Sì, Alessia Pifferi era capace di intendere e volere. Lo era quando ha chiuso la porta di casa, lasciando la figlia Diana, 18 mesi appena, da sola in una culla. Per giorni interi. Senza acqua, senza cibo, senza nessuno che l’accudisse. Lo dice l’ultima perizia psichiatrica ordinata nel processo d’Appello: nessun vizio di mente. Non era “pazza”, la sua mente non era e non è quella di una bambina. Come invece si è tentato di far credere. Noi di MOW abbiamo contattato l’avvocato Laura Sgrò, che ci ha spiegato l’evoluzione del caso fino alla perizia: “I giudici della Corte di Assise di Appello hanno fatto bene ad accogliere la richiesta di una seconda perizia da parte dei difensori di Alessia Pifferi, indicando con chiarezza il quesito cui i tre esperti hanno dovuto rispondere: di accertare se la stessa Alessia Pifferi fosse "affetta da patologie psichiatriche" e "alterazioni clinicamente significative della sfera cognitiva", tali da avere "interferito sulla capacità di intendere e di volere escludendola del tutto o scemandola gravemente" al momento dei fatti e nelle due occasioni precedenti in cui la piccola Diana è stata lasciata sola in casa, sopravvivendo, dal 2 al 4 luglio e dall'8 all'11 luglio del 2022”. La donna, oggi 40enne, era già stata condannata in primo grado all’ergastolo per omicidio volontario aggravato. Due le aggravanti riconosciute dalla Corte: futili motivi e parentela. Ma non la premeditazione. Secondo i giudici, non era un delitto pianificato. Secondo l’accusa, era comunque omicidio. Secondo la difesa, no: era abbandono di minore. “Concordo assolutamente con quanto ha disposto la Corte di Assise di Appello. Era necessario sgomberare ogni dubbio, considerata la gravità dei fatti per i quali la Pifferi era stata condannata in primo grado all'ergastolo per omicidio volontario aggravato. Una bimba di appena diciotto mesi è stata lasciata morire di stenti, fatto di una gravità e di una disumanità senza pari, dalla madre e i legali di quest’ultima hanno sostenuto per tutto il dibattimento di primo grado che la Pifferi non fosse capace di intendere e di volere, producendo fino all’ultimo documentazione, in parte non acquisita dalla Corte di Assise, perché non considerata rilevante”.

Eppure la difesa insiste. Ribadendo che Alessia Pifferi non dovrebbe pagare per omicidio, ma per un abbandono finito tragicamente. Chiede che venga valutata diversamente, puntando tutto su una vulnerabilità cognitiva, una lentezza mentale, una debolezza che, secondo loro, avrebbe inciso sulla comprensione del disastro. Intanto Diana non c’è più: “Molti aspetti relativi alla vita e al vissuto della donna possono essere rilevanti, in un caso come questo, per cui la Corte di Assise di Appello ha fatto benissimo a disporre una nuova e attenta perizia, valutando ogni aspetto e ogni documento prodotto. ll nuovo accertamento conferma la perizia psichiatrica effettuata nel primo grado di giudizio, che aveva già accertato che Alessia Pifferi fosse capace di intendere e volere. Nelle conclusioni della perizia, da quanto si è appreso, gli esperti confermano la piena capacità di intendere e di volere al momento dei fatti della donna. I periti avrebbero individuato nella Pifferi un disturbo relativo al periodo dell'infanzia, che non avrebbe influito, stando al lavoro dei periti, sulla capacità di intendere e volere della Pifferi. Nessuno vizio di mente, dunque, nella donna, come già aveva accertato lo psichiatra Elvezio Pirfo nel processo di primo grado conclusosi con la condanna all'ergastolo”. Alessia Pofferi ha preferito assecondare i suoi desideri di donna piuttosto che mettere al primo posto i suoi doveri di madre. Il dato infatti resta: Diana è morta di fame. Per giorni ha pianto e nessuno è andato a prenderla. Sua madre era via. Non per lavoro, non per un’emergenza, non per un imprevisto, lasciando una neonata senza alcuna possibilità di sopravvivere. “Alessia Pifferi sarebbe affetta da un disturbo del neurosviluppo. Tale disturbo non è stato ritenuto invalidante e non avrebbe influenzato il comportamento della Pifferi in relazione ai fatti contestati. Tale condizione evidentemente, secondo i periti, non ha compromesso la capacità di intendere e volere della donna, neppure scemandola parzialmente. Una cosa, infatti, è un disturbo, altra cosa è una incapacità di intendere e di volere. In ogni caso, secondo gli esperti, questo disturbo non avrebbe neppure scemato la capacità della donna, che, quindi, ben sapeva che Diana, lasciata sola, andava incontro alla morte. È chiaro che due perizie in due gradi di giudizio che affermano la piena capacità della Pifferi rendono assai complicato il lavoro dei suoi difensori. Reputo che in casi come questo bisogna essere cauti e non farsi trasportare dalle emozioni. Una bimba è morta e la madre è in carcere. Fugati i dubbi e valutato ogni elemento, se la Pifferi era capace di intendere e volere quando ha lasciato Diana morire, come affermano due perizie, credo che l’ergastolo non possa che essere la giusta pena per un delitto così atroce”.

