Una telefonata drammatica della famiglia, quella di Alessia Piperno, e che arriva dopo quattro giorni di totale silenzio. “Mi hanno arrestato a Teheran” intanto che spiega di aver faticato non poco per mettersi in contatto. Per poi aggiungere: “Sto bene, ma qui ci sono persone che dicono di essere dentro da mesi e senza motivi, temo di non uscirne più, aiutatemi”. A raccontare il fermo è il padre Alberto (titolare di una libreria a Roma) tramite post diffuso su Facebook e poi rimosso (su invito della Farnesina). “Questa ragazza è Alessia Piperno, ed è mia figlia – scrive - È una viaggiatrice solitaria, gira il mondo per conoscere usi e costumi dei popoli. Si è sempre adeguata e rispettato le tradizioni e, in certi casi, gli obblighi di ogni Paese che ha visitato. Erano quattro giorni che non avevamo sue notizie, dal giorno del suo trentesimo compleanno, il 28 settembre. Anche il suo ultimo accesso al cellulare riporta quella data. Stamattina (domenica, nda) arriva una chiamata. Era lei che piangendo ci avvisava che era in prigione. A Teheran, in Iran. Era stata arrestata dalla polizia insieme a dei suoi amici mentre si accingeva a festeggiare il suo compleanno. Sono state solo poche parole ma disperate. Chiedeva aiuto”.
Quindi, mentre le autorità lavorano già per la sua liberazione, si rafforza l'ipotesi che nel gruppo di persone straniere fermate nei giorni scorsi nella capitale dell'Iran (come da denuncia di Amnesty International), e considerate complici dei manifestanti, possa rientrare pure la trentenne romana, ancora nel Paese al momento della protesta dopo l'uccisione di Masha Amini, accusata dalla polizia di non aver indossato in maniera corretta l'hijab, alais il velo islamico, e alla conseguente morte di un'altra donna Hadia Najafi, “la ragazza con la coda” e ormai simbolo della protesta iraniana.
Ma in verità il caso della connazionale - travel blogger presenta più di un lato oscuro, a cominciare dal prolungato soggiorno in Iran. Quindi proviamo a decifrare la vicenda attraverso l'esperienza di un inviato di guerra, profondo conoscitore dello scenario iraniano, che per ragioni di sicurezza preferisce l'anonimato. “Alessia era arrivata a metà luglio, più di due mesi in un Paese in cui i visti non durano oltre 7/8 giorni. Questione che vale anche per i giornalisti, per allungarli occorre una lunga procedura, che permette non oltre 15 giorni complessivi. Allora, come ha fatto a rimanere così a lungo?” Si interroga, mentre la considera un’irresponsabile, reputazione pure caldeggiata dal rituale di trasformare i suoi social in uno specchio dei suoi viaggi. “Su Instragram postava le sue belle idee sulla libertà, come se i servizi iraniani non lo notassero. E adesso pagheremo per tirarla fuori, tirando in ballo la nostra diplomazia, con annesso spreco di tempo e denaro”.
Ma per il giornalista non è meno avventata la condotta della famiglia, “che se la tira da intellettuale e non si informa accuratamente della situazione in Iran, per di più portando in dote un cognome di origine ebraica. Ma pure senza chiedersi cosa la figlia facesse davvero nel Paese e come potesse rimanerci così facilmente”. Quindi scatta una duplice lettura, suggerita dallo stesso cronista: “L'Iran non è un Paese pericoloso per i turisti. Lo diventa solo per una spia o per un idiota”…