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Calenda la butta lì: ecco cosa c'è dietro agli aumenti nelle bollette di Enel. E non è una bella storia ma conviene saperla

  • di Gianmarco Serino Gianmarco Serino

  • Foto: Ansa

15 ottobre 2025

Calenda la butta lì: ecco cosa c'è dietro agli aumenti nelle bollette di Enel. E non è una bella storia ma conviene saperla
No, non è una bella storia. Perché lo scontro tra Calenda e Cattaneo non è solo una lite social, ma la prova che in Italia i profitti dei colossi pubblici come Enel crescono mentre le bollette salgono. E alla fine, a prenderlo in quel posto, siamo sempre noi

Foto: Ansa

di Gianmarco Serino Gianmarco Serino

In Italia si litiga su tutto, ma mai sulla radice dei problemi. È per questo che lo scontro tra Carlo Calenda e Flavio Cattaneo, amministratore delegato di Enel, non è solo un episodio mediatico, ma una radiografia del nostro capitalismo assistito. Come tutti sanno al Forum Coldiretti Calenda ha accusato l'ad di Enel di far pagare ai cittadini "costi esorbitanti" e di vantare "un Ebit livello Hermes". Tradotto, profitti da marchio del lusso per un’azienda che gestisce un servizio pubblico. Cattaneo ha replicato sintetico “lazzarone”, ma il tema resta serio, i margini di Enel Distribuzione sono così alti che superano qualsiasi azienda europea equivalente, sette volte gli utili dei corrispettivi francesi e tedeschi.

Flavio Cattaneo ad Enel ansa
Flavio Cattaneo ceo di Enel Foto Ansa

Calenda polemizza, come al solito, e come al solito propone una soluzione controversa con tanti potenziali effetti collaterali, ovvero mettere a gara le concessioni idroelettriche, oggi spesso rinnovate senza gara ad aziende già esistenti, senza controlli efficaci, con fortissimi appoggi bipartisan. Calenda, poi, quando parla sembra rifarsi al paradosso di Chesterton, quello per cui “il problema del capitalismo non è che ci sono troppi capitalisti, ma troppo pochi capitalisti”. Non arriva certo a dire “privatizziamo Enel”, ma propone una rivoluzione dell’automatismo delle rendite garantite. Come? Grazie al neo-liberismo. Calenda è un personaggio paradossale, un marxista che tenta di cavalcare la forza del capitalismo. Perché se la bolletta aumenta, mentre Enel festeggia utili a due cifre, qualcosa nel sistema non torna. Nei commenti ad un suo post su X, il leader di Azione continua, “Enel Distribuzione lavora in regime concessorio e gli investimenti vengono pagati dai relativi oneri in bolletta. Non precisamente di mercato”. Il punto sul quale non si può dare torto a Carletto è che in Italia vi sono sì dei competitor per Enel, ma il monopolio nella distribuzione è suo e gli altri attori devono servirsi di tale rete il cui costo di utilizzo è stabilito dall’Arera. Difficile però pensare che l’infrastruttura di distribuzione possa essere replicata dai competitor di Enel, ma un ragionamento sui margini stabiliti dall’Autorità per l'Energia forse sì. Ad ogni modo, per Cattaneo, non è la prima volta in cui si trova al centro di polemiche sui compensi a capo di aziende strategiche per l’Italia. Ai tempi di Tim era già stato criticato per i bonus milionari e liquidazioni da manager d’élite. Oggi il gruppo pubblico sotto la sua guida vanta oltre 6 miliardi di utili netti, e la sua figura torna al centro di una discussione che non riguarda solo i soldi, ma il modello stesso di azienda pubblica “capitalista”. Enel non è uno Stato né un’impresa privata. È un ibrido, e come tutti gli ibridi ha due nature incompatibili, ovvero quella dell’efficienza e quella della giustizia sociale. In sintesi, Calenda sostiene che Enel non rischia nulla, ma incassa e basta.

carlo calenda ansa
Carlo Calenda con il pollice in su Foto Ansa

Cattaneo, invece, difende la legittimità del modello, Enel è un’azienda quotata, lo stato è azionista, e i profitti tornano, almeno in parte, ai contribuenti. Un circolo virtuoso sulla carta, ma che in pratica serve più al bilancio pubblico che alle tasche dei cittadini. È un leitmotiv su cui si torna inesorabilmente. Servizio pubblico quando serve protezione, azienda privata quando serve un bonus. Un capitalismo che parla il linguaggio del mercato, ma gioca sempre in casa. Calenda non è un rivoluzionario, ma sa dove colpire e infatti punta il dito contro la rendita di posizione. L’idea di mettere a gara le concessioni, quelle idroelettriche è il suo modo, seppur discutibile, di dire che lo Stato deve smettere di essere un monopolista pigro e tornare ad essere un regolatore vero. Non è una lite tra due personalità, è lo scontro tra due idee di paese. Uno dove l’energia è un bene pubblico e le rendite si spartiscono in silenzio, e uno dove la concorrenza potrebbe finalmente abbassare le bollette con tutti gli effetti collaterali collegati. Il primo è quello che conosciamo. Il secondo è quello che Calenda promette da anni ma non riesce mai concretamente a portare ai tavoli di lavoro. E mentre loro litigano su chi ha ragione, noi continuiamo a pagare la luce più cara d’Europa. Basta guardare la bolletta.

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