Siamo in Iran, tutto nasce quando una 22enne curda, mentre era a Teheran con il fratello, viene prelevata dalle forze dell’ordine con l’accusa di aver indossato male il suo hijab (il classico velo che le donne in Iran sono ora costrette a indossare). L’arresto porterà alla morte della ragazza. Il suo nome era Mahsa Amini e l’accaduto ha fatto scoppiare delle rivolte massicce nel Paese, diffuse e senza ideologia alle spalle, portate avanti da donne normali, senza colore politico, che, come evidenzia anche il filosofo Slavoj Žižek, rendono questa protesta davvero radicale e necessaria. Una delle azioni più simboliche è stata quella di togliersi il velo, ma anche un altro gesto si sta diffondendo in giro per il mondo. È il taglio di capelli, che nella cultura iraniana indica il lutto, la tristezza. Le donne decidono di tagliarsi intere ciocche di capelli, per rifiutare la logica del dominio della classe politica iraniana, composta dall’organizzazione politica dei talebani, tornata al potere dopo il ritiro delle truppe americane da quei territori, nel 2021. Qualche giorno fa la Triennale di Milano ha lanciato, in sostegno alle donne in lotta in Iran, un’iniziativa che si muove in questo senso. Chiunque voglia potrà tagliarsi una ciocca di capelli, che verrà spedita al consolato generale della Repubblica Islamica dell’Iran in segno di protesta. L’iniziativa è partita il 28 settembre e sta raccogliendo molte adesioni. Peccato che qualche giorno prima, proprio a Milano, qualcun altro avesse già lanciato l’idea, raccogliendo altrettante partecipazioni. L’idea è di Roberta Russello che il 23 settembre ha scelto di tagliarsi i capelli e di tagliarli a sua figlia, per poi spedirli al consolato iraniano. Abbiamo chiesto a lei di raccontarci la sua versione dei fatti, per capire come sia stato possibile che, a distanza di pochissimi giorni, la Triennale lanciasse un’iniziativa senza riconoscerne la maternità a Roberta.
“Il 23 settembre mi sono tagliata i capelli, insieme a mia figlia, e li ho spediti al consolato iraniano. Non usando i social ho chiesto a un’amica artista, Coquelicot Mafille, di pubblicare l’immagine che avevo scattato mentre imbucavo la busta, invitando più gente possibile ad aderire all’iniziativa. Un’amica di Coquelicot vede il post e decide di contattarmi. Vengo così raggiunta al telefono da un altro artista iraniano Taher Nikkhah Abyaneh che mi invita a partecipare alla manifestazione organizzata per il 25 settembre a piazza Castello. Io avevo già scritto al consolato e non volevo espormi troppo, ma Taher mi aveva garantito che sarebbe stata una manifestazione pacifica. Vengo invitata a parlare per illustrare l’idea e insieme a chi mi era accanto abbiamo distribuito le buste delle lettere e le forbici che mi ero portata. In tantissimi hanno partecipato. Il giorno dopo provo a contattare Taher per chiedergli se servisse comprare dei francobolli per l’invio, nel qual caso mi sarei resa disponibile; ma purtroppo non siamo riusciti a incontrarci. Poi mercoledì mi scrive un’amica e mi chiede se avessi visto l’iniziativa della Triennale, identica a quella che avevo lanciato. Ho scritto a Taher per chiedere spiegazioni e mi ha detto che non erano stati loro, che l’idea era stata copiata. A quel punto gli ho scritto che l’iniziativa sarebbe rimasta giusta, ma che reputavo sbagliato che si appropriassero di un’idea altrui; e lui mi risponde che succede sempre così, i grandi rubano ai più piccoli”. Taher scrive anche che non voleva essere uno di loro e che per questo aveva invitato Roberta alla protesta del 25, evitando di rubarle l’idea. “A me non importa della pubblicità o che mi si dica che l’idea è stata mia. Ma è come la rotta di una nave, per quanto la finalità sia giusta, non mi sembra corretto partire da una premessa sbagliata, come quella di non coinvolgere nell’iniziativa chi quell’iniziativa l’ha ideata”.
“Ho scritto alla Triennale e ho allegato i post e i video che testimoniano quanto ho detto. Ancora non ho ricevuto risposta ma spero mi sapranno dire come hanno avuto l’idea. E finirà lì, ma bisogna mettere le cose in chiaro”. Poi per messaggio, parlando della storia che mi ha raccontato, aggiunge: “La verità va detta tutta”. Roberta non è legata ad alcuna associazione e ha partecipato come cittadina privata alla manifestazione del 25, rifiutando invece di partecipare all'iniziativa di Non una di meno nei giorni successivi. Le sue idee le porta avanti individualmente, in questo caso spinta anche da un coinvolgimento emotivo personale, legato alle sue figlie, coetanee delle ragazze perseguitate, picchiate e uccise in Iran. E proprio il coinvolgimento emotivo l’ha spinta ad allargare la sua iniziativa, scrivendo al direttore del carcere di San Vittore di aderire e lasciare, a chi lo riterrà, di tagliarsi una ciocca di capelli, per inviarla al Consolato iraniano, sostenendo tutte le spese necessarie e senza gravare sul Centro di detenzione. “Chi, meglio di chi ne è privato, può conoscere il significato della libertà?” E se la difesa della libertà passa da liberi cittadini è giusto che le grandi istituzioni lo riconoscano, mostrando come la solidarietà possa nascere dal basso e diffondersi in modo orizzontale, senza che degli enti con un maggior potere mediatico se ne approprino, facendola passare per l’ennesima idea calata dall’alto.