può andare a cercare il gene, ma prima no.

Sia tu che il tuo compagno poi siete portatori sani della malattia. Anche questa è una rarità.

Sì, noi siamo uguali, come fossimo fratelli, nonostante non siamo consanguinei. È proprio un andarsi a trovare un po' nel mazzo. E se penso che stavamo a scuola al banco insieme, fa anche ridere, no? Non ci sono esami prenatali di routine che ti consentono di capire se il bambino ha o no la sindrome.

Hai avuto i tuoi bambini da giovanissima, e tanti esami vengono fatti solo in età più adulta.

Esatto, anche questo è vero. Ma anche se li avessi fatti non l'avrei comunque saputo, perché non vanno a controllare quel gene.

Matilde è stata mai presa in giro per via di Robertino?

Fortunatamente no. Frequentano la stessa scuola e Roberto viene proprio super coccolato, ma da tutti. Ci sono bambini di quarta e quinta elementare che escono da scuola e prima di andare via passano a salutare Robertino. Gli altri bambini probabilmente lo vedono si strano, ma non quella stranezza che può essere un po' d'impatto. Robertino ha quell'aspetto molto da bambolotto, si riduce sempre tutto lì, perché lui è piccolo.

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