Ci eravamo stufati degli influencers perché siamo un pubblico onnivoro, mostruoso, assatanato di effetti wow da degustare con un sano infuso di tè alternato da un qualsiasi alimento purchè sia monoproteico, perchè così ci dicono di fare in nome della nostra sacrosanta salute, dobbiamo esser sani per evitare di ingolfare le già tragiche liste di attesa della Sanità. Siamo come un mostro che si autoalimenta di stimoli inutili, piccole curiosità per autodidatti, commenti patetici sotto le bacheche altrui, avidi di qualsiasi contenuto purchè sia divisivo, macabro, becero, real. Siamo “scimmiati” di dopamina digitale a tal punto che abbiamo sviluppato una nuova facoltà; siamo diventati talmente avidi di questa droga di contenuti che riusciamo a cambiare il corso della realtà, l’abbiamo trasformata in un'enorme storytelling pieno di colpi di scena da ingurgitare comodamente in poltrona; da remoto 24 ore su 24. Netflix non basta più ad intrattenere. Da Tarricone in poi, abbiamo scoperto la realtà mescolata alla fiction e da li non ne siamo più usciti, tanto che la fiction si confonde sempre più con la realtà. Oggi commentiamo cose che non accadono, fatti che non esistono, viviamo sulle supposizioni e intorno a queste che si costruiscono le nuove narrazioni. Così nascono nuovi personaggi che non sono più attori, cantanti, poeti o donne bellissime. Oggi siamo ghiotti di interviste ad assassini, tagliagole, pervertiti, generali corrotti, massoni, mafiosi, procuratori, pubblici ministeri e avvocati influencers. Tutti vogliono prendersi la loro fetta di pubblico sfruttando i media. Prima diventano protagonisti della loro storia, poi ce li ritroviamo giudici in un reality e l’anno dopo testimonial di un bagno schiuma. Fanno tanta ginnastica mediatica, presenziano a tutte le trasmissioni, ciondolano tra un podcast e un altro, si fanno la spunta blu e coltivano il loro orticello digitale con gli “onnivori” che li seguirebbero pure in capo al mondo. Tutta questa dinamica genera un ping-pong virale, un personaggio infetta l’altro generando un costante contenuto “premium”; siamo ben oltre la quarta parete vanziniana, qui non serve nemmeno una “figa” per tener su un prima serata, un capolavoro della decrescita felice. Il caso di Garlasco è la vetta di un nuovo genere, il real comedy crime con personaggi che si generano all’interno della trama, tutto questo senza l’aiuto dell'IA. Venghino signori qui si svende l’artefatto umano. Per un bel pezzo, lo stesso genere di show televisivo tirava con le corna e altre faccende simili, ora ci gustiamo in diretta ruoli istituzionali che interpretano ruoli televisivi scritti malissimo da autori malpagati che magari affondano nelle cartelle esattoriali e null’altro; una sorta di commedia dell’arte cinque punto zero. Interpreta la parte dello stronzo, il tuo ruolo è quello, ecco le direttive “redazionali”, dopo vai in live e se funzioni entri nel circo.

E’ tutta pappa comoda per pubblico ghiotto, indottrinato quindi educato alla “serialità”, con i suoi mediocri scrittori che non insegnano nulla, rendono tutto tiepido, ipnotico e vuoto. Questo pubblico vorace non si indigna se per informarci tocca seguire Corona. Il procuratore Capo della comunicazione italiana dimostra essere otto gradini sopra qualsiasi procura, qualsiasi élite investigativa. Ci domandavamo quando sarebbero sbarcati gli alieni; eccoli!!! E pure on demand. Poi arriva Giletti che istituzionalizza il grottesco, qualcuno potrebbe dire: “a nome del contribuente” ma fa e fa share per Dio! Il Grande Fratello affonda con la povera Simona Ventura e Giletti si erge dalle ceneri con la realtà aumentata di Gerry La Rana. E mentre ci stiamo a scervellare su tutto questo caso tragico, compare Sempio sempre più bello e mediatico che sta appoggiato al muro come un divo del cringe che controlla le dichiarazioni alla stampa dell'avvocatessa Taccia definita da Corona il Procuratore, “Velma” che ha tenuto a precisare la sua appartenenza giovanile al popolo del pogo in altre circostanze, vabbè, ecco un altro personaggio emergente di questo nuovo genere. Genere che è capace di viaggiare da Instagram a TikTok con una rapidità inquietante, dire virale è poco. Contribuente onnivoro non ti lamentare, questo è ciò che vuoi. Dio mi perdoni: ma sono io un coglione perche’ ho sempre pensato che gli avvocati dovessero quantomeno avere uno standing - non un ovation - un modo per gestire le relazioni con i media, un qualche credo che vada oltre il barbera e la febbre da cavallo e l’assurda convinzione di essere i più furbi del mondo. The fiction must go on.

