Il presidente della Regione Marche, Francesco Acquaroli, ha una colpa imperdonabile: era a una cena elettorale mentre le Marche affogavano. Lo scrive, esattamente in questi termini e con un titolone che acceca, non i soliti giornali da clickbaiting, ma La Repubblica. Sua Maestà La Repubblica, quella che fa partito a parte, quella che indirizza coscienze, quella antropologicamente migliore e culturalmente superiore. Quella che qualifica già solo se ce l’hai in tasca. Quella che, però, non si è chiesta se esistesse un politico che la sera del 15 settembre, in piena campagna elettorale e a dieci giorni dal voto, non fosse a una qualche cena elettorale. Quella che non si è chiesta nemmeno se una alluvione puoi prevederla prima di cena e andare a pararla con le mani, anticipandola e scongiurandola. Quella che non si è chiesta nemmeno chi avesse governato fino a un annetto fa la Regione Marche e chi, quindi, avrebbe dovuto occuparsi di manutenzioni, pulizia degli alvei fluviali e quelle robe lì che (loro sì) prevengono tragedia.
Per carità, non siamo qui a cercare colpe e meno che mai a fare gli avvocati di Francesco Acquaroli, ma davvero questa campagna elettorale fa così schifo, è così povera di contenuti, è così becera e scorretta, da accusare un personaggio politico che governa una regione di star facendo politica a dieci giorni dal voto? Cara Repubblica, ma dove pensi che stavano quella stessa sera quelli del Partito Democratico? Mi ci gioco quello che volete: stavano a una cena elettorale. E mi ci gioco quello che volete pure che, proprio come ha fatto Acquaroli, appena hanno saputo di quanto stava succedendo sono andati a dare una mano per come potevano. Perché è normale che sia così, perché non esiste un politico che nell’ultima settimana prima della chiusura della campagna elettorale non sta non a una ma a quattro cene in una sera sola a caccia di voti per questo o quel partito. E nessuno, neanche quelli che sono per definizione antropologicamente migliori e culturalmente superiori di “quel meloniano di Acquaroli”, avrebbe potuto prevedere nel tempo di una cena quello che sarebbe successo da lì a poco. Lo hanno chiamato, si è alzato dalla tavola come avrebbe fatto chiunque altro, e è andato, proprio come avrebbe fatto chiunque altro (o almeno lo spero), a sedersi al tavolo della Protezione Civile. Lo ha raccontato lui stesso in un post pubblicato su Facebook.
Oppure vogliamo far passare il messaggio che votare Giorgia Meloni significa votare personaggi che mentre la gente muore vanno a cena a cercare i voti per Giorgia? No, perché se è così allora bisognerebbe ricordare anche chi governava nelle Marche nel 2016, mentre uno sciame sismico seminava devastazione. Quel qualcuno non è certo morto di fame. Ha regolarmente pranzato, cenato e fatto politica, mentre cercava di fare il meglio possibile per la gente della regione che governava (se poi gli sia riuscito o meno non è qui che dobbiamo dirlo, ma la ricostruzione, di fatto, deve ancora partire al motto di “non vi lasceremo soli”). Per carità, visto anche il lavoro che faccio, difenderò sempre la libertà di stampa, ma prendendo in prestito un passaggio di Bene, mi viene da dire che forse è il momento di avere più a cuore un’altra libertà: la Libertà DALLA stampa. Perché se proprio si voleva tirare un colpo basso a Francesco Acquaroli e alla Regione Marche, ce ne sarebbero state probabilmente tante da dire. Magari facendo un minimo di inchiesta piuttosto che chiacchiericcio maligno da piche di paese. Si poteva parlare, ad esempio, proprio di ricostruzione post sisma, di attenzione a quelle ditte e pseudodittarelle che vengono chiamate in subappalto – e in subsilenzio - dalle grandi imprese che vincono le gare. Pure l’Antimafia ha lanciato l’allarme. Si potrebbe parlare di personaggi squallidi (in abiti rispettabili, semisacri o da pseudartisti) e fuori da ogni regola – e che magari si fanno pure beffa della politica (da cui mangiano) in varie pubblicazioni - che non passano per le normali procedure, ma ricevono incarichi “che tanto chi se ne accorge? Ci para le chiappe l'altra istituzione” e ci passano pure da grandi creativi con tanto di “la ricostruzione è una vera mangiatoia, torneremo e divertendoci anche (cit.)”. Ma, cara Repubblica, significherebbe prendere atto anche che la Ricostruzione (che ancora non c’è) è partita - per quel poco che è partita - pure quando non c’era Acquaroli e magari si sarebbe rischiato di scoprire che prima era come adesso e che, purtroppo, domani sarà lo stesso. Significherebbe smantellare il marcio vero, ma non interessa a nessuno, meglio restare sul derby neocomunisti e neofascisti persino se sei LaRepubblica. Significherebbe prendere atto che molto spesso la colpa non è della parte politica, ma di quella amministrativa, con i funzionari che, al contrario dei politici che almeno ogni tot anni devono passare sotto la scure delle elezioni, restano gli stessi sempre finchè pensione non li separi. A prescindere da dove vanno a cena i presidenti, ma pure dalla bandiera sotto cui hanno costruito le loro storie politiche. Magari per il bene di un Paese che ogni tanto affoga nell'acqua di un'alluvione, ma molto più spesso, anzi tutti i giorni, affoga in un'altra sostanza meno nobile e tutt'altro che inodore...